La guerra in Ucraina, oltre a combattersi sulla prima linea del fronte, si combatte anche dietro le linee nemiche. Questo vale in particolare per Kiev, che dall’inizio dell’invasione ha progressivamente aumentato la propria capacità di penetrare in territorio russo e nei territori occupati da Mosca per colpire in profondità gli avversari.
Questa capacità delle forze ucraine è andata generalmente aumentando con l’avanzare del conflitto e quindi con il miglioramento della capacità di reazione da parte di Kiev. Lo dimostrano il miglioramento delle capacità tecnologiche, la letalità degli attacchi, ma anche l’aumento dell’importanza degli obiettivi russi così come la loro lontananza dal fronte. Un complesso meccanismo di attacchi e sabotaggi che si è sempre più spostato dal campo di battaglia per riuscire a infliggere colpi all’interno del territorio russo e in grado non solo di incidere sull’esercito, ma anche a scalfire quella sicurezza manifestata da Mosca sin dall’inizio dell’invasione.
Scalfire la sicurezza di Mosca
L’idea di Vladimir Putin, dall’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale”, è stata infatti sempre quella di mantenere la Federazione Russa in una sorta di bolla protettiva. Il conflitto doveva rimanere circoscritto all’Ucraina, mentre il Paese dello “zar” doveva rimanere sostanzialmente inattaccabile, dando così l’immagine di una fortezza in grado di proteggere la popolazione durante tutta la guerra.
La conferma di questo processo di ampliamento della capacità di attacco in profondità da parte di Kiev è data quindi non soltanto dall’evidente ampliamento della portata delle armi date all’esercito ucraino, ma anche dalla scelta dei “target” prescelti dall’intelligence ucraina (con l’ausilio o meno della Nato e in particolare di Regno Unito e Stati Uniti).
La Crimea sotto tiro
I primi esempi di questa nuova campagna ucraina si sono osservati in estate con le esplosioni in Crimea. Le colonne di fumo apparse nel sito militare di Novofedorovka hanno evidenziato, come poi confermato dal ministero della Difesa russo, le esplosioni di un “deposito di munizioni”. Per Kiev e per l’intelligence britannica si trattava di aerei, e non di semplici depositi. A essere stati distrutti, infatti, sarebbero stati Su-24MR, tre Su-30SM e probabilmente almeno un Il-76. Per molti analisti, l’attacco era probabilmente dovuto a un sabotaggio di forze speciali ucraine dietro le linee russe, dal momento che non sembrava verosimile un bombardamento aereo o con armi che ancora non facevano parte degli arsenali ucraini. Ma in tanti hanno ipotizzato l’utilizzo di droni in grado di perforare le difese aeree russe.
Successivamente, altre misteriosi esplosioni (misteriose perché mai rivendicate né definite nelle modalità) hanno coinvolto un deposito di armi a Maiske, a nord della Crimea, e si è parlato anche di un sabotaggio nella base di Hvardiiske, non lontano da Sinferopoli. Su tutti questi casi, Kiev non ha mai dato una risposta alle domande su un possibile coinvolgimento di forze speciali o sabotatori, ma molte fonti anonime hanno riferito anche ai più importanti media americani che si trattava di azioni messe in atto dalle unità ucraine o di “partigiani“. E in quello stesso periodo, anche Sebastopoli, la grande base della Flotta del Mar Nero, è stata presa di mira diventando il bersaglio di quella che tutti si attendono come possibile grande controffensiva ucraina nella penisola.
