Nel 2021 il Mediterraneo orientale è stato teatro di un’apparente calma, se messa a confronto con la pericolosa escalation che l’anno precedente ha quasi scatenato una tempesta geopolitica con protagoniste alcune aree dell’Europa, il Medio Oriente ed il Nord Africa. Ma questa calma attuale è soltanto una fase temporanea? È stata davvero trovata una stabilità fra poteri che possa portare ad un nuovo equilibrio? Oppure questo inasprimento è andato aumentando in altri modi e la tempesta geopolitica diromperà nuovamente nel 2022? Qui di seguito alcuni fattori chiave da considerare in caso si voglia guardare oltre l’orizzonte e determinare lo stato della sicurezza marittima del Mediterraneo nell’immediato futuro.

La crisi del Mediterraneo orientale nel 2020 è stata la chiave di svolta

Nell’agosto 2020, il confronto navale più scottante del XXI secolo tra Grecia e Turchia è quasi scoppiato in un conflitto aperto quando una nave da guerra turca ed una greca si sono scontrate nel culmine delle tensioni. Arrivando in soccorso della Grecia, la Francia ha inviato le sue navi da guerra verso le acque contese, di lì a poco scaglionando anche la sua nave ammiraglia, la portaerei nucleare Charles de Gaulle. L’Egitto eseguiva manovre navali congiunte con la Grecia mentre gli Emirati Arabi Uniti (EAU), fedeli antagonisti di Ankara lungo il versante sud del Mediterraneo, inviavano i loro jet da caccia F-16 per condurre esercitazioni congiunte di aeronautica militare con la Grecia, nello spazio aereo sopra l’area del conflitto. Con Francia, Egitto ed EAU già in aperto conflitto con la Turchia in Libia, in campo internazionale si accendevano spie d’allarme per segnalare che ogni ulteriore escalation avrebbe portato ad una conflagrazione in tutto il Mediterraneo. Nonostante un procedimento di prevenzione del conflitto guidato dalla NATO abbia reso possibile un parziale rallentamento delle tensioni, nessuna delle parti è rimasta inattiva. Alcune correnti geopolitiche in rapido cambiamento nel territorio hanno creato nuove situazioni strategiche le cui implicazioni necessitano di essere esaminate.

La nuova profondità strategica della Grecia

In assenza di una garanzia di sicurezza convincente da parte dei suoi partner europei, la Grecia ha passato l’ultima metà dello scorso decennio a sviluppare sapientemente i suoi rapporti di difesa con Egitto ed Israele, e di conseguenza con gli EAU e l’Arabia Saudita. Gli sforzi di Atene stanno decisamente dando i loro frutti: combinandoli con il coinvolgimento di prescelti membri UE, in particolare la Francia, la Grecia sta costruendo una funzionale capacità deterrente fuori dalla cornice dell’Unione Europea e della NATO. Dalla notevole dimostrazione della solidarietà medio-orientale alla Grecia nel confronto navale con la Turchia dell’agosto 2020, le partnership di sicurezza territoriale della Grecia hanno raggiunto un livello di cooperazione strategica addirittura maggiore.

Il 15 settembre 2020, la firma degli “Accordi di Abramo”, che formalizzavano le relazioni tra EAU ed Israele, è stata una benedizione in fatto di strategia per la Grecia, poiché ha connesso in maniera più salda il suo circolo di sodalizi di sicurezza, nel complesso tutti allineati per controbilanciare l’espansione della “diplomazia coercitiva” della Turchia nel territorio. Il 18 novembre 2020, la Grecia e gli EAU hanno firmato un patto di sicurezza che includeva una clausola di difesa reciproca sullo stile dell’Articolo 5. Nel corso del 2021, il colosso di diplomazia militare greca si è mosso ancora più rapidamente. Nel gennaio di quest’anno, Israele ha firmato un accordo ventennale del valore di 1,68 miliardi di dollari con la Grecia – il più grande patto di difesa fra le due nazioni mai esistito – per il quale la compagnia privata di difesa israeliana Elbit Systems si impegnava a creare e mantenere un impianto di addestramento al combattimento aereo in Grecia per la Hellenic Air Force. Il colosso manifatturiero italiano di difesa Leonardo avrebbe fornito loro gli avanzati jet trainer M-346. L’innovativa accademia di addestramento al combattimento aereo si basa sul patto fra Grecia e Francia del 2020, che stabiliva la compravendita di almeno 18 jet da combattimento Rafale del valore di 2.5 milioni di dollari, tutti atti a chiudere il divario nella maestria nel combattimento aereo fra Grecia e Turchia. Nel tardo settembre 2021, Parigi ed Atene hanno firmato un nuovo patto di difesa reciproca bilaterale, accompagnato dall’acquisto da parte della Grecia di tre fregate Belharra e tre corvette Gowind dalla Francia, per un valore totale di 5 miliardi di dollari.

Questi rapporti forniscono alla Grecia lo spessore strategico di cui aveva bisogno – sia da un punto di vista geografico che tecnico e psicologico. Sostenuta dai primi segni di una ripresa economica, la Grecia non è più la problematica appendice della penisola balcanica a carico dell’Europa, come molti nell’Unione Europea hanno cercato di definirla durante la crisi del debito sovrano dell’UE. La Grecia si sta imponendo come una potenza del Mediterraneo orientale che sa sfruttare i suoi collegamenti strategici con il Nord Africa ed il Medio Oriente. La nuova profondità strategica trovata dalla Grecia continua ad espandersi attraverso il rafforzamento del rapporto militare della repubblica ellenica con il regno dell’Arabia Saudita, che ha avviato la sua prima esercitazione militare bilaterale con la Grecia, “Eye of the Falcon 1”, nel marzo 2021. Per dimostrare la potenza del suo nuovo status territoriale, la Grecia ha ospitato nel settembre 2021 le “esercitazioni Hercules 21’” – la prima esercitazione multilaterale congiunta fra Grecia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

La Turchia è diventata una potenza blue-water

I recenti sforzi della Grecia per ottenere profondità strategica sono stati condizionati dai sorprendenti progressi della Turchia per poter diventare una potenza blue-water. I tentativi della Turchia di espandere la capacità di proiezione del proprio potere nel Mediterraneo sono cominciati due decenni fa, con il programma di Ankara “National Warship” da 3 miliardi di dollari, conosciuto con l’acronimo turco MILGEM e atto ad espandere la capacità della Turchia di distribuire la propria flotta lontano dalle acque costiere. Nel marzo 2012, dieci anni dopo l’avvio del programma MILGEM, l’allora comandante ammiraglio della flotta turca Murat Bilgel ha dichiarato che l’obiettivo navale della Turchia era quello di “operare non solo nei litorali ma anche in mare aperto”, identificando le mire della Marina turca per il decennio a venire nel “miglioramento del ‘sea denial’, della ‘forward presence’ e della capacità limitata di proiezione del suo potere”. Supportata dalla rapida crescita della sua industria per la difesa domestica, la Turchia ha implementato in modo efficiente la sua agenda strategica per far avanzare le proprie basi nel Medio Oriente ed in territorio nordafricano.

Il punto di svolta di queste manovre è arrivato con l’intervento militare che la Turchia ha messo in atto nel 2020, prima per preservare il Governo di Accordo Nazionale e poi per prendere il controllo della Libia occidentale. Il primo intervento di Ankara lontano dalle sue frontiere terrestri e costiere è stato un assoluto successo, e ha creato una testa di ponte strategica per la Turchia nel centro del Mediterraneo. La Turchia mantiene un dispiegamento di potenza aerea nell’appena riconquistata base aerea al-Watiyah, posizionata a 27 chilometri dal confine tunisino, e si dice che stia sviluppando una base navale nella città costiera libica di Misrata. Considerato come il suo primo passo in avanti nel Mediterraneo dopo Cipro settentrionale, la presenza militare smisurata della Turchia in Libia è a dir poco una svolta strategica, che le permette di andare oltre i suoi sforzi di mantenere la propria influenza sul Mediterraneo orientale.

L’intervento in Libia ha inoltre messo in mostra la potenza della sua produzione nostrana di tecnologia bellica e droni da combattimento, in seguito utilizzati da Ankara per soccorrere l’Azerbaijan nella guerra del Nagorno-Karabakh, che ha segnato la fine di trent’anni di impasse contro l’Armenia e cambiato la mappa del sud del Caucaso. I continui progressi della Turchia nello sviluppo dei droni da guerra stanno modificando il volto dell’arte bellica nel Mediterraneo, e potrebbero stravolgere la dissuasione militare per cui la Grecia si sta lottando, specialmente quando entreranno in servizio i vascelli da combattimento senza equipaggio – sia da superficie che sottomarini – fabbricati in Turchia. Ciò che stravolgerà l’equazione strategica del Mediterraneo nel 2022 sarà il presto attivo portaerei leggero TCG Andalou – un ponte da atterraggio per elicotteri basato sul design di classe della Marina spagnola Juan Carlos I. Il TGC Andalou sarà in grado di trasportare un arsenale formidabile di droni da combattimento turchi in ogni punto dello scenario mediterraneo. Poiché si tratta di una nave anfibia d’assalto, potrà trasportare un battaglione da mille con 150 veicoli, compresi carrarmati da combattimento, per lo sbarco delle truppe marine. Una vera e propria proiezione di potere blue-water, il TGC Andalou gioverà considerevolmente agli sforzi della Turchia per portare a compimento il suo piano strategico nel Mediterraneo.

L’escalation si stabilizzerà nel 2022? Cipro potrebbe essere la chiave

Il maggiore livello di cooperazione per la difesa fra la Grecia ed i suoi partner extra-europei ha inoltre portato Ankara a dedicarsi ad impegni diplomatici importanti, prima in Egitto ed Israele e poi negli EAU e in Arabia Saudita, come misura di contro-bilanciamento. Nel 2021 la Turchia ha agito sulla sua necessità di ricalibrare le politiche nei confronti dei vicini stati levantini e del Golfo in modo da alleggerire il suo stato di isolamento. Questa apertura diplomatica crea l’opportunità di aumentare la cooperazione commerciale fra gli stakeholder del territorio, che potrebbe in futuro fungere da freno alla rinnovata escalation navale. Sebbene ci sia almeno al momento un equilibrio temporaneo fra poteri, un’opportunità simile non dovrebbe andare sprecata.

Con i vari focolai di conflitto interconnessi, non c’è ragione di pensare che sia stato raggiunto un equilibrio stabile nel Mediterraneo orientale. Nessuna delle questioni fondamentali latenti è stata risolta. Il punto più vulnerabile nell’architettura attuale per la sicurezza è Cipro. Membro dell’UE ma non della NATO, Cipro è stato sotto un embargo sulle armi imposto dagli Stati Uniti fino al 2020, e di conseguenza ha capacità navali insufficienti per potersi difendere. La Turchia mantiene oltre 30000 truppe sul lato nord dell’isola, e ha stabilito una base per i suoi droni da combattimento nell’auto-dichiarata Repubblica turca di Cipro del Nord. Nel 2021 la Turchia ha alzato la posta sulla questione dichiarando formalmente che il Nord di Cipro sarebbe dovuto essere riconosciuto come stato indipendente. Se dovesse scoppiare un nuovo ciclo di escalation navale nel Mediterraneo orientale nel 2022, Cipro si troverà probabilmente al centro del ciclone.

Il prof. Michaël Tanchum è socio anziano all’Austrian Institute for European and Security Policy (AIES) @michaeltanchum

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