Come cambia il ruolo della Nato e dell’Occidente nel contesto geopolitico mondiale dopo oltre un anno di guerra in Ucraina? Come procede la sfida delle guerre ibride in campo cyber, economico e d’intelligence? L’Alleanza Atlantica acquisirĂ portata mondiale espandendosi al contenimento della Cina nel prossimo summit di Vilnius? E in questo campo, che ruolo spetta all’Italia? Su queste tematiche abbiamo discusso con Alberto Pagani, tra i principali esperti di difesa e sicurezza nel panorama italiano. Ravennate, deputato dal 2013 al 2022 con il Partito Democratico di cui è stato capogruppo in Commissione Difesa, Pagani è oggi docente a contratto all’UniversitĂ di Bologna dove tiene un corso sul tema “Terrorismo internazionale in etaĚ€ contemporanea”. Per Rubbettino ha pubblicato un Manuale di Intelligence e Servizi Segreti.
Onorevole, tra potenziali controffensive e scenari che lasciano pensare a una guerra di logoramento, il conflitto in Ucraina continua. Che scenari aspettarsi nei mesi a venire?
“Credo che Putin cerchi di allungare il conflitto più che può, senza perdere i territori conquistati ed annessi. Scommette sul fatto che l’Occidente, sotto la spinta della sua opinione pubblica, cambi linea politica ed abbandoni l’Ucraina al suo destino. Se ritornasse Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe accadere, ad esempio. Putin investe sulla nostra debolezza, e sulla storica capacità russa di affrontare guerre molto lunghe”.
Come giudica le ultime mosse dell’Occidente per espandere il sostegno militare a Kiev?
“La guerra finirà quando la Russia non sarà più in grado di sostenere l’aggressione all’Ucraina, e accetterà un negoziato di pace, o quando l’Ucraina si arrenderà all’invasore. L’Occidente investe sulla prima ipotesi, anche se qualcuno lavora dall’interno a favore della seconda, credendo di essere nel giusto, o camuffandosi da pacifista”.
E il ruolo europeo come sta mutando?
“Europa e Stati Uniti possono essere uniti o divisi. Se sono uniti l’offensiva russa può essere fermata. Se si dividono possono soltanto far vincere Putin, con le peggiori conseguenza per l’Europa, non per gli americani, che stanno dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. Gli Usa sono molto impegnati nel sostegno militare all’Ucraina, ma meno interessati di noi ai destini di quel povero Paese, che sta ai confini con l’Europa. Per gli Stati Uniti la sfida del secolo è rappresentata dalla Cina, non dalla Russia”
L’Italia ha mostrato una sostanziale continuità a livello di esecutivo tra Draghi e Meloni. Quali sono le ulteriori mosse che a suo avviso dovrebbe prendere Roma?
“Se non ci fosse continuità sarebbe un bel guaio, perché la discontinuità si tradurrebbe nel ritiro del sostegno italiano all’Ucraina, rompendo un legame di solidarietà internazionale con il Paese vittima dell’aggressione militare russa. Dal punto di vista politico questo disimpegno metterebbe il nostro Paese al fianco degli Stati autoritari alleati della Russia, come l’Iran o la Cina, e fuori dalla nostra alleanze storiche, che sono l’Unione Europea e la Nato”.
La guerra in Ucraina ha anche molti risvolti in termini di minacce ibride. Cyber, intelligence, guerra economica: c’è il rischio per l’Occidente di affrontare offensive e minacce su questi fronti nei prossimi tempi?
“Certamente, perché siamo coinvolti in una guerra asimmetrica ed ibrida, che si combatte soprattutto su questo terreno. Grazie alle innovazioni normative adottate nella precedente legislatura, con il governo Draghi, ora ci stiamo attrezzando per implementare le nostre capacità di resistenza e resilienza, a protezione delle infrastrutture critiche, ed anche per rispondere agli attacchi, quando questi mettono in pericolo la sicurezza nazionale”.

E l’Italia come si può muovere per rispondere alle sfide su questi domini?
“Ci sarebbe moltissimo da fare, perché le leggi forniscono strumenti, ma per costruire capacità ci vuole un lavoro paziente e costante. Purtroppo non sono sicuro che ci sia nella nostra classe politica né una conoscenza adeguata delle materie di sicurezza, dei problemi e delle possibili soluzioni, né la reale consapevolezza della minaccia e dei rischi che corriamo. Gli apparati dello Stato, dalla Difesa all’intelligence alle forze di polizia per la sicurezza interna, faranno quel che possono, ma se non ci sarà una guida politica adeguata, pronta ad adottare celermente le misure di cui ci sarà bisogno, rischia di essere insufficiente. Penso, per fare un esempio, alla protezione di infrastrutture strategiche come ad esempio gli impianti di produzione di energia o le raffinerie, i porti e gli aeroporti, da minacce asimmetriche nuove, come gli attacchi terroristi che possono essere portati per mezzo di droni commerciali”.
