La blitzkrieg in territorio russo in quel di Belgorod ha portato il conflitto in Ucraina ad un altro livello. Se fino a oggi le varie componenti della galassia dei miliziani anti-Putin sono venute allo scoperto in episodi via via più virulenti, dopo l’incursione di lunedì scorso emerge anche un certo coordinamento fra le varie cellule, almeno tra la Legione Libertà per la Russia e il Corpo dei volontari russi.
Ilya Ponomarev: foraggiatore o regista?
Ad ogni modo, ogni qualvolta, in un anno e tre mesi di guerra, si è verificato un attacco contro Mosca e i suoi fedelissimi, al centro della scena c’è sempre lui, Ilya Ponomarev. L’ex deputato della Duma che votò contro l’annessione della Crimea nel 2014 ed è poi finito in esilio a Kiev. Quello a cui i “partigiani” affidano comunicati, quello osannato e ripostato dai gruppi Telegram delle milizie, l’anchorman di un tg da lui fondato e che fa da megafono alle prodezze sul campo di queste forze.

della Duma
Ilya Ponomarev
L’account Facebook di Ponomarev è una fucina di informazioni sulle operazioni della guerriglia anti-Putin. Se qualcosa sta per accadere, i suoi post lo lasciano intendere in anticipo. E le ultime ore lo hanno dimostrato ancora una volta. Tutto comincia lunedì scorso, quando Ponomarev pubblica un post nel quale annuncia che i militari della Legione stavano avanzando su Belgorod e che la bandiera bianco-blu sventola già sul suolo russo, assieme alla bandiera del Kazakistan. A corredo dei post anche un video, per lo più confuso e di scarsa qualità, che racconta l’operazione. Poco dopo, i media mondiali si scatenano: l’attacco a Belgorod diventa ufficiale. Ponomarev fa immediatamente da megafono alle dichiarazioni della Legione e del suo “Caesar”. I post si fanno sempre più dettagliati, con mappe e video che raccontano l’operazione passo passo: nel frattempo la guerriglia è già a Gravyoron, la cittadina dell’oblast di Belgorod a soli 5 km dal confine.
Gli obiettivi dell’incursione a Belgorod svelati
Le richieste di Ponomarev si fanno più audaci: incalza il nemico Putin, ironizza su chi debba firmare l’atto di resa. Nel corso dell’operazione l’ex deputato annuncia che l’incursione non si fermerà e che le forze in campo stanno addirittura superando Gravyoron e puntando su Churovichi e Bezlyudovka. Nel frattempo, la star di February Morning riferisce che il personale della zona sta fuggendo attraverso autobus messi a disposizione dall’amministrazione: Ponomarev avalla l’ipotesi che più di qualcuno suggerisce, ovvero che Mosca non debba attaccare militarmente la regione (e russi, sebbene anti-Cremlino) ma trattare con i miliziani. Sappiamo bene che non accadrà.
Al culmine dell’attacco, Ponomarev fa due cose importanti. Chiama la missione “operazione speciale” e annuncia di andare in diretta sulla sua piattaforma assieme a Roman Popkov, lo strano amico che ha indicato nei giorni precedenti come il riferimento dei Rospartizan. Negli interventi che si susseguono sul canale, Ponomarev svela parzialmente il primario obiettivo delle incursioni: gettare fumo negli occhi agli strateghi di Putin. Con la maggior parte delle forze russe al fronte, la missione è quella di far scattare continui allarmi che costringano il Cremlino a correre qui e lì per difendere il territorio della Federazione. L’obiettivo successivo, dichiara, è quello di creare un pezzo di Russia libera sulla quale issare la bandiera bianco-blu, distraendo l’esercito russo prima della grande offensiva ucraina. A facilitare il lavoro, la fuga del personale russo dalle zone di incursione, che non avrebbero opposto resistenza ma sarebbero semplicemente fuggite.

L’incursione non finisce a Belgorod
Arriva mercoledì 24 maggio. Mentre si discute ancora di Belgorod, si verifica una coincidenza singolare. Il segretario del Consiglio di difesa e sicurezza ucraino Oleksiy Danilov annuncia che ci saranno nuove azioni nei territori di confine e dichiara: “Bryansk, Kursk, Voronezh e altre regioni non possono essere sicure, dato il numero di cittadini russi che sono contro il regime”. Qualche ora dopo, sempre sul suo profilo Facebook, Ponomarev scrive “Kursk, come va?”. Sui canali a lui connessi si plaude alla Legione che in un giorno ha conquistato più territorio che la Wagner in un anno a Bakhmut. L’obiettivo è attaccare su quegli 800 km di confine che, per essere difesi al meglio, richiederebbero a Mosca il ritiro di migliaia di soldati dal teatro di guerra. Cosa che il Cremlino non può permettersi. Nel frattempo, i miliziani della Legione rientrano oltreconfine e tentano di raffazzonare una sorta di conferenza stampa on the road con i media internazionali: Ponomarev è lì con loro. Media le domande e risponde sulle ragioni che hanno indotto all’operazione. Oltre a mettere in difesa la Russia, la grande pubblicità dell’operazione servirà a reclutare nuove leve timorose di unirsi alla resistenza. Contemporaneamente, un’altra forma di resistenza viene propagandata fra i contatti di Ponomarev: si invitano i supporter di Alexei Navalny di uscire in strada il giorno del suo compleanno, il 4 giugno, in Russia e ovunque nel mondo sia presente la diaspora russa.
