In Russia, a quasi quattro mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, si vive e si respira una nuova normalità, che sa di ritorno al passato e permea la politica, gli ambienti militari, così come l’economia e la società. La nuova normalità è costituita dallo stato d’assedio divenuto un qualcosa di ordinario, al quale adattarsi, con la guerra che monopolizza i dibattiti televisivi e l’autarchia che si fa spazio.

Il passato è il nuovo presente

In Russia, a quasi quattro mesi dallo scoppio dell’evento più geopoliticamente importante di questa parte di secolo, il passato è tornato presente: nelle stanze dei bottoni si respira l’aria pesante della Guerra fredda, nelle dume si parla di rivoluzionare il sistema internazionale, nei negozi si vendono prodotti autarchici e dietro le mura domestiche si discute, talvolta si litiga, della questione ucraina.

Uno dei simboli più iconici del capitalismo occidentale, la M dorata di McDonald’s, è scomparso dal panorama urbano della Federazione. Il suo posto è stato preso da Вкусно – и точка, un surrogato in salsa russa che, al di là delle apparenze, parla della Russia di ieri, oggi e domani. Russia profonda, immutabile e resistente all’erosione dei tempi. Una Russia che aspira all’autarchia, alla produzione di marchi esportabili, ma che non riesce a nascondere, per quanto si impegni, i sentimenti ambivalenti provati per l’Occidente, la civiltà che l’ha sempre rifiutata e ritenuta un’alienità tatara ai margini dell’Europa.

L’amore-odio provato verso l’Occidente, e più in particolare verso l’Europa, è stato manifestato con forza il 9 giugno, in occasione delle pompose celebrazioni allestite un po’ ovunque per commemorare il 350esimo compleanno di Pietro il Grande. Quest’anno, contrariamente agli anni passati, nessuna traccia – nelle esibizioni e nei discorsi delle autorità – dell’universalmente nota eurofilia del padre fondatore della Russia moderna. E nessun passaggio sulle origini di San Pietroburgo, costruita (in larga parte da europei) per donare all’Impero una finestra sull’Europa, ma soltanto dichiarazioni sulle campagne militari e sulle riforme statali dello zar più famoso di tutti i tempi.

Poco dopo l’anniversario di Pietro il Grande, durante il Giorno della Russia – 12 giugno –, dalle piazze sono provenuti altri segnali eloquenti dell’avvenuto mutamento dei tempi: più bandiere sovietiche visibili rispetto al passato, più eventi dedicati alla memoria della falce e martello, Mosca tappezzata di cartelloni patriottici, con tanto di oramai iconica “Z”, per spargere la voce della prossima inaugurazione di Piazza Donetsk.

La guerra come abitudine

A quasi quattro mesi di distanza dall’inizio delle ostilità, nonché dall’inizio della cosiddetta “guerra economica totale”, la sedimentata sindrome da accerchiamento e la tradizionale educazione alla rinuncia dell’homo russicus stanno giocando un ruolo-chiave nella salvaguardia dello status quo, del sistema putiniano, con la prima che ha galvanizzato un fondamentale effetto raduno attorno la bandiera – del quale non si conoscono, però, estensione e genuinità – e con la seconda che sta aiutando notevolmente a sveltire e implementare l’agenda autarchica.

Nei supermercati scarseggiano alcuni prodotti, il che è vero, ma ciò che la grande stampa occidentale si dimentica di scrivere, o che forse non vuole scrivere, è che la scarsità riguarda i beni occidentali. Perché al decrescere dell’interscambio con l’Occidente è seguito un aumento significativo dell’interscambio con il resto del mondo, in particolare con l’Asia, sullo sfondo di una presenza più estesa dei beni autarchici. Una scarsità fisiologica, nociva soltanto in parte, che alla lunga potrebbe giocare a favore della Russia, perlomeno dal punto di vista economico.

La Russia del giugno 2022, in sintesi, è una cartolina che ricorda l’Italia in fermento degli anni Trenta, alle prese con il famigerato “assedio economico” della Società delle Nazioni, e che sembra parlare più di diversificazione e autosufficienza che di implosione alle porte. La guerra economica totale lanciata dalla presidenza Biden, del resto, non ha e non ha mai avuto quale obiettivo l’economicidio della Russia, cosa semplicemente impossibile, perché guidata da altre speranze-aspettative, molto più elevate e ambiziose, quali l’esorcizzazione dello spettro mackinderiano dell’asse Berlino-Mosca e l’affogamento brzezinskiano della Russia nelle acque sempre agitate dell’Asia.

La storia, fino a questo momento, sta dando ragione alla presidenza Biden – l’autonomia strategica europea è stata messa in letargo, il partito europeo della distensione è in coma, il disaccoppiamento eurorusso procede a passo spedito, il riarmo della Germania alimenterà paure ancestrali (a uso e consumo delgi Stati Uniti) dentro e fuori l’Europa, la Russia è stata espulsa in Asia –, ma emettere sentenze è prematuro. La partita per la transizione multipolare è appena cominciata e si sta ancora giocando il primo tempo.

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