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Mentre la Corea del Nord continua a minacciare l’utilizzo di armi nucleari e testa i propri sistemi balistici nei mari intorno alla penisola, la domanda che ci si può porre è chi appoggerebbe Pyongyang in caso di escalation. O direttamente di conflitto.

Una domanda che interessa forse più della stessa identificazione dei rivali, dal momento che un conflitto che coinvolgerebbe la Corea del Nord e suoi tradizionali rivali troverebbe gli Stati Uniti e gli altri partner Usa del Pacifico sicuramente compatti. Diverso, invece, è il nodo alleanze, dal momento che la questione delle relazioni diplomatiche di Pyongyang è meno semplice di quanto si possa credere.

I nuovi equilibri nel trianlogo Pyongyang-Mosca-Pechino

Per comprenderlo, si può partire dalla cronaca, ovvero dall‘ultimo test missilistico di Kim Jong-un. Uno show di forza che ha provocato la condanna degli Stati Uniti, del Giappone, della Corea del Sud e di diversi partner dell’Indo-Pacifico, ma che ha sortito un duplice effetto negli storici partner della Corea del Nord, e cioè Cina e Russia. Mentre Pechino ha sollecitato i protagonisti della penisola coreana “a risolvere le rispettive preoccupazioni in modo equilibrato attraverso un dialogo significativo”, il viceministro degli Esteri russo, Sergej Rjabkov, ha puntato il dito su Washington, accusata di “mettere alla prova” la pazienza del regime nordcoreano. “Seguiamo con ansia la situazione e notiamo che il lavoro in quei formati che erano stati precedentemente utilizzati al fine di denuclearizzare la Penisola coreana è stato cancellato su iniziativa di Washington”, ha detto Rjabkov.

Queste parole confermano che il rapporto tra Mosca e Pyongyang, nell’ultimo periodo, si è rinvigorito, specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina. Un’evoluzione che sarebbe certificata non solo dalle notizie sulla vendita di munizioni da parte della Corea del Nord alla Federazione Russa, ma anche da alcune voci, riportate anche dal sito specializzato 38North, sull’impiego di lavoratori nordcoreani nell’Estremo Oriente Russo per colmare il fabbisogno di manodopera. Ipotesi rilanciata dall’ambasciatore russo in Corea del Nord, Alexander Matsegora, ma con riferimento all’impiego di queste persone nei territori di Donetsk e Luhansk a guerra terminata (si parlava delle due repubbliche separatiste poiché l’intervista venne fatta precedentemente ai referendum per l’annessione).

L’alleanza Occidentale intorno a Seul

Appare quasi scontato che Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, così come gli alleati del Pacifico come Australia e Canada, possano essere strenui oppositori di qualsiasi manovra della Corea del Nord. La stessa alleanza Aukus, che riguarda i sottomarini a propulsione nucleare per l’Australia, è uno dei simboli più eloquenti di un maggiore interesse per la stabilità del Pacifico, al pari della voglia di Washington di rafforzare il Quad e tutte le altre piattaforme alternative alla Cina che potrebbero anche essere testate in chiave di confronto con la Corea del Nord.

Washington, già presente militarmente intorno ai confini di Pyongyang, avrebbe tutte le capacità per colpire in profondità il regime, così come coordinare le forze sudcoreano o giapponesi eventualmente coinvolte nel conflitto. E certamente non farebbe mai mancare il proprio supporto, se non direttamente coinvolta, anche sottoforma di intelligence e di aiuti tattici. Tuttavia, è possibile che il timore di un conflitto nucleare possa far desistere un intervento radicale e diretto da parte Usa, con una pressione costante che sia di tipo economico, diplomatico o con appunto operazioni chirurgiche e “ombra” anche per escludere un’escalation con la Cina. Il caos non sarebbe pertanto la soluzione preferita dagli Stati Uniti, anche perché il conflitto non solo metterebbe a rischio la Corea del Sud, ma anche il paradossale equilibrio della penisola che potrebbe trasformarsi in una anarchia nucleare in caso di collasso del regime.

I dubbi di Russia e Cina sulla Nord Corea

Nonostante la mancata condanna da parte sia di Mosca che di Pechino e diverse azioni di Kim, e nonostante la garanzia di sopravvivenza fornita da entrambe a Pyongyang, non è invece così ovvio che queste due superpotenze si alleino con la Corea del Nord in caso di un conflitto. E questo nonostante l’obiettivo di Kim, in questa fase della sua stagione di potere, sembri essere proprio quello di porsi come alleato di entrambi, come suggerito su Domani da Antonio Fiori.

Dal punto di vista russo, la Corea del Nord è un partner utile ma non di vitale importanza. Il vecchio alleato della Guerra Fredda è un Paese troppo povero, isolato e ritenuto pericoloso per la stabilità regionale, inadatto anche a rappresentare un gregario. Sarebbe rischioso per uno Stato come la Russia, già provato dalla guerra in Ucraina al punto da chiedere munizioni alla stessa Nord Corea, di schierarsi militarmente al suo fianco. Richiesta che tra l’altro potrebbe non arrivare proprio per quella capacità nucleare acquisita da Pyongyang e che rappresenta la maggiore assicurazione sulla vita di Kim Jong-un. Mosca potrebbe considerare al limite un aiuto per evitare che si arrivi a un conflitto, riuscendo a sostenere le richieste nordcoreane in termini di tecnologia militare, energia o di derrate alimentari.

