Quando si è diffusa la notizia delle prime fosse comuni a Bucha, dopo il ritiro a fine marzo dei russi dall’area di Kiev, sui media ucraini sono spuntate le foto della brigata accusata di aver compiuto strage tra i civili. Si notavano tratti somatici asiatici, uno dei soldati teneva in mano la bandiera della Jacuzia, la più grande entità autonoma della federazione russa, nonché parte integrante del circondario federale dell’Estremo Oriente. Su chi ha commesso quelle stragi e su quali erano le brigate realmente presenti ancora non c’è certezza. Ma la diffusione di quelle foto ha evidenziato uno degli elementi più importanti per capire come la Russia sta affrontando questa guerra. In Ucraina a combattere sono arrivati migliaia di ragazzi dalla Russia più periferica, quella che si getta sul Pacifico o che confina con Cina, Mongolia e Corea del Nord.
La stima delle vittime
Se la foto relativa a Bucha ha rappresentato un indizio, il numero dei morti russi in Ucraina rappresenta invece una certezza. La differenza nella proporzione tra i caduti di guerra nelle città dell’occidente russo e i caduti invece provenienti dall’estremo oriente è impietosa. A rivelarlo, come rilevato da Federico Fubini sul Corriere della Sera, è un centro di ricerca che clandestinamente sta riuscendo in questi mesi a tenere aggiornato il numero delle vittime russe nel conflitto. Di dati ufficiali infatti ce ne sono pochi e non sembrano essere molto vicini alla realtà. L’ultimo aggiornamento del ministero della Difesa di Mosca risale al 25 marzo e parla di 1.351 caduti. Chiaro come dal Cremlino sia arrivato l’input di non rendere palese le cifre reali sui soldati morti in terra ucraina. Se dalla capitale russa si esagera al ribasso, a Kiev invece al contrario si esagera al rialzo. Il ministero della Difesa ucraino aggiorna costantemente e a cadenza quotidiana il numero dei caduti russi e parla di oltre trentamila soldati uccisi, una cifra forse più figlia della propaganda che della realtà.
These are the indicative estimates of Russia’s combat losses as of June 24, according to the Armed Forces of Ukraine. pic.twitter.com/4mKGNfFs2V
— The Kyiv Independent (@KyivIndependent) June 24, 2022
Così, per provare a scovare la verità, il team di ricerca clandestino sta monitorando la situazione in tutto il territorio della federazione. C’è chi controlla le chat su Telegram, per verificare denunce di scomparsa di parenti o amici, chi invece i necrologi che appaiono ogni giorno anche nelle più remote località russe, oppure ancora chi gira tra i cimiteri per vedere se appaiono foto di ragazzi in divisa tra le tombe. A coordinare la ricerca è il team della Notre Dame University della California, in cui lavora la ricercatrice russa Maria Vyushkova. Secondo lei, il dato più verosimile è quello stimato dal Pentagono, ossia 15mila caduti russi dall’inizio della guerra.
Tra questi, il 4.5% appartengono all’etnia buriata, popolazione di origine mongola che abita nella Repubblica di Buriazia, situata nel circondario federale dell’estremo oriente e confinante con la Mongolia. La proporzione, hanno spiegato i membri del team di ricerca, è impietosa: nonostante i buriati compongano lo 0.3% della popolazione della federazione, costituiscono per l’appunto il 4.5% del totale dei caduti russi. Un discorso analogo a quello che si può fare per i caduti provenienti dalla Repubblica siberiana di Tuva, abitata da un’etnia turcofona. In questo territorio risiedono 320mila abitanti, molto pochi paragonati alla sola area urbana di Mosca che ne conta venti milioni. Eppure, il numero di caduti provenienti da Tuva è di sei volte più grande rispetto a quello dei morti originari della capitale.
Da dove provengono i soldati russi
Non solo Buriazia e Tuva. Molti caduti in Ucraina arrivavano dalla Jacuzia, così come dagli oblast siberiani o dalle province dell’estremo oriente. Luoghi lontani migliaia di chilometri sia dai centri di potere russo che dai fronti della battaglia. Una lontananza non solo geografica, ma anche politica e culturale. Il Cremlino, tra le motivazioni date per l’attacco all’Ucraina, ha sempre sostenuto di agire per difendere la popolazione russa e russofona del Donbass. Un discorso che a soldati turcofoni, mongoli, musulmani e buddisti potrebbe anche non interessare o comunque potrebbe anche essere ritenuto per l’appunto come lontano, non decisivo per le proprie terre di origine. E invece è proprio a loro che è stato chiesto di combattere e di morire nell’est dell’Ucraina. Forse è un po’ più vicino geograficamente il Caucaso: molti militari provengono dal Daghestan e dalle altre repubbliche e province dell’area e molti di loro non hanno nel russo la propria lingua madre. I più motivati sono i ceceni, ma soltanto per la vicinanza politica tra il leader ceceno Ramzan Kadyrov e il Cremlino.
Perché Mosca usa soprattutto soldati dell’estremo oriente
La dinamica osservata in seno all’esercito russo non è molto diversa da quella riscontrata in altri eserciti. In Iraq molti caduti statunitensi avevano cognomi di chiara origine sudamericana. Centinaia di latinos sono morti nel deserto iracheno durante il conflitto del 2003 contro Saddam Hussein. Spesso gli eserciti hanno al loro interno persone provenienti dalle aree più povere di un Paese o rappresentanti di classi sociali meno abbienti. Indossare la divisa a volte rappresenta l’unica reale e concreta alternativa alla disoccupazione, nonché l’unica possibilità di avere un reddito e ricevere uno stipendio. Questo quindi vale anche per la Russia. Dalla periferia più povera e più emarginata, economicamente e socialmente, in migliaia si sono arruolati negli anni passati e costituiscono una forte ossatura dell’esercito russo.
Per Putin questo rappresenta un vantaggio. Perché di fatto il Cremlino sta riuscendo a tenere lontana dalla guerra la parte europea della Russia, quella più ricca e influente. A Mosca, così come a San Pietroburgo, i giovani stanno continuando a vivere la propria quotidianità. Il conflitto, pur se geograficamente più vicino e politicamente più sentito, ha l’aspetto dato dai telegiornali e non dalla vita di trincea. Questo permette al governo russo di renderlo più popolare e di non scalfire più di tanto l’appoggio alle operazioni militari. Meno morti si piangono al di qua degli Urali, più il Cremlino ha margine di manovra nell’opinione pubblica.