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Negli ultimi giorni c’è stata una recrudescenza dei raid israeliani che hanno avuto come bersaglio le posizioni delle milizie sciite filoiraniane in Iraq, Siria e Libano, ma l’ultimo attacco avvenuto a Beirut nel corso del fine settimana ha causato la dura reazione di Hezbollah che potrebbe ora passare alla controffensiva e innescare una spirale di violenza che, data la situazione nel Medio Oriente, potrebbe facilmente degenerare.

La notte di sabato un attacco preventivo delle Idf ha sventato quello che sembrava essere un tentativo della Forza Quds iraniana in Siria di attaccare con droni il nord di Israele. Poche ore dopo a Beirut, un secondo attacco attribuibile a Tel Aviv, ma non rivendicato, ha messo nel mirino la roccaforte di Hezbollah con l’utilizzo di due droni, di cui uno sarebbe stato abbattuto.

L’incontro al vertice delle forze sciite a Beirut

Lentamente stanno emergendo dettagli sul tentato attacco di Beirut, sebbene tutti provenienti da fonti libanesi: un primo drone da ricognizione è precipitato poco prima dell’alba del 25 agosto abbattuto, secondo quanto riferisce lo stesso leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, dal lancio di pietre di alcuni giovani residenti nella zona meridionale della città, mentre un altro è esploso sempre nella stessa zona. “Poco dopo – ha aggiunto Nasrallah – è giunto il secondo velivolo, era armato e mirava agli edifici. Era una missione suicida”. Uno dei due droni sarebbe precipitato a poche decine di metri da uno dei centri media del Partito di Dio libanese.

Resta ora da capire il perché di un simile attacco portato da Israele direttamente su obiettivi di Hezbollah a Beirut, e alcune indiscrezioni provenienti da una fonte della sicurezza libanese all’emittente Orient News, legata all’opposizione siriana, potrebbero fornirci la spiegazione. Quella notte si sarebbe tenuto un “incontro segreto” in città alla presenza dei vertici di Hezbollah, del comandante in capo dei Pasdaran, Hossein Salami, e del capo della Forza Quds, Qassem Soleimani. La stessa fonte ha spiegato, come riporta Agenzia Nova, che la delegazione iraniana ha avuto una serie di precedenti incontri in Iraq con i leader dei Mujaheddin del Popolo e a Damasco con il presidente siriano al-Assad.

L’attacco coi droni, non ancora ammesso da Israele, potrebbe quindi avere avuto come bersaglio la “testa del serpente” delle forze sciite filoiraniane presenti in Libano, Iraq e Siria riunite a Beirut nello stesso luogo e nello stesso momento: un’occasione troppo ghiotta per non tentare un “attacco suicida”, come lo ha definito Nasrallah, di decapitazione.

La fine di una “tregua”

Quello che conta, come sempre accade, non è chi abbia realmente fatto cosa, ma quello che il proprio avversario pensa sia avvenuto: che fosse realmente un attacco suicida per cercare di eliminare il vertice delle forze sciite o meno, poco importa; è invece importante la reazione di Hezbollah che ha avuto toni molto duri per bocca dello stesso Nasrallah.

Il leader sciita ha promesso infatti che i combattenti del Partito di Dio sono pronti ad abbattere qualsiasi drone israeliano sui cieli libanesi. Rivolgendosi poi al premier israeliano Benjamin Netanyahu, Nasrallah ha dichiarato: “tu e il tuo esercito sapete che non stiamo scherzando”.

Anche dopo un successivo attacco israeliano, che, nella giornata di domenica, ha colpito un convoglio sul confine tra Iraq e Siria causando 9 vittime tra le milizie sciite, Nasrallah non ha usato toni conciliatori: ha accusato Israele di violare “le regole del gioco” e ha minacciato una dura ed immediata risposta presumibilmente avente origine in Libano aggiungendo “dico ai soldati israeliani al confine di temere la nostra risposta a cominciare da stanotte”.

La Difesa israeliana non ha affatto sottovalutato le minacce di Hezbollah ed ha immediatamente aumentato lo stato d’allerta del sistema Iron Dome nel nord del Paese e dei posti di frontiera con il Libano e la Siria.

Ci sono stati dei precedenti infatti: nel 2015 un missile anticarro uccise due militari israeliani ad Har Dov, lungo il confine libanese, in risposta ad un attacco di Israele che eliminò Jihad Mughniyeh, un ufficiale di Hezbollah e un generale iraniano nel Golan siriano.

L’estate calda di Israele tra raid anti Iran e allarmi terrorismo (Infografica di Alberto Bellotto)

Israele ha infatti oltrepassato, con questo ultimo raid effettuato coi droni, una “linea rossa” che sino ad oggi aveva garantito una certa stabilità tra Hezbollah e Israele: fintanto che Israele ha lasciato il Libano fuori dalle sue operazioni aeree il Partito di Dio non ha mai reagito agli attacchi di Tel Aviv in Siria che hanno avuto come bersaglio le milizie sciite.

Sembrerebbe quindi essersi rotta una tregua di lunga durata che aveva permesso a Netanyahu di concentrarsi sulla striscia di Gaza e sulla Siria avendo sostanzialmente messo in sicurezza il confine con il Libano.

Washington per ora tace

La reazione di Washington a questa ultima serie di attacchi israeliani per ora non c’è stata, ma possiamo ipotizzare che la Casa Bianca non sia affatto contenta dell’esacerbarsi ed allargarsi del conflitto che sta avendo luogo in Medio Oriente tra Iran ed Israele.

Sebbene abbia più volte dimostrato di mantenere una linea dura con Teheran, gli Stati Uniti non sembrano volere uno scontro aperto che implicherebbe necessariamente il ricorso ad un’operazione militare – Trump già una volta sembrerebbe aver fermato un attacco aereo – preferendo piuttosto mostrare i muscoli per cercare di portare l’Iran ad un nuovo tavolo di trattative.

Dal punto di vista dell’attività delle milizie sciite, pur condannando fermamente Hezbollah – che per Washington è ancora un’organizzazione terrorista – e facendo in modo di isolarla diplomaticamente in ambito internazionale, la Casa Bianca mantiene sempre un canale diretto aperto con Nasrallah che recentemente ha ammesso che l’amministrazione americana “sta cercando di aprire canali di comunicazione con Hezbollah in Libano attraverso mediatori”.

La riapertura a tutto campo delle ostilità tra Israele ed Hezbollah potrebbe pertanto minare i piani degli Usa per una pax americana in Medio Oriente: già in occasione dei raid in Iraq la Casa Bianca ha duramente redarguito Tel Aviv intimandole di cessare ogni operazione militare nei cieli iracheni per evitare il rischio di vedersi estromessa dall’Iraq e di perdere un alleato prezioso – e le sue basi comunque preziose per il controllo dell’area del Golfo – nella crisi con l’Iran.

Nelle prossime ore sarà interessante guardare a cosa farà Washington: se proseguirà nel silenzio è ipotizzabile che la linea dura di Netanyahu venga premiata dall’amministrazione Trump che ha dimostrato, proprio al G7 di Biarritz, di non concedere troppo all’Iran affrettandosi a far sapere che non ci sarebbe stato nessun incontro tra il ministro degli Esteri iraniano Zaif e la delegazione americana se pur avendo aperto alla possibilità di un incontro al vertice tra il presidente Usa e Hassan Rouhani che ponga le basi per una ridefinizione dell’accordo nucleare Jcpoa, possibilità che Israele non vede di buon occhio.





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