Imperi, non sarebbero tali se degli elementi non li distinguessero dalla massa di stati, regni e genti che brulicano nel globo. Imperi, mosche bianche che risaltano anche all’occhio più astigmatico, sono diversi per definizione: non credono al caso, la loro esistenza è mitopoietica, le loro gesta restano impresse nella storia, sono un mondo nel mondo.
Tutti gli imperi sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri, e il caso di Russia e Stati Uniti ne è la prova corroborante. Grandi potenze innatamente votate all’egemonia che guerreggiano per i destini del mondo, che vorrebbero plasmare a loro immagine e somiglianza, esse sono tanto antitetiche all’apparenza quanto simili nell’interiorità.
Russia e Stati Uniti, eterni aminemici, il loro rapporto di amore-odio avrà durata sempiterna e non potrebbe essere altrimenti: il mondo è troppo piccolo per due messia. Non è una mera questione di politica, perché con gli imperi la dimensione del tangibile e del materiale non è l’unica a contare – e neanche è la più importante –, quanto di metafisica e geofilosofia.
Scrivere del lato spirituale e messianico della politica è fondamentale, specialmente se l’argomento di discussione è la relazione tra Russia e Stati Uniti, due potenze dalla forma mentis imperiale e dotate di una weltanschauung civilizzatrice per le quali, oggi come ieri, nessuno scontro è mai dettato solamente da logiche materiali. Nessuno, neanche la guerra in Ucraina.
La dimensione escatologica della guerra in Ucraina
Il modo in cui in Occidente è stato ridicolizzato il sermone apocalittico di Cirillo, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, è l’evidenza maggiore di un fatto: i nostri cremlinologi, giornalisti e russologi devono ripartire da zero, magari accettando la russosfera per ciò che è effettivamente e non per ciò che è nell’immaginario stereotipato euroamericano.
La Russia, parimenti agli Stati Uniti, non è una potenza ordinaria: è una potenza imperiale. E come ogni potenza di natura imperiale possiede dei miti fondativi, ha un’Idea del proprio posto nel mondo e agisce all’interno di una dimensione spaziotemporale a se stante, che non concepisce evoluzione ma palingenesi, che non conosce condottieri ma profeti e dove nulla accade per caso ma tutto è destino, parusia ed escatologia.
Non si può cogliere pienamente la profondità della geremiade di Cirillo, tutt’altro che focalizzata su un presunto scontro tra la mascolinità dell’homo russicus e l’empietà dell’homo occidentalis, senza partire da questi presupposti sulla natura antipodica eppure identica di Russia e Stati Uniti, due volti dell’uguale che si credono investiti di un Destino manifesto, corrispondente ad una missione civilizzatrice portata avanti per mezzo di una violenza redentrice, e che osservano gli accadimenti del mondo dall’alto del loro vedersi evangelica Città sulla collina.
I presidenti americani giurano sulla Bibbia, hanno un loro confessore spirituale, mentre i capi del Cremlino, anche quelli più increduli, si lasciano giudicare dagli stolti in Cristo e pregano la Madonna di Vladimir nei momenti bui. Due volti dell’uguale: ieri George Bush Jr che paragonava la Guerra al Terrore alle crociate per la riconquista di Gerusalemme, oggi Cirillo che descrive la guerra in Ucraina in termini di conflitto metafisico.
Il sermone di Cirillo
In Russia, dove ogni religione è politica – dall’Ortodossia all’Islam –, nessuno si è realmente sorpreso per il modo in cui il patriarca Cirillo ha rotto il silenzio. La Chiesa ortodossa dipende dal Cremlino, del quale è il braccio spirituale e del quale difende la politica di nazionalizzazione in direzione conservatrice delle masse, perciò era ampiamente prevedibile una presa di posizione sulla guerra in Ucraina di un certo tipo, filogovernativo.
A Putin l’onere di trovare giustificazioni materiali, concrete, che diano legittimità all’intervento militare agli occhi dell’opinione pubblica e della comunità internazionale. A Cirillo, che riveste un altro ruolo, il compito di spiegare ai fedeli ortodossi – non solo russi – la presunta dimensione spirituale di un conflitto fratricida, perché tra slavi e cristiani, dunque difficile da far digerire anche ai più nazionalisti.
Il patriarca di Mosca e di tutte le Russie ha provato a dare una giustificazione biblica della guerra il 6 marzo, domenica del perdono, rispolverando un antico ma sempreverde strumento del bagaglio retorico della Russia-Impero: il katéchon. In Ucraina, ha chiosato Cirillo, “non si tratta unicamente di politica: si tratta della Salvezza dell’uomo, del posto che occuperà alla destra o alla sinistra di Dio”.
La Russia sarebbe entrata in Ucraina per salvare il Donbas dalla distruzione, sì, ma anche per combattere contro il “potere mondiale”. Un potere che ha costruito “un mondo eretico, di iper-consumismo, di libertà apparente” e che richiederebbe delle “prove di lealtà” a tutti coloro che desiderano farne parte: i gay pride.
Non è un caso che Cirillo abbia parlato dei gay pride: sono divenuti un appuntamento annuale dal 2015, cioè dal dopo-Yanukovic, registrando un crescendo di accoglienza culturale e partecipazione. Un problema politico, oltre che spirituale, perché i gay pride, secondo Cirillo, non sarebbero che “una dichiarazione politica: noi siamo come voi”. Di nuovo, a Putin l’onere di trovare pretesti politico-militari, a Cirillo la missione di legittimare la guerra agli occhi della comunità di fedeli.
La Russia, il katéchon biblico, sarebbe coinvolta “in una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico”. E in quanto potenza biblica, che ha come bussola l’Evangelo, la Russia “non condanna nessuno”, perché ricerca la pace e la giustizia, ma non si lascerà mai piegare da “coloro che distruggono la legge di Dio, cancellando la linea di demarcazione tra la santità e il peccato, e che innalzano il peccato a modello, a modello di comportamento umano”. Parole che rammentano qualcosa sulla guerra fredda 2.0: è anche una guerra di idee, valori e visioni. Ieri capitalismo contro comunismo. Oggi conservatorismo contro progressismo.
Nel sermone guerresco di Cirillo, che non si distanzia molto da quel celebre “Dio mi ha detto di porre fine alla tirannia in Iraq” di Bush Jr, è riassunta l’essenza delle potenze messianiche, come Russia e Stati Uniti, che si credono investite dal Divino di un manifesto destino e che allo specchio vedono riflesso un Impero della Libertà. Potenze che non hanno paura di una sconfitta sul campo, mai, perché hanno un solo timore: che i loro ventri cessino di generare übermensch, uomini della provvidenza, e producano soltanto letztemensch. Timore che esorcizzano andando in guerra, adrenalinica per definizione, allontanando lo spettro di una morte fisica cagionata da secchezza spirituale.