Il conflitto intestino in Sudan cominciato lo scorso 15 aprile è ben lungi dall’essere concluso. Martedì 3 ottobre l’ambasciata etiope della capitale Khartoum è stata bombardata e le due fazioni in lotta – le forze armate sudanesi (Saf) e le forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) – si sono scambiate reciproche accuse.
Tutti i tentativi di cessate il fuoco sono falliti, e il conflitto si è geograficamente esteso: a metà settembre si sono registrati i primi combattimenti nella città costiera di Port Sudan, sul Mar Rosso. Secondo quanto riferito da fonti locali, l’esercito sudanese si è scontrato coi miliziani fedeli a Sheba Darar, un leader della tribù Beja, nel centro della città.
Sino a questo evento, gli scontri a fuoco si sono avuti solo a Khartoum e nel Darfur, in quanto la maggior parte delle tribù orientali si è schierata in supporto dell’esercito regolare. Port Sudan, che ospita l’unico aeroporto ancora operativo del Paese e dove le Nazioni Unite hanno stabilito il proprio centro logistico, fino ad allora era stata risparmiata dai combattimenti, ma lo spostamento del quartier generale dell’esercito dalla capitale, in preda a violenti scontri armati, ha causato l’attacco del 19 settembre da parte delle Rsf.
Sono migliaia i morti di questa guerra intestina (alcune fonti parlano di 7500) e ancora di più sono gli sfollati: l’Onu stima in circa 5,4 milioni i rifugiati che hanno abbandonato le proprie case per sfuggire al conflitto, spostandosi all’interno del Paese o emigrando. La guerra ha danneggiato infrastrutture già fragili e ha costretto la chiusura del 80% degli ospedali del Paese, generando una crisi alimentare che affligge milioni di persone.
Una guerra in cui sono coinvolti attori internazionali: in Sudan è presente la Pmc (Private Military Company) russa “Wagner” che fornisce assistenza ai ribelli delle Rsf.
Proprio recentemente una serie di otto attacchi che ha colpito le forze ribelli ha fatto sospettare che l’azione sia stata condotta col supporto ucraino: il pannello di controllo dei droni usati per le azioni mostra scritte in ucraino. Inoltre le tattiche utilizzate erano molto insolite in Sudan e nella più ampia regione africana.
L’Ucraina non ha rivendicato ufficialmente la responsabilità degli attacchi, né una partecipazione di qualche tipo, però sappiamo che il presidente Volodymyr Zelensky si è incontrato in Irlanda, a Shannon, con Abdel Fattah al-Burhan, capo del supremo consiglio sudanese, in una riunione non prevista tenutasi per “discutere le nostre sfide alla sicurezza in comune, vale a dire le attività di gruppi armati illegali finanziati dalla Russia”.
L’eterna instabilità africana
Mosca, come sappiamo, si è innestata in alcune dinamiche di instabilità dell’Africa, in particolare nella fascia subsahariana dove è presente anche in Mali e molto probabilmente anche in Niger e nella Burkina Faso, ma la sua presenza “storica” – oltre alla Libia – è quella nella Repubblica Centrafricana dove ci sono un migliaio di contractor della “Wagner” che sostengono il governo centrale nella lotta contro i ribelli, effettuano addestramento delle forze di sicurezza locali, e controllano le infrastrutture minerarie del Paese (oro e diamanti).
Anche la Repubblica Centrafricana si trova ancora ad affrontare una crisi umanitaria: oltre al milione di sfollati a causa delle violenze, si stima che nel 2022 sia morto il 5,6% della popolazione, un tasso due volte più alto di qualsiasi altro Paese. Nel giugno 2023 3,4 milioni di persone avevano bisogno di assistenza, con una situazione generale aggravata dalle inondazioni che hanno colpito più di 100mila abitanti. Dal 2021, le forze allineate al governo hanno fatto lenti progressi, ma i ribelli mantengono il controllo di molte aree settentrionali e orientali.
Va ricordato che il governo di Bangui non è sostenuto solo dalla Russia nella sua lotta ai ribelli: nel Paese è presente una missione di peacekeeping Onu (Minusca) forte di più di 15mila unità, mentre la presenza francese è ufficialmente cessata a dicembre del 2022, a seguite del “raffreddamento” dei reciproci rapporti.
Lo strano caso del Gabon
Se si potrebbe identificare un fil rouge per i golpe o l’allontanamento della presenza occidentale per l’area subsahariana dato dalla presenza di Mosca – possibile comunque grazie al malcontento interno per la non risoluzione dei conflitti intestini – che ha soffiato sul vento dei sentimenti anticolonialisti, così non è per il Gabon, dove il colpo di Stato che ha deposto Ali Bongo non appare mosso dall’influsso russo o comunque da anticolonialismo, anzi è l’esatto contrario.
Il giorno dopo il golpe, il generale Brice Oligui Nguema ha incontrato l’ambasciatore francese Alexis Lamek e gli avrebbe promesso che avrebbe rafforzato le relazioni con Parigi. La velocità della normalizzazione del Paese farebbe poi pensare che, sostanzialmente, la vecchia élite è ancora al potere. Quello in Gabon si potrebbe quindi definire un “colpo di Stato di palazzo” poiché Nguema è un lontano cugino di Ali Bongo e ha trascorso la sua carriera all’interno della cerchia ristretta dell’ex presidente. Il rapporto tra Francia e Gabon quindi probabilmente rimarrà invariato, sebbene tra l’opinione pubblica gabonese esista un sentimento antifrancese.
Attualmente non vi è alcun indizio sulla possibilità che Nguema inizi a riscrivere i contratti francesi sulle risorse o a fomentare proteste pubbliche contro la Francia come hanno fatto i governi militari nel Sahel. Al contrario era il regime di Bongo che aveva iniziato ad allontanarsi dalla Francia con l’ingresso nel Commonwealth a giugno 2022 e la promessa a Pechino di una base navale nel Paese (offerta che ora è di fatto sospesa).
Il continente africano resta percorso da un’instabilità che sembra permanente, con ampie ripercussioni – non solo di ordine migratorio – sulla sicurezza europea, e non sempre i driver delle rivolte o dei colpi di Stato sono da ascrivere a sentimenti antioccidentali o anticoloniali, con quindi aperture verso la Russia e la Cina, che pure, in alcuni casi, hanno avuto un ruolo fondamentale nello spargere disinformazione e propaganda in tal senso.