Il presidente nordcoreano Kim Jong-un e il presidente russo Vladimir Putin durante una cena nel 2019 (Foto: EPA/KCNA)

Tuttavia, risulta difficile che Mosca possa di sua iniziativa muovere le armi a difesa o in supporto alla Corea del Nord sia per non inserirsi troppo nelle dinamiche tra Cina e Corea, sia per non rompere del tutto i legami con altre forze asiatiche con cui la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina, cercherà comunque di dialogare. L’interesse per il Pacifico e per la stabilità dell’Asia non sembra andare di pari passo con quello per un coinvolgimento diretto in guerra al fianco di Kim. E nell’eventualità di un conflitto, sembra difficile che il Cremlino possa muoversi nella penisola senza avere il placet del gigante cinese (con cui magari potrebbe coordinarsi in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite).

Diverso, ma non del tutto, l’approccio cinese. Anche in questo caso, Pechino sembra interessata soprattutto a evitare che il regime di Kim scompaia senza una transizione utile alla Repubblica popolare. Ma questo non implica che Xi Jinping o i suoi eredi si giochino tutte le partnership in Asia orientale nella speranza di salvare la dinastia dei Kim. Questo comporta che in caso di conflitto non è scontato che dalla Cina arrivi un intervento diretto a sostegno della Corea del Nord, pur rappresentando essa di fatto un Paese che sopravvive economicamente grazie a Pechino e che serve, in parte, alla stessa Cina.

Il presidente nordcoreano Kim Jong-un e il presidente cinese Xi Jinping (Foto: EPA/KCNA)

La difficile strada di Pechino

Uno scenario potrebbe essere quello dell’impiego di forze armate cinesi in qualità di truppe di peacekeeping, proprio per evitare il collasso di un Paese sotto i propri occhi ed escludere che la penisola coreana diventi un territorio totalmente in mano a un alleato degli Stati Uniti (come dimostrato durante il dispiegamento del sistema THAAD) o nella completa anarchia. Si parla naturalmente di ipotesi di scuola, ma quello che sembra certo è che il Partito comunista cinese abbia interesse a mantenere i legami con le altre potenze asiatiche, evitare di perdere la Corea del Nord, ma anche evitare che Washington si rafforzi ulteriormente nell’Indo-Pacifico. E per quest’ultima ipotesi, è chiaro che in caso di guerra in Corea le forze Usa non andrebbero a diminuire.

Quindi, per evitare un’emigrazione di massa dal Paese dello Juche, escludere che siano usate le armi nucleari, evitare che armi atomiche possano cadere in mano a fazioni non controllate da Pechino e fare in modo che le forze Usa non arrivino al confine cinese, la Repubblica popolare potrebbe adottare un approccio a doppio standard: evitare di entrare in guerra ma allo stesso tempo proporre un proprio intervento in questa chiave. Proprio per questo, e dal momento che da tempo la Cina ha ampliato e approfondito le sue capacità di peacekeeping anche in ambito Onu, è ipotizzabile un utilizzo delle forze armate di Pechino in questo senso. Scenario che in ogni caso dipenderà anche dal tipo di conflitto che si potrà realizzare.

Il sistema di difesa missilistico (THAAD) (Foto: EPA/MISSILE DEFENSE AGENCY)

L’altro Paese nell’orbita di Pyongyang

Esistono poi altri Paesi che potrebbero adottare un approccio di sostegno più o meno diretto alla Corea del Nord in caso di confronto militare. Molti, ad esempio, potrebbero pensare all’Iran, che soprattutto a livello missilistico ha da tempo intrapreso dei rapporti più che approfonditi con le forze armate nordcoreane. Va ricordato che negli anni passati si era parlato di un rinnovato spirito di collaborazione tra Pyongyang e Teheran nel solco di quello che fu la partnership nata ai tempi della guerra tra Iran e Iraq. Come spiegava Paolo Mauri su questo sito, “Pyongyang fornì un lotto consistente di missili balistici a corto raggio di fabbricazione sovietica Scud-B che ottennero la denominazione locale Shahab-1 e qualche decina dei più potenti Scud-C, che presero il nome di Shahab-2”. “Questo vettore, così come avvenne per la Corea del Nord, fu il punto di partenza per lo sviluppo del programma missilistico iraniano, ma la partnership vera e propria con Pyongyang si manifestò per la costruzione dello Shahab-3 che è anche il primo Mrbm operativo della Repubblica Islamica ed è basato sul nordcoreano No-dong 1″ continua l’analisi.

In un periodo di forte isolamento iraniano e di una forte partnership con Mosca nell’ambito di una persistente polarizzazione dello scontro con l’Occidente è possibile dalla Repubblica islamica arrivi un qualche sostegno al regime nordcoreano. Ma anche in questo caso è opportuno sempre considerare il placet cinese. Dopo la partnership strategica siglata tra Iran e Cina, sembra difficile considerare la possibilità che gli Ayatollah intervengano, di propria spontanea volontà, a sostegno di Kim. E anche fisicamente sarebbe impossibile arrivare nel Paese dell’Estremo Oriente senza passare per Russia o Cina.

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