La guerra in Ucraina è ancora nel vivo, involuta in conflitto di posizione e logoramento, ma una cosa può essere affermata con certezza, perlomeno dal 18.3.23, e cioè che Volodymyr Zelens’kyj ha vinto la battaglia delle narrazioni.
La Corte Penale Internazionale, il tribunale per le investigazioni sui crimini di guerra e contro l’umanità con sede all’Aia, ha emesso un mandato di cattura nei confronti di Vladimir Putin e di Maria Lvova-Belova nel contesto delle indagini sulla “Situazione in Ucraina”. Putin come Milošević. La storia è servita. Ma applicare l’ordine sarà (quasi) impossibile. E il rischio di un ustionante ritorno di fiamma è dietro l’angolo.
Il processo alla Russia
Il mandato di cattura nei confronti di Vladimir Putin e di Maria Lvova-Belova, commissario presidenziale per i diritti all’infanzia, è stato emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) nell’ambito di un’indagine sulla “Situazione in Ucraina” avviata il 2 marzo 2022.
Fortemente voluta dalla CPI, da non confondere con la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), l’organo giudiziario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che ha anch’esso sede all’Aia, l’inchiesta è guidata dal procuratore capo Karim Ahmad Khan. Lo stesso procuratore che, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, aveva spiegato ai paesi membri come far sì che i lavori fossero avviati il prima possibile: con l’invio di un deferimento ad hoc. Atto poi inviato dalla Lituania il primo marzo 2022.
Nei corso dei dodici mesi di attività, guidata dall’obiettivo di indagare sui possibili crimini di guerra commessi da individui ed entità della Federazione Russa a partire dai tempi del conflitto nel Donbas, la CPI ha raccolto deferimenti da 43 paesi.
La geografia delle parti deferenti rende il processo alla Russia, sebbene condotto da un organismo internazionale, un affare quasi esclusivamente occidentale. Perché occidentali sono 40 dei 43 Paesi che, nel corso del primo anno di indagini, hanno inoltrato deferimenti alla CPI. Una geografia che, data la sensibilità del tema, potrebbe trasformare un caso importante nell’ennesima battaglia tra Occidente e Russia, col Resto del mondo ad osservare.
Un veterano dell’Aia per giudicare Putin
A coordinare i lavori degli investigatori dell’Aia è Karim Ahmad Khan, uno specialista in crimini internazionali che è entrato nella CPI dopo aver essersi fatto le ossa, ed essersi fatto notare, come ufficiale legale della procura presso il Tribunale criminale internazionale per l’ex Jugoslavia e come consigliere legale della procura presso il Tribunale criminale internazionale per il Ruanda.
Nel febbraio 2021, dopo aver dedicato un ventennio a processi per crimini di guerra e contro l’umanità riguardanti paesi del Medio Oriente e dell’Africa, costellato di ricorrenti ritorni nell’ex Jugoslavia – nelle vesti di difensore di clienti kosovari di alto profilo, come Fatmir Limaj, prosciolti grazie alle sue arringhe –, Khan è stato eletto procuratore capo della CPI con un mandato di nove anni.
Potrebbe non essere un caso, e probabilmente non lo è, che a dirigere il processo internazionale più importante degli anni Venti del Duemila sia stato chiamato Khan. Un uomo che ha contribuito in prima persona alla materializzazione delle condanne dei responsabili dei crimini di guerra di Belgrado durante le campagne di Bosnia e del Kosovo e il cui nome, in ragione di questo passato, in quel di Mosca sarà capace di rievocare il ricordo di Slobodan Milošević.
Le accuse della CPI
La CPI ha fatto ricorso alla rete, aprendo un portale, e alle ricognizioni sul campo, alle quali ha partecipato lo stesso Khan, per raccogliere le presunte prove dei crimini commessi dalle forze armate russe in Ucraina.