Un altro esempio è stato l’incendio del ponte di Kerch, simbolo dell’annessione della Crimea alla Russia e dell’unione definitiva della penisola del Mar Nero alla nuova madrepatria. All’alba dell’8 ottobre 2022, un’esplosione ha causato il crollo di due campate del ponte uccidendo quattro persone e andando a colpire un’infrastruttura fondamentale per il rifornimento della Crimea. L’episodio, avvenuto il giorno del 70esimo compleanno di Putin, non è stato rivendicato ufficialmente dall’Ucraina. La stessa Russia, specialmente all’inizio, aveva parlato di incidente e non di sabotaggio. Kiev ha tuttavia dato immediata visibilità all’esplosione esultando per quanto accaduto. Infine, le inchieste di diversi giornali hanno parlato in maniera sempre più netta di un camion bomba (il New York Times ha poi riferito della regia dei servizi segreti ucraini), mentre Mosca ha poi annunciato l’arresto di alcune persone, tra cui cittadini ucraini, come artefici del sabotaggio.

La campagna segreta
A novembre, invece, diverse fonti parlavano di un attacco condotto da alcuni sabotatori ucraini presso la base aerea di Veretye, nella regione occidentale russa di Pskov. In base alle informazioni dei media, l’attacco avrebbe messo fuori uso almeno due elicotteri da combattimento KA52 Alligator. In quell’occasione, Kiev non rivendicò ufficialmente l’attacco, anche se i media ucraini riportarono le dichiarazioni della Direzione dell’intelligence della Difesa che sostanzialmente certificavano l’avvenuto sabotaggio.
A dicembre, altre esplosioni, questa volta all’interno dei confini russi riconosciuti dalla comunità internazionale. In pochi giorni, a essere colpiti sono stati gli aeroporti militari di Dyagilevo, nella regione di Ryazan e quello di Engels, nella regione di Saratov. Circa una settimana dopo quegli attacchi, era stato segnalato poi un ulteriore attacco, questa volta nel distretto di Kursk, tramite un drone. E alcune fonti ucraine avevano parlato di un raid, sempre con un velivolo senza pilota, contro un sito industriale nell’oblast di Bryansk. Sempre al New York Times, un funzionario ucraino aveva detto che “almeno uno dei due attacchi – quelli di Dyagilevo e Engels ndr – è stato completato con l’ausilio di forze speciali che si trovavano in prossimità dell’aerodromo e che hanno guidato i droni verso il bersaglio”.
Un’informazione che aveva confermato non solo la capacità ucraina di manovrare i droni centinaia di chilometri dentro il territorio russo, ma anche, se non soprattutto, di sapere muovere le proprie unità speciali nel cuore della Federazione. Tre settimane dopo, sempre la base di Engels era stata oggetto di un attacco con un drone in cui rimasero uccisi tre soldati russi. E sempre in quel periodo, come scriveva Adnkronos, i servizi di sicurezza russi dello Fsb hanno annunciato di avere “liquidato” un “gruppo di sabotatori” che il 25 dicembre cercavano di entrare nella regione di Bryansk.
Dopo questa lunga scia di esplosioni, a intervenire è stato poi Vadym Skibitsky, vice capo dell’intelligence militare ucraina, che ha di fatto ribadito la regia di Kiev sulle esplosioni e rilanciato sul piano di colpire in profondità la Russia. “Se possiamo raggiungere Engels, possiamo raggiungere anche il Cremlino“, ha detto Skibitsky, sottolineando come sia lecito pensare di colpire i campi d’addestramento e le basi in territorio russo poiché “presto o tardi, da queste caserme, andranno al fronte ad attaccare i nostri villaggi e le nostre città”.
Un avvertimento che serve soprattutto da un punto di vista politico: colpire la Russia significa scalfire quel senso di inattaccabilità con cui Putin ha voluto colpire l’intero Paese. Sentirsi vulnerabili è un problema enorme per il presidente russo, il quale però potrebbe anche essere rafforzato dalla possibilità che Kiev decida di colpire in modo più netto sul territorio dell’avversario. Certificare il senso d’assedio accusando l’Ucraina di volere colpire la Russia è un elemento tipico della narrazione putiniana, specialmente ora che vuole far vedere all’opinione pubblica di essere ancora saldamente alla guida del Cremlino.