Eliminare le ultime roccaforti in mano ai ribelli. È questo il piano di Bashar al Assad per assicurare la stabilità del Paese, dilaniato ormai da sette anni di guerra e 500mila morti. L’operazione “Acciaio di Damasco” per riconquistare la Ghouta orientale si è conclusa in meno di due mesi. Per i governativi è stata un successo e ora puntano sul campo profughi di Yarmouk, conquistato dalle bandiere nere dell’Isis nell’aprile del 2015.
L’Isis a Yarmouk
Ieri, il giornale filogovernativo Al Watan aveva diffuso la notizia che l’esercito siriano aveva dato 48 ore di tempo ai jihadisti per arrendersi o combattere: “Se rifiutano, l’esercito e le forze che lo appoggiano – si legge – sono pronti a lanciare un’operazione militare per mettere fine alla presenza dell’organizzazione nell’area”. Il campo profughi si trova a soli 8 chilometri dalla capitale e per Damasco è di fondamentale importanza eliminare ogni minaccia. Sempre ieri, il controverso Osservatorio siriano per i diritti umani faceva sapere che era stato raggiunto un accordo tra l’Isis e i governativi per una evacuazione.
Questa mattina, il quotidiano Al Masdarha fatto sapere che diversi miliziani dell’Isis erano decisi ad arrendersi alle forze di Bashar al Assad. Altri, invece, avrebbero combattuto fino all’ultimo colpo. Per questo motivo, le operazioni militari dei governativi sono proseguite per tutta la mattinata con l’avanzata dei carri armati e i bombardamenti dal cielo.
S. #Damascus: UR-77 Meteorit also used today vs #ISIS in Qadam district, creating massive explosion. https://t.co/uwl3B6fa9F pic.twitter.com/Lv6J1A6X1z
— Qalaat Al Mudiq (@QalaatAlMudiq) 19 aprile 2018
L’avanzata governativa è rimasta concentrata solamente sull’area controllata da Daesh, come dimostra una mappa dei bombardamenti. Le forze di Assad sono riuscite a riconquistare la moschea dell’imam Ali a Tadamon, a sud di Damasco. Dopo ore di combattimento i jihadisti si sarebbero infine tutti arresi.
La rivolta contro Assad comincia nel 2011 a Daraa, nel sud della Siria. In quest’ultimo mese, il governo sta preparando una vasta offensiva per provare a strappare i territori di questa provincia sia ai ribelli che allo Stato islamico, che ne controlla una piccola parte al confine con il Golan occupato.
Questa operazione, però, si scontra con un problema essenziale: l’avvicinamento delle truppe sciite ai confini di Israele. Una cosa inaccettabile per lo Stato ebraico.
Fonti di Daraa, contattate da Gli Occhi della Guerra, sul campo non sarebbero presenti truppe sciite (in particolare Hezbollah) se non come “osservatori o come semplici cittadini”. Difficile però credere che, in caso di battaglia contro le forze ribelli, gli uomini del Partito di Dio staranno a guardare.
Idlib, la roccaforte jihadista
A partire dalla liberazione di Aleppo, nel dicembre del 2016, Idlib è diventata la culla del jihadismo in Siria. Qui sono arrivati i miliziani di Al Nusra ormai più di un anno fa e qui è stata scortata la gran parte di ribelli provenienti dalla Ghouta orientale. L’avanzata governativa proviene soprattutto dal sud e ha come obiettivo quello di piegare la resistenza.
Una resistenza che, al suo interno, è molto divisa. Il 13 aprile scorso, Ahrar al Sham ha attaccato le posizioni di Jaish al Izza, un gruppo legato all’Esercito libero siano. L’offensiva è partita nella notte, attaccando il quartier generale del gruppo avversario vicino alla città di Khan Sheikhoun, prendendone il controllo, arrestando i militanti presenti e liberando alcuni combattenti che erano stati fatti prigionieri.
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La provincia di Idlib, molto probabilmente, sarà l’ultima ad essere attaccata da Damasco, anche perché, poco più a nord, sono presenti le truppe turche.
Hama, la spina nel fianco
Dal 2012 le forze ribelli controllano la zona tra Homs e Hama, rappresentando una vera e propria spina nel fianco per Damasco. Come ha spiegato Mauro Indelicato su queste pagine, lunedì scorso i raid governativi hanno avviato una campagna per riconquistare parte di questi territori, allargando “il perimetro di sicurezza a nord della strada che conduce da Homs a Salamiyah”. Ci vorrà però del tempo prima di un’operazione militare su larga scala.
Una Siria a pezzi?
Oggi, il viceministro degli Esteri russo Sergej Ryabkov ha detto all’agenzia tedesca Deutsche Welle: “Non sappiamo come si evolverà la situazione sulla questione e se sia possibile mantenere la Siria un Paese unito”. Da quando è iniziata la guerra, la Siria rischia di esser divisa. E, di fatto già lo è. Oltre al controllo che la Russia e l’Iran esercitano su Damasco, bisogna tenere a mente che le truppe Usa e quelle francesi sono presenti nelle zone controllate dai curdi. Lo stesso per i turchi, che continuano la loro avanzata nel nord del Paese. La Siria verrà divisa? Il rischio c’è. Ma allora si dovrà dire addio alla peculiarità di questo Paese: la convivenza pacifica e rispettosa tra diverse comunità e religioni.