Ponomarev svela il suo ruolo
Man mano che passano le ore, il ruolo di Ponomarev sembra farsi sempre più chiaro. Meno chiaro è invece l’eventuale triangolo che lui e la guerriglia anti-Putin compongono con Kiev. Così come ancora oscuro è l’eventuale quadrato che tutto questo comporrebbe con Washington e la Nato: il dubbio sulla presenza di mezzi americani nell’area dello sconfinamento sta infatti gettando scompiglio tra Kiev e Washington. Ad ogni modo, le ore che passano permettono di chiarire anche il progetto finale di questo caleidoscopio di forze. “Non esiste apparato repressivo che sia invincibile”, tuona il giornalista. Nella sua visione la Russia può essere conquistata, e qualora le truppe anti-regime vadano ad aumentare, il Cremlino potrebbe non resistere: “Quando le nostre truppe si trasferiranno a Mosca, tutti si disperderanno lì. È solo questione di tempo. Il regime traballa e quando le truppe ucraine entreranno in Crimea, germoglierà“, conclude.
A queste dichiarazioni seguono ancora approfondimenti sulla conferenza stampa della Legione, che svela le prossime operazioni, all’interno delle quali vengono citate Rostov, Vladivostok e Mosca stessa. I miliziani ribadiscono che i segnali sono più che positivi e che le forze russe si sarebbero arrese senza combattere, segno che impreparazione e morale basso stanno fiaccando i russi oltreconfine. L’idea è quella di puntellare il confine con continue incursioni che, passo dopo passo, possano creare un cuscinetto sempre più ampio. Quello che non è chiaro è se gli attacchi siano tutti fulminei con relativa ritirata, pur spingendosi sempre più in là, o se costituiranno la base per creare una zona franca dove neutralizzare le forze russe per spingersi sempre più in là. Quanto è probabile, tuttavia, un'”operazione speciale” di questa guerriglia in suolo russo? Dipende da chi la battezza. Kiev sa di non poter tirare troppo la corda.
Kiev e i partigiani anti-Putin vogliono la stessa cosa?
Le parti si invertono: ora Kiev vuole vedere Mosca sulla difensiva. Nella giornata di mercoledì, l’Ucraina è tornata a colpire la regione di Belgorod, puntando poi alla flotta di Mosca nel Mar Nero. Perché la “controffensiva è già in corso da giorni, è una guerra intensa lungo 1.500 chilometri di confine, ma le azioni sono già partite”, ha chiosato Mikhaylo Podolyak, consigliere del presidente Zelensky. “Numerosi attacchi di droni” sono stati registrati nella notte sulla regione russa, ha riferito il governatore Vyacheslav Gladkov, sottolineando che “la maggior parte dei sistemi di difesa aerea ha retto, ma ci sono danni” e almeno una persona è rimasta ferita.
Intanto, la vendetta di Kiev si è abbattuta anche sui mari, dove all’alba di mercoledì la Ivan Khurs, la più avanzata nave da ricognizione della Marina russa, è stata oggetto di un attacco con tre droni marini mentre attraversava il Bosforo. Una giornata al fulmicotone che ha costretto perfino Kiev a “confessare” il legame con la guerriglia ex fantasma: l’establishment ucraino ha ammesso per la prima volta di “collaborare” con i combattenti russi anti-Putin responsabili dei raid. “Comunichiamo e condividiamo alcune informazioni”, ha dichiarato al Financial Times Andriy Chernyak, funzionario del ramo militare dell’intelligence ucraina, negando tuttavia l’ingresso di truppe ucraine in Russia e la fornitura di armi americane ai gruppi della resistenza.
Il conflitto ora sposta il suo baricentro sempre più ad est. Non si combatte più per il Donbass, per Kiev o per Bakhmut. Ora ci si batte nella fettuccia a cavallo tra Ucraina e Russia, nel bel mezzo di una invasione, resistenza e contro-invasione. Ma dove vogliono arrivare i guerriglieri anti-Putin? Ponomarev lo ha dichiarato più volte: “la guerra non finirà in Ucraina, bensì a Mosca”.