Se quasi dodici mesi di guerra in Ucraina ci hanno insegnato quanto il Cremlino sia abile a reprimere il dissenso, fra i cittadini come fra gli alti papaveri, nelle ultime settimane più di qualcosa sembra scricchiolare nella catena dei fedelissimi di Vladimir Putin. Non si tratta dei sodali del calibro di Shoigu e Gerasimov, che alternano silenzi, comparse e promozioni, ma di pezzi da novanta ai quali Mosca ha appaltato una parte della propria sicurezza all’estero, ovvero il fondatore del gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin e il famigerato leader ceceno Ramzan Kadyrov. A loro sembra essere concesso tutto: critiche, sberleffi, suggerimenti non richiesti e un margine di autonomia del quale nessuno a Mosca gode.

Kadyrov senza freni

In questi mesi Kadyrov si è reso protagonista di più di una lavata di testa alle alte sfere russe per l’esito fallimentare della campagna d’Ucraina. Nel settembre scorso, infatti, aveva fatto scalpore un audio di ben 11 minuti su Telegram, nel quale tuonava dicendo: “Se oggi o domani non verranno apportate modifiche alla conduzione dell’operazione militare speciale, sarò costretto ad andare dalla leadership del Paese per spiegare loro la situazione sul campo”. Proseguiva facendo -quasi- nomi e cognomi: “Non sono uno stratega come quelli del ministero della Difesa. Ma è chiaro che sono stati fatti degli errori. Penso che trarranno alcune conclusioni”.

Da Mosca nemmeno una parola. Quella reazione esagitata, con quelle parole così forti, venne addirittura interpretata come una messa in scena di Putin per mettere in riga le alte sfere della Difesa senza doversi esporre. Una spiegazione vagamente barocca che, tuttavia, nel gioco della guerra potrebbe avere un senso. Nell’analisi della “libertà d’espressione” senza confini di Kadyrov, bisogna anche ricordare che si tratta di un uomo senza mezze misure che, tuttavia, è sul libro paga di Putin: a Mosca, il pensiero di un’altra guerra cecena fa orrore e, data la misura in cui tutte le strutture di potere cecene sono state colonizzate da suoi accoliti, la sua uscita di scena destabilizzerebbe l’intera area, indebolendo Mosca. Questo spiega anche perché, nonostante il il leader ceceno sia disprezzato da molti all’interno dell’élite russa, gli sia sempre concesso tutto.

Prigozhin, dall’ombra alla propaganda di sè

L’altro uomo senza peli sulla lingua è Yevgeny Prigozhin, che in queste ultime settimane getta benzina sul fuoco nello scontro tra i suoi mercenari e i militari russi inquadrati nei ranghi. Qualsiasi questione sembra diventare materiale, da parte del fondatore del gruppo Wagner, per aprire una polemica con il Cremlino.

Le stilettate vanno dall’incensare i propri soldati, che sarebbero stati fondamentali per la conquista di Soledar, lodati per la loro “disciplina feroce”, alla gestione di internet in Russia. Prigozhin ha infatti criticato pesantemente l’amministrazione Putin per non aver bloccato YouTube in Russia. Il capo della Wagner ha addossato al Cremlino la responsabilità dell’inazione: “Coloro che sono contrari alla chiusura di YouTube sono, a mio avviso, persone traditrici della loro gente e del loro Paese, traditrici delle generazioni precedenti e future di russi: vivono all’estero, fanno vacanze all’estero, crescono figli all’estero, proclamano valori alti e, tuttavia, sostengono l’Occidente in ogni modo possibile e si nutrono di esso”.

E poi ancora, la querelle su chi abbai vinto davvero a Soledar, scagliandosi contro “la corruzione, la burocrazia e gli ufficiali che vogliono mantenere i loro incarichi, che rappresentano una maggiore minaccia per la