Guerra /

Un confine conteso sul tetto del mondo. La frontiera che separa l’India dalla Cina corre per 3488 chilometri ad un’altitudine media di 4250 metri, con temperature che molto spesso si mantengono sotto lo zero. La regione è quella del Kashmir, la valle teatro degli ultimi scontri quella di Galwan: un confine mai accettato dalle due potenze nucleari che si affrontano in una guerra di nervi che va avanti dal conflitto del 1962 che provocò in poco più di un mese centinaia di morti da entrambe le parti (il numero esatto non lo sapremo mai).

Quel confine però è tutt’altro che freddo, nonostante le condizioni ambientali estreme: da circa sette settimane Pechino e Nuova Delhi hanno ricominciato quella che è a tutti gli effetti una nuova escalation militare per il controllo delle regioni contese.

Già a fine maggio vi avevamo raccontato di come entrambi i contendenti stessero mobilitando le truppe e costruendo piccoli insediamenti: proprio nella valle di Galwan le fotografie satellitari mostravano due grossi accampamenti, uno indiano e uno cinese, composti rispettivamente da 60 e 80 tende di varie dimensioni oltre a evidenziare la presenza di diversi veicoli militari.

Era solo un tassello nel quadro della tensione che stava montando nelle settimane precedenti: nel Sikkim, un’altra regione del Kashmir, scontri tra India e Cina avevano portato al ferimento di truppe da entrambe le parti.

Una tensione che non accenna a diminuire e che ha avuto nelle giornate del 15 e 16 giugno quello che è stato il suo momentaneo parossismo: 20 morti tra cui un colonnello da parte indiana, forse 35 da parte cinese, numero però non ancora confermato da Pechino.

Uno scontro sul tetto del mondo, in quota, lungo un sentiero che corre in prossimità della Lac, la Line of Actual Control che separa i due giganti asiatici. Uno scontro in cui non è stato sparato un singolo colpo di fucile.

Non è chiara ancora la dinamica esatta, perché entrambe le parti hanno fornito versioni differenti: quello che è stato il primo scontro mortale con un alto numero di vittime tra i due contendenti da cinquant’anni a questa parte sembra sia nato semplicemente perché due pattuglie si sono incontrate in una parte reciprocamente rivendicata.

Un incontro/scontro come altri avvenuti nelle settimane precedenti, questa volta, però, a differenza di quelli del 5, 6 e 9 maggio i militari cinesi e indiani sono venuti alle mani. Letteralmente. La battaglia lungo il sentiero è avvenuta a sassate e colpi di bastone e mazza ferrata, come uno scontro medievale, anzi, come uno scontro primitivo tra due tribù nemiche. La maggior parte dei morti, infatti, si pensa sia dovuta al fatto che i soldati siano caduti nel precipizio sottostante, fattore che complicherà non poco il recupero dei corpi.

Una battaglia in condizioni estreme, con mezzi a loro modo estremi: nessuna tecnologia avveniristica, nessun drone, nessun missile ipersonico con intelligenza artificiale, nessun laser e nemmeno raffinate tattiche di combattimento: un corpo a corpo serrato, come una rissa da stadio, con le armi fornite in larga parte dall’ambiente stesso. Qualcuno dirà che le due potenze nucleari abbiano messo in atto un antipasto di quello che Einstein predisse per la quarta guerra mondiale, ovvero che sarà combattuta con sassi e bastoni, ma la realtà va oltre la citazione, la cui paternità è controversa ad onor del vero, del genio tedesco.

Quanto sta avvenendo nel Ladakh, la parte del Kashmir dove si trova la valle di Galwan in cui le tensioni sono più accese, è il riflesso non solo di una situazione di stallo diplomatico che perdura da decenni, ma di un ritrovato sentimento nazionalista che porta i due contendenti, soprattutto la Cina, a pensare di poter risolvere le controversie di confine con la forza, sebbene, come già detto, il fatto che non sia stato sparato un singolo colpo di fucile porti a considerare il tutto, nella mente di qualcuno, come qualcosa di poco più di una scaramuccia.

La realtà però è che ci sono morti da entrambe le parti, e nemmeno pochi, ed i morti richiedono, se non vendetta, una qualche forma di azione di ritorsione davanti agli occhi dell’opinione pubblica e dell’avversario, al quale non bisogna permettere di agire impunemente.

Dure, durissime le reazioni di Nuova Delhi, che ha parlato di “grave azione premeditata” da parte di Pechino e che da ora in avanti imporrà un “costo alla Cina ogni qual volta provi a mettere in pratica la sua tattica favorita della fetta di salame per cercare di guadagnare porzioni di territorio”, una scelta che segna un cambio decisivo nella politica indiana di gestione della politica sul confine conteso.

Parimenti da Pechino si sono levate voci di ferma condanna delle responsabilità indiana dell’incidente. Zhang Shuili, portavoce del comando del teatro occidentale dell’Esercito di Liberazione Popolare (Pla) ha riferito che “le truppe indiane hanno violato le loro promesse ancora una volta e hanno attraversato la Lac per compiere attività illegali provocando e attaccando deliberatamente le forze cinesi, quindi innescando un’aspra battaglia tra le due parti che ha causato perdite”. Zhang ha chiuso la sua dichiarazione dicendo “esigiamo che l’India ritiri le proprie truppe di frontiera, cessi immediatamente tutte le infrazioni e azioni provocatorie e lavori insieme alla Cina per ritornare sul giusto binario del dialogo e delle negoziazioni per risolvere i contrasti”.

Nella serata di ieri, sembra che le due parti abbiano cominciato il processo di de-escalation, ritirando entrambe le truppe presenti nel Ladakh, ma solo oggi, dopo che i colloqui urgenti tra le rispettive massime autorità diplomatiche e militari saranno conclusi sapremo se la tensione sarà definitivamente disinnescata oppure no. Quello che però è certo è che quel confine conteso sul tetto del mondo, in questo periodo di pandemia che ha spinto la Cina in una postura più aggressiva, è e resterà un fattore di attrito tra due nazioni che, oltre ad essere le più popolose al mondo e avere un enorme potenziale economico, posseggono armamenti nucleari e la volontà di usarle, per il momento solo in forza di una dottrina che prevede il loro impiego esclusivamente in funzione del concetto di deterrenza credibile e non per un primo colpo.

Oggettivamente, proprio per la natura geografica di quel confine, risulta difficile pensare ad un’invasione su larga scala che potrebbe mettere in pericolo l’unità di entrambe le nazioni, bisogna però capire quanto i due contendenti siano disposti a sacrificare per difendere delle piccole regioni come la valle di Galwan, il Ladakh o porzioni più grandi come l’intero Kashmir, ed è forse questo il vero fatto destabilizzante.