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I container bruciano nel porto di Latakia, in Siria. I media statali siriani affermano che le esplosioni sono state causate da un raid dell’aviazione israeliana, ma dai comandi della Stella di Davide non arrivano conferme. Se non il sospetto che la guerra ombra tra Iran e Israele continua. E lo fa soprattutto in territorio siriano, dove ormai da diversi anni i caccia dello Stato ebraico colpiscono i luoghi dove ritengono siano presenti mezzi, armi o uomini legati all’Iran.

Secondo i funzionari di Damasco, nel bombardamento non vi sarebbero state vittime. A esplodere sarebbero stati alcuni container non particolarmente importanti e la contraerea avrebbe risposto al lancio di missili. Impossibile in questi casi avere prove o smentite di quanto rilanciato dai canali social e dai media di Stato. Tuttavia i dati che affiorano da questo sospetto strike delle forze armate israeliane su Latakia ci forniscono già alcuni elementi particolarmente importanti.

Innanzitutto il luogo, Latakia, uno dei centri principali della Siria e un porto fondamentale non solo per i traffici con l’Iran, ma anche perché lì vicino c’è la principale base russa nel Paese: Hmeimim. Latakia è uno snodo centrale per Damasco, e non a caso Mosca ha scelto quell’area per posizionare lì le proprie forze aeree e navali oltre che per costituire quello che è considerato il suo scudo difensivo. È stata proprio la presenza russa nei dintorni di Latakia ad avere rappresentato per molti anni un limite invalicabile per i raid di Israele. Ed è interessante che invece negli ultimi tempi gli aerei dello Stato ebraico hanno deciso di infrangere quest’ultimo tabù anche col rischio di colpire troppo vicine alle infrastrutture della Russia. Evidentemente si vuole dimostrare la capacità del Paese di colpire ovunque soprattutto nel momento in cui c’è urgenza di eliminare carichi ritenuti particolarmente pericolosi. Ma c’è anche chi sospetta che la lettura da dare a queste manovre di Israele sia soprattutto quella di una sorta di “nulla osta” del Cremlino alle operazioni nell’area per evitare perdite tra russi e siriani.

Un altro elemento che aiuta a comprendere cosa sta accadendo in questi giorni in Siria arriva poi dalle parole dello stesso primo ministro israeliano, Naftali Bennet, che poche ore dopo il raid ha dichiarato che il suo governo respinge “le forze cattive di questa regione giorno e notte. Non ci fermiamo un secondo. Accade quasi ogni giorno”. Durante la conferenza stampa congiunta con il premier greco Kyriakos Mitotakis e il presidente cipriota Nicos Anastasiades, Bennet ha ribadito che “di fronte alle forze distruttive, continueremo ad agire in modo persistente”. Frasi che a molti osservatori sono apparse come una velata conferma della responsabilità israeliana nel raid notturno al porto di Latakia.

Infine, l’insolito raid nel porto siriano sarebbe l’ulteriore conferma della crescente tensione tra Iran e Israele. Un’escalation che si intreccia da un lato con i negoziati sul programma nucleare iraniano, e dall’altra con le mosse di Teheran per rafforzare i suoi proxy al confine con lo Stato ebraico. Come scrive Daniele Raineri per Il Foglio, quella iraniana è una strategia che può essere sintetizzata con il concetto di “saturazione”: si vuole rifornire i propri alleati della regione di una quantità tale di missili che i sistemi di difesa israeliani verrebbero saturati e quindi bucati dalla pioggia di razzi provenienti dai diversi angoli fuori dal Paese. Un assaggio, in questo senso, si è avuto con l’ultima crisi tra Israele e la Striscia di Gaza, con il sistema Iron Dome che è entrato in funzione ma senza rappresentare uno schermo totale contro l’enorme quantità di missili lanciata dai territori palestinesi. Evidentemente, se Israele interviene vicino ai russi o addirittura in pieno giorno (come accaduto nell’ultimo raid proprio nei pressi dello stesso porto), è possibile presumere che la Repubblica islamica abbia fatto passi in avanti nel rafforzare i legami con Hezbollah e le milizie sciite. Del resto anche la Marina iraniana è riuscita ad arrivare nel terminal siriano nonostante la guerra di sabotaggi che coinvolge Mediterraneo orientale, Mar Rosso, Mare Arabico e Golfo Persico. E questo indica che la guerra ombra, tra attacchi cyber, informatici, bombardamenti e mosse attraverso i propri proxies sta assumendo caratteristiche sempre più complesse. Un duello continuo in attesa che si decida la partita più importante: il programma nucleare.

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