A luglio a Vilnius si terrĂ un importante summit Nato, in cui alla minaccia russa si aggiungerĂ la discussione della minaccia cinese. Siamo pronti a varare di fatto una Nato mondiale?
“La Nato nasce atlantica al tempo della Guerra fredda e della divisione in due blocchi contrapposti, quando il mondo era più semplice di oggi. Oggi la complessità prodotta dalla globalizzazione, che ha trasformato il mondo da bipolare in multipolare, o forse è meglio dire apolare, non consente più all’alleanza dei principali Paesi occidentali di pensare solamente al fianco est, ed alla Russia. Basti pensare alla presenza sia russa che cinese in Africa e nel Mediterraneo, che restituiscono importanza al fianco Sud, ed all’uso di strumenti non ortodossi per destabilizzare le nostre democrazie, dal terrorismo alla gestione criminale di flussi migratori forzati. Nessuno si è accorto che in pochi mesi i russi hanno preso di fatto il controllo del Mali e del Sudan? Da quei Paesi sub sahariani passano traffici di ogni tipo, e ora sfuggono ai nostri occhi. Dalle nuove minacce non ci si può difendere semplicemente schierando i carri armati sui confini nazionali. Ci vuole una coesione politica più forte delle alleanze occidentali”.
Quanto è coeso l’Occidente nel contenimento dell’ascesa della Cina, al di là dei distinguo marcati ad esempio da Emmanuel Macron nel suo recente viaggio a Pechino?
“Non lo so, perché c’è sempre chi pensa di essere più furbo degli altri, o più opportunista, e cerca di ottenere per sé vantaggi eccezionali, lucrosi investimenti, occasioni speciali di profitto. Come non è sensato, né razionale, temere tutto quello che viene da Oriente, anche le iniziative più innocenti ed utili, non è nemmeno intelligente ingoiare l’amo con le esca: se si produce una dipendenza economica dalla Cina si riduce la nostra libertà . Dunque dobbiamo sperare che la politica abbia la capacità di distinguere ciò che è utile da ciò che è pericoloso, per favorire lo scambio economico senza produrre pericolose dipendenze, come ci è già successo con il gas russo”.
Con la Cina l’Italia ha in sospeso la questione del Memorandum firmato dal governo Conte I per la “Nuova via della seta”. Che prospettive ha tale accordo?
Ecco, questo è proprio l’esempio dell’errore politico che bisognava evitare, e ora correggere. Credo che i ministri del primo Governo Conte, che lo firmarono, non avessero capito di cosa si trattava e che pensassero in buona fede che fosse solo un accordo bilaterale per realizzare investimenti infrastrutturali a spese dei cinesi e scambi economici a nostro vantaggio. Ancora mi chiedo come si potesse pensare che un progetto politico come la Belt and Road Initiative, che è stato inserito nello statuto del Partito comunista cinese e nella costituzione della Repubblica Popolare, potesse essere solamente un piano di investimenti commerciali. Bisogna essere molto ingenui, o molto ignoranti, per cadere in questo errore. Sempre che ci sia la buona fede, come ho supposto”.
Dall’accordo per il caccia Gcap con Regno Unito e Giappone al pattugliamento dell’Indo-Pacifico, possiamo dire di star partecipando a un processo di “globalizzazione” della Nato? O il nostro ruolo è per ora solo segnaletico?
“Rispondo con una domanda: in un mondo globalizzato è possibile difendere gli alleati del Patto Atlantico solamente dentro un cerchio segnato sulla carta geografica con il compasso? Le nuove tecnologie che la dottrina Nato chiama Emerging and disruptive technologies, cioè big data, artificial intelligence (Ai), autonomous systems and quantum technologies, producono rischi e minacce localizzabili in un contesto geografico definito e delimitato? Non perdiamo tempo a discutere dell’opportunità o meno di una nostra presenza navale nel Mar cinese meridionale; siamo di fronte ad una trasformazione epocale sia delle possibili minacce alla nostra sicurezza che delle modalità con cui si combattono le nuove guerre. Se non si comprende questo si ragiona con la testa del secolo scorso, e si rischia di fare la fine di chi pensava di difendersi scavando trincee ed erigendo muri fortificati, quando gli aerei bombardieri potevano già radere al suolo intere città ”.