La guerra in corso nel Caucaso non è molto lontana dal minacciare infrastrutture vitali per il trasporto di forniture energetiche verso l’Europa. Poco più a nord della regione del Nagorno- Karabakh, epicentro dell’attuale crisi militare che vede contrapposti Armenia e Azerbaijan, passano gasdotti e oleodotti capaci di trasferire verso il vecchio continente quantità non indifferenti di gas e petrolio. Percorsi non così lontani dall’essere a tiro dell’artiglieria armena, la quale potrebbe creare gravi danni all’economia azera visto che le infrastrutture in questione attraversano per intero il territorio della repubblica ex sovietica. Ma per davvero gas e petrolio saranno nel mirino di questa guerra? E, per quel che riguarda l’Europa, si corre il rischio di una crisi energetica?
L’accusa di Baku: “L’Armenia ha provato a sabotare gli oleodotti”
La vendita di forniture energetiche ha assicurato all’Azerbaijan in questi anni entrate notevoli. Basti pensare che la Socar, l’azienda azera che si occupa dell’estrazione e dell’esportazione di gas naturale e petrolio, è diventata una delle più importanti del settore. Il suo nome più di recente è associato anche a sponsorizzazioni di club ed eventi sportivi in Europa, segno di come a Baku si è iniziato a pensare, grazie soprattutto all’oro nero, a una prima strategia di soft power in salsa caucasica. Appare quindi ben evidente quanto delicato sia per gli azeri evitare il coinvolgimento delle strutture energetiche nel conflitto. Due, in particolare, le opere a cui si guarda con molta attenzione: da un lato il gasdotto South Caucasus Pipeline, dall’altro invece l’oleodotto che scorre in parallelo e che da Baku porta il greggio a Tbilisi per poi scendere dalla Georgia fino alla città portuale turca di Ceyhan.
I servizi azeri e turchi dall’inizio dell’escalation del conflitto hanno più volte ribadito di dover controllare con attenzione le due infrastrutture, in quanto nel mirino degli armeni. Nelle ultime ore l’oleodotto, secondo quanto riferito dalle autorità di Baku, avrebbe subito un tentativo di sabotaggio. Per la verità non è chiaro in che cosa sono consistiti i tentativi di danneggiamento dell’infrastruttura, per i quali gli azeri incolpano gli armeni, anzi anche in questo caso è in corso una vera e propria battaglia mediatica. Se dall’Azerbaijan si è puntato il dito contro azioni di sabotaggio, da Yerevan hanno fatto sapere che in realtà simili accuse sono false e volte a denigrare l’operato armeno. Dalla capitale azera hanno assicurato che le forze locali sono riuscite a sventare l’attacco, ma la tensione rimane alta. Anche perché oltre ai sabotaggi, l’oleodotto e il gasdotto potrebbero essere oggetto di bombardamenti.
Cosa significherebbe per l’Azerbaijan perdere gli oleodotti
Il Paese caucasico è ricco di petrolio e di gas naturale, ma non ha sbocchi a mare. Eccetto ovviamente quelli sul mar Caspio che però, a dispetto del nome, è un bacino idrico chiuso e a volte considerato come un vero e proprio lago. Baku quindi per esportare le sue risorse deve ricorrere unicamente a gasdotti e oleodotti, le sole vie in grado di far approdare in Europa e nel mercato globale i prodotti energetici di cui dispone. Un minimo danno al South Caucasus Pipeline oppure all’oleodotto Btc (Baku – Tbilisi – Ceyhan) e per l’Azerbaijan sarebbe impossibile continuare con le esportazioni delle sue risorse. E, di conseguenza, la sua economia ne risulterebbe gravemente danneggiata e compromessa. Un problema che riguarda il Paese caucasico, ma che al tempo stesso ha a che fare con la Turchia: Ankara importa molte risorse energetiche dal suo vicino, difficilmente sostituibili nell’immediato facendo ricorso a materie prime di altri mercati. Per questo la guerra nel Nagorno – Karabakh potrebbe rischiare di trasformarsi anche in un conflitto in grado di coinvolgere alcune delle infrastrutture vitali per il Caucaso. Dai gasdotti e dagli oleodotti non passano per adesso solo gas e petrolio, bensì anche una buona fetta delle strategie militari del conflitto attualmente in corso.
L’Europa rischia una crisi energetica?
Assodato che per l’Azerbaijan e la Turchia danni alle infrastrutture militari rappresenterebbero un grave problema, la stessa domanda è possibile farla per il vecchio continente. Nei giorni scorsi si è ventilata la possibilità di trovarsi alla vigilia di una crisi energetica. Un recente studio dell’Ispi ha ridimensionato l’allarme. A partire dalle forniture di gas, destinate ad aumentare in vista dell’attivazione del gasdotto Tap prevista entro l’anno. Ma anche con questa infrastruttura in attività, complessivamente per l’Europa arriverà non più del 3% del fabbisogno del continente, come ha fatto notare Fabrizio Anselmo sul sito dell’Ispi. Una percentuale non così alta da provocare eventuali gravi problemi con quantità di gas sostituibili facendo ricorso ad altri mercati. Discorso un po’ diverso per il petrolio, specialmente per l’Italia: Baku è una delle più importanti fornitrici di oro nero del nostro Paese, seconda solo all’Iraq in questa particolare classifica. Un blocco delle esportazioni del greggio azero per Roma avrebbe un impatto non secondario, pur se superabile nel medio termine. A livello europeo invece, la quantità di petrolio azero mancante potrebbe essere sostituibile facilmente aumentando le importazioni da altre parti.
Sotto il profilo più globale, un improvviso stop alle esportazioni di gas e petrolio azeri non causerebbe fluttuazioni eccessive nei prezzi. Questo vale soprattutto per il petrolio, visto che l’emergenza coronavirus ha generato un surplus nella disponibilità di oro nero tale da consentire un’immediata compensazione.