Dopo dodici mesi di indagini, sulla base delle evidenze in possesso, la Camera preliminare della CPI ha ritenuto di avere “valide ragioni” per accusare Putin e la Lvova-Belova di “responsabilità penale per la deportazione illegale e il trasferimento di bambini ucraini dalle aree occupate dell’Ucraina alla Russia”.
L’accusa del rapimento di bambini ucraini, un brutale strumento utile nell’ottica del risollevamento delle sorti demografiche della Russia, non è nuova né infondata. E il perché gli investigatori dell’Aia abbiano deciso di focalizzarsi in maniera particolare su questo crimine, punibile anche nel quadro della Convenzione sul genocidio del 1948, anziché su altri, come eccidi e stupri collettivi, è chiaro: sarebbe avvenuto alla luce del Sole.
Secondo le stime, che variano a seconda dell’ente, la campagna di trasferimenti illegali avrebbe coinvolto dai 13.000 ai 300.000 bambini ucraini. Quantificare il fenomeno non è semplice: sarebbero necessarie ispezioni casa per casa, e fra ospedali e orfanotrofi, nelle regioni dell’Ucraina centrorientale sotto occupazione russa.
Quel che è certo, e che difatti è stato utilizzato per giustificare l’emissione dei mandati di arresto, è che i trasferimenti sono avvenuti. Perché sono stati pubblicizzati dall’informazione statale russa come una campagna umanitaria volta a salvare da morte certa orfani e bambini abbandonati da operatori e famiglie in fuga. Perché ne ha parlato la Lvova-Belova alla stampa. E perché li ha normati Putin a mezzo decreto presidenziale, nel maggio 2022, semplificando e sveltendo le procedure di naturalizzazione per i cittadini ucraini.
Il rischio di un processo farsa
Quello che è in corso all’Aia verrà sicuramente ricordato negli annali di storia come il caso giudiziario internazionale più importante degli anni Venti del Duemila. Una roboante vittoria dell’Ucraina nella guerra delle narrazioni, perché i suoi sogni più reconditi sono divenuti realtà – un processo di Norimberga alla Russia, la milosevizzazione di Putin.
Tra il dire e il fare, nonostante l’aiuto dell’Europol e la possibile entrata in scena dell’Interpol, si troveranno di mezzo, però, il realismo e il formalismo. L’Ucraina e i suoi alleati, in sintesi, potrebbero ritrovarsi con in mano una vittoria, per quanto spettacolare, puramente simbolica.
I mandati di cattura emessi dall’Aia, anzitutto, hanno validità legale per i Paesi che o sono membri della CPI o ne accettano la giurisdizione – e la Russia non appartiene a nessuna delle due categorie. Una situazione complicata dal fatto che la CPI, per statuto, non può condurre processi in absentia. Spiegato altrimenti: nessun imputato, nessun processo.
Sono 123 i paesi che, in ragione della ratifica dello Statuto di Roma della CPI, sarebbero teoricamente costretti a dare seguito ai provvedimenti della CPI, consegnando Putin e/o la Lvova-Belova alle autorità preposte qualora mettessero piede sul loro territorio. Ma una scappatoia, già utilizzata in passato – il caso Omar al Bashir del 2015 –, permette di aggirare suddetto obbligo legale: il principio dell’immunità diplomatica.
Un processo a Putin e Lvova-Belova, in definitiva, potrebbe prendere forma soltanto in due circostanze: con una loro consegna, con un’eccezione alle regole. Una consegna ai giudici dell’Aia che potrebbe essere effettuata dalle autorità russe – possibile solo ad una condizione: un golpe filoccidentale – o dalle autorità di stati terzi – possibile, anche se remota, e suscettibile di fungere da casus belli. Un’eccezione alla regola che la CPI potrebbe fare alla ricerca di credibilità e alla luce della posta in gioco.
L’obiettivo dell’Aia non è la cattura
Putin è il quarto capo di Stato, dopo Muammar Gheddafi, Omar al-Bashir e Laurent Gbagbo, nei confronti del quale i giudici della CPI emettono un mandato di cattura. Ma è il terzo, dopo Gheddafi e al-Bashir, nei confronti del quale viene emesso un mandato di cattura mentre è in carica.
I principali obiettivi della CPI non sono mai stati portati in tribunale. Chi perché, come al-Bashir, ha trovato riparo nell’immunità diplomatica garantitagli da paesi terzi. Chi perché, come Gheddafi, è morto prima dell’istruzione del processo. E chi perché, come il terrorista Joseph Kony, non è mai stato catturato. L’unico imputato di rilievo del quale L’Aia ha ottenuto l’estradizione, Gbagbo, è stato infine prosciolto al successivo processo.
La Russia è una potenza nucleare. Putin non è il presidente di un ?aese geopoliticamente irrilevante. Il Momento unipolare, unica fase di effettivo predominio della giustizia internazionale di matrice occidentale, è agli sgoccioli. La procura della CPI ha contezza di suddette condizioni, che rendono impraticabile un processo a Putin, ma non è l’irrealistica applicazione di una condanna che va cercando: è la delegittimazione della Russia putiniana.
L’ingresso di Putin nei Most Wanted Fugitives della CPI potrà anche essere una mera vittoria simbolica dell’Ucraina senza conseguenze fattuali e fattive, particolarmente utile nel percorso storico delle attribuzioni della responsabilità della guerra, ma è altresì vero che trattasi di un fait accompli che metterà la comunità internazionale dinanzi al bivio. La scelta tra il bene, rappresentato dalla verità giudiziaria prodotta dalla CPI, e il male, costituito da un regime responsabile di crimini genocidiari.
A partire dal 17/3/23, una delle date più importanti della guerra più geoliticamente sconvolgente della prima parte del Duemila, fare affari con Putin equivarrà ad avere a che fare con qualcuno il cui nome è in una lista, riconosciuta da 123 paesi, composta da signori della guerra, terroristi e criminali. Allineati, disallineati, indecisi e non allineati sono avvisati: Putin è un paria e relazionarsi con lui comporterà dei costi – non soltanto morali.
La milosevizzazione di Putin è e sarà funzionale allo sveltimento del processo di delegittimazione delle colonne portanti dell’architettura con cui ha trasfigurato la Russia post-eltsiniana: gli oligarchi e il Gruppo Wagner, entrambi sanzionati – coi secondi identificati come terroristi, dunque eliminabili fisicamente (Soleimani docet), e con prospettiva l’introduzione di ritorsioni verso quei paesi che collaborano con loro.
La destinazione finale del processo a Putin è lo screditamento del regime da lui creato nel dopo-Eltsin, i cui pilastri stanno venendo sanzionati da Occidente e alleati, nella speranza-aspettativa di una scomunica da parte dei siloviki che lo sorreggono – un cambio di regime – e da parte della comunità internazionale – una Russia trasformata in una sorta di super-Corea del Nord. Ma il mondo del 2023 non è quello del 2003: è un mondo che invoca la fine del momento unipolare e del monopolio americano della giustizia e delle relazioni internazionali.
È altamente probabile che la strategia della CPI produca effetti contrari a quelli preventivati, a parte la vittoria simbolica dell’Ucraina – che, peraltro, mette ufficialmente la pietra tombale sulle trattative con Putin (altro desiderata avveratosi di Zelensky) –, come la stimolazione di un ampio e genuino rally ’round the flag in Russia – la cui opinione pubblica potrebbe ora essere più portata a credere alla propaganda di regime –, la fuoriuscita di membri dal Trattato di Roma – nel timore di ripercussioni a causa di “scelte punibili” – e l’aumento del risentimento globale nei confronti delle istituzioni del cosiddetto “sistema internazionale basato sulle regole”. La caccia a Putin, in sintesi, potrebbe rivelarsi un assist involontario ai neonati progetti dello Xiverso, ISG e ICG, e alla deoccidentalizzazione del mondo.