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Se vi foste risvegliati oggi, all’inizio di febbraio del 2019, dopo un letargo durato 35 anni, forse vi rendereste conto di aver dormito così a lungo solo per il fatto di leggere le notizie su telefoni cellulari e tablet, dato che, a guardare alla situazione internazionale, sembra di esser rimasti fermi agli anni della Guerra Fredda.

Ovviamente non esiste più quella netta contrapposizione ideologica – ed economica – che aveva separato il mondo uscito dalla Seconda Guerra Mondiale in blocchi contrapposti, ma per cause del tutto diverse rispetto al passato stiamo vivendo di nuovo una rivalità tra vecchie e nuove potenze che sta facendo vacillare la stabilità politica internazionale. 





C’è, ovviamente, qualche differenza rispetto al passato. Se prima esisteva un duopolio rappresentato dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica e loro alleati – coi Paesi “non allineati” che ondeggiavano nell’orbita ora di uno ora dell’altro schieramento – oggi il monopolio americano derivante dal collasso del socialismo reale viene messo in discussione dalla Russia, che vuole riconquistare un posto chiave sul palcoscenico globale cominciando a riprendersi la propria sfera di influenza, e dalla Cina, la nuova potenza asiatica che ha gettato definitivamente la maschera di un socialismo “di mercato” per riprendere in mano la dialettica maoista condita da un vigoroso quanto subdolo imperialismo di cui la questione dell’espansionismo nel Mar Cinese Meridionale è solo la punta dell’iceberg.

Questo mondo “tripolare”, ma a ben vedere potremmo definirlo come un bipolo contrapposto ad un monopolo – gli Usa – ha delle regole tutte diverse rispetto al passato e si confronta su scenari che, di volta in volta, possono vedere gli interessi delle potenze collimare od essere diametralmente opposti.

Nuove regole, così magistralmente messe in pratica da Trump con la denuncia di vari trattati internazionali di cui quello sui missili nucleari a raggio intermedio – o Inf – è solo l’ultimo, vogliono nuove armi, e nuove armi vogliono nuove strategie, che, molto probabilmente – ma non è così scontato – porteranno a nuovi trattati, oppure ad un conflitto su scala globale. 

Da “America First” a “Only America”?

Il processo che ci ha portato “indietro nel tempo” facendoci tornare a respirare aria di Guerra Fredda è stato relativamente lungo e questa amministrazione non ne ha tutte le colpe, o i meriti a seconda dei punti di vista.

Se dovessimo scegliere una data simbolo, questa dovrebbe essere il 13 dicembre del 2001 quando il presidente Bush decise unilateralmente, in un periodo storico in cui i rapporti tra Usa e Russia erano idilliaci al punto da pensare di far entrare Mosca nella Nato (il famoso “spirito di Pratica di Mare” di berlusconiana memoria), di ritirarsi dal Trattato ABM sui sistemi antimissili balistici intercontinentali che stabiliva un tetto massimo di vettori di intercettazione per entrambe le superpotenze sin dal 1972.

Lo scopo del Trattato ABM era molto semplice: mantenere per entrambi i contendenti l’equilibrio della deterrenza, ovvero non permettere che uno dei due assumesse un vantaggio difensivo tale da rendere inefficace l’arsenale nucleare dell’avversario e quindi conquistare una posizione di vantaggio grazie al proprio.

Rotto questo equilibrio, con grave preoccupazione di Mosca, è come se fosse stato aperto un vaso di Pandora. La Russia ha dato impulso all’unico vero settore delle proprie Forze Armate in grado di rappresentare una minaccia efficace in tempi di grave crisi dovuta al crollo del sistema sovietico avvenuta poco più di un decennio prima: le forze missilistiche strategiche.

Il seme del sistema Hgv Avangard, le testate missilistiche ipersoniche in grado di evitare le bolle Abm, è stato gettato proprio in quel momento.

Lo schieramento in Europa Orientale del sistema antimissile Usa denominato Aegis Ashore – voluto dall’amministrazione Obama – non ha fatto altro che forzare la Russia nella ricerca di nuovi sistemi d’arma in grado di effettuare un primo colpo in grado di neutralizzare le basi di lancio situate in Romania e Polonia. I missili da crociera ipersonici e il sistema missilistico 9M729 al centro della disputa sul Trattato Inf, sono nati proprio per fare fronte ad una minaccia di questo tipo.

Abbiamo già ampiamente dibattuto e sviluppato diversi scenari in merito all’uscita dal Trattato Inf, palesatasi in queste ultimi giorni, con ampi riferimenti tecnici ai sistemi russi e americani incriminati (ricordate il VLS Mk-41 dell’Aegis Ashore?). Ora che è avvenuto l’inevitabile possiamo cercare di capire quanto la strategia di Trump abbia premuto sull’acceleratore per una simile scelta e perché.

L’uscita degli Stati Uniti dal Trattato Inf, così come avvenuto per quello sul nucleare iraniano (il Jcpoa), non è la follia di un mitomane ma risponde a considerazioni politiche ben precise e, forse, risolutive: il Trattato era obsoleto in quanto coinvolgeva solo Russia e Stati Uniti lasciando fuori la Cina, che nel corso degli ultimi 30 anni ha fatto passi da gigante nella missilistica ed ha intrapreso una strategia espansionistica e di opposizione agli Stati Uniti che non si ricorda dai tempi di Nixon. 

“America First” quindi significa non solo garantire lavoro e crescita economica ma anche sicurezza, e tale sicurezza può essere raggiunta solo riconcertando un accordo sulle forze missilistiche intermedie che questa volta coinvolga più attori e non esclusivamente Russia e Stati Uniti. La minaccia cinese esiste, è reale, e non viene sottovalutata né dalla Casa Bianca né dal Pentagono, quindi l’unica mossa possibile era stracciare un accordo vecchio di 30 anni per ritornare al tavolo delle trattative con più attori protagonisti (magari anche Pakistan e India) e nel frattempo colmare la distanza che separa Washington da Pechino per quanto riguarda i missili a raggio intermedio o altri armi equivalenti.

Sostanzialmente è lo stesso modus operandi che ha avuto l’esecutivo americano nei confronti della crisi coreana: rompere quel “limbo” tra pace e guerra, quella stasi che ha permesso a Pyongyang di armarsi, attraverso la linea dura delle dimostrazioni di forza militare per portare gli attori della querelle ad un nuovo e risolutivo tavolo delle trattative. La stessa modalità che la Casa Bianca sta mettendo in atto anche con l’Iran.

Il passo da “America First” a “Only America” però è molto breve e Washington sta dimostrando ancora una volta di non voler ascoltare i suoi alleati, considerati – a volte non a torto – ignavi e parassitari, con la tipica arroganza americana: i dazi imposti all’Europa sull’acciaio e l’alluminio e le “tirate d’orecchi” alla Nato sono lì a dimostrarlo.

Nuove armi per nuovi scenari

Si aprono quindi nuovi scenari di conflitto e confronto tra i tre grandi attori del palcoscenico globale ed i loro alleati, e la Guerra Fredda 2.0 ha già pronte le sue nuove armi che non sono solo i missili nucleari.

Il conflitto, che è già in atto, vede diversi teatri per diversi livelli di scontro: non è un segreto che le tre potenze globali si sfidino nel cyberspazio a colpi di hacker ma non solo, per fare un esempio.

Le tecnologie cosiddette netcentriche sono sempre più al centro dello sviluppo degli armamenti tanto che sia Russia sia Stati Uniti hanno sviluppato delle “superarmature” per i propri soldati, chiamate rispettivamente Ratnik e Talos.

Lo spazio, sino ad oggi interessato tuttalpiù al passaggio dei bus dei veicoli di rientro dei missili balistici, sarà sempre più “militarizzato” anche per demerito di accordi internazionali obsoleti e aleatori. La Space Force americana metterà in orbita satelliti armati di laser ad alta energia, microonde o piccoli sistemi cinetici in grado di colpire i satelliti avversari ed i missili balistici, ed altrettanto si sta progettando in quel di Mosca o di Pechino.

Oltre ai ben noti, e ormai quasi obsoleti, caccia di quinta generazione stealth, la guerra del futuro vedrà sui campi di battaglia sempre più droni armati e non si tratta dei soliti Uav e Ucav: esistono già droni terrestri e sottomarini in grado di operare in remoto e con un certo livello di intelligenza artificiale, peraltro già in dotazione ad alcuni missili da crociera che sono in grado, ad esempio di distinguere il proprio bersaglio tra le unità facenti parte di un convoglio navale. 

Dei sistemi balistici ipersonici – chiamati Hgv – abbiamo già parlato come diretta conseguenza della fine del Trattato ABM, ed ora vedremo quali saranno gli effetti, per quanto riguarda gli armamenti, della fine del Trattato Inf, al netto delle speculazioni che già cominciano a circolare sui possibili nuovi sistemi d’arma americani.

In questa rapida carrellata di armamenti di nuova generazione – ma spesso vecchia concezione – mancano sicuramente altri sistemi che abbiamo più volte analizzato – come il supersiluro russo Status-6 ad esempio –  ma non era questo lo scopo della trattazione: questo elenco serve solo a far capire che la strategia della Difesa a livello globale è radicalmente mutata passando dalla necessità di fornire strumenti per la contro-insurrezione a scenari di scontro più classici che vedono i conflitti a carattere macroregionale e globale che quindi coinvolgono le entità statuali e non più gruppi di resistenza o di terroristi. Un altro fattore che ci riporta alla Guerra Fredda. 

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