Il bombardamento di Tajoura, con la strage accaduta all’interno del centro d’accoglienza, dimostra ancora una volta (qualora ce ne fosse realmente di bisogno) che la guerra in Libia prosegue e procede, continuando nella sua scia di morte e devastazione. E in questo contesto, adesso sotto un profilo politico diversi attori internazionali guardano al coinvolgimento delle potenze straniere nel paese nordafricano. E dopo i droni turchi e le accuse di Haftar ad Ankara, adesso sotto i riflettori ci sono i missili americani trovati dalle milizie di Al Sarraj a Gharyan. Armi che, secondo le ultime indiscrezioni, sarebbero arrivate dagli Emirati Arabi Uniti.
Quei missili emiratini scovati a 120 km da Tripoli
Come già ricordato nei giorni scorsi, le milizie vicine al governo di Al Sarraj riescono a riprendere la città di Gharyan, luogo strategico ma anche simbolico. Proprio da qui lo scorso 4 aprile parte l’offensiva di Haftar verso Tripoli, è qui che il generale uomo forte della Cirenaica piazza le sue truppe d’avanguardia per puntare sulla capitale. Perdere Gharyan è un colpo molto duro per il Libyan National Army (Lna), l’esercito per l’appunto guidato da Haftar. Si ha notizia della cattura di diversi soldati e una situazione a livello umanitario molto difficile per la popolazione civile.
Ma a suscitare maggior clamore, è il ritrovamento di alcuni missili di fabbricazione americana all’interno della cittadina passata nuovamente nelle mani del governo di Tripoli. Si tratta, in particolare, di quattro razzi “Javelin“: molto probabilmente, scrive nei giorni scorsi il New York Times, questo materiale è stato venduto negli anni scorsi agli Emirati Arabi Uniti. Come siano arrivati in Libia è facile intuirlo: Abu Dhabi già da anni è tra i principali sponsor del generale Haftar, dunque nulla di strano che materiale del genere sia a disposizione del Libyan National Army.
La stampa Usa ipotizza una sorta di triangolazione tra Emirati, Egitto e Haftar: un giro di armi che non riguarda solo i razzi Javelin, ma anche altri armamenti nell’attuale disponibilità sia egiziana che emiratina passati poi nelle mani dell’Lna.
Aperta un’inchiesta interna negli Usa
Ma il caso comunque non si sgonfia, almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti. La Libia ha sulle armi un embargo dal 2011, anno della guerra tra ribelli e Gheddafi. Eppure il paese è una sorta di caserma a cielo aperto: soprattutto nelle ultime settimane arriva di tutto sia a Tripoli che a Bengasi. Turchi e qatarioti aiutano Al Sarraj, egiziani ed emiratini invece supportano Haftar. Ma sorge spontanea una domanda: gli Usa sanno che alcune delle proprie armi giungono in Libia e sono nella disponibilità del generale della Cirenaica? Un quesito che alcuni giornalisti del New York Times rivolgono nei giorni scorsi a funzionari del Dipartimento di Stato.
Quest’ultimi rispondono di aver aperto un’inchiesta interna: “Abbiamo visto queste informazioni sui Javelin e stiamo indagando. Ci aspettiamo che tutti i paesi che ricevono armi dagli Stati Uniti rispettino gli impegni sull’uso finale”, dichiarano da Washington. Dunque, si indaga per comprendere come mai i razzi in questione siano giunti fin nel cuore della Tripolitania. Ma negli Usa in tanti non credono per la verità a questa inchiesta interna. C’è chi ipotizza invece la possibilità che, dietro lo scambio di armi tra Abu Dhabi e Haftar, la regia americana non è così assente.
Del resto la posizione Usa sulla Libia appare ambigua: da un lato Washington riconosce il governo di Al Sarraj, dall’altro Trump ad aprile chiama ad Haftar per esprimergli apprezzamento circa il suo ruolo nella lotta al terrorismo. E ancora, da un lato gli Usa provano a rimanere ai margini del dossier libico, ma dall’altro nel sud del paese i droni americani stanziati in Niger non di rado vengono usati per bombardare presunti obiettivi dei gruppi jihadisti. Dunque, in questo contesto non del tutto chiaro, forse da Washington qualche spinta a favore di Haftar, almeno di recente, potrebbe essere realmente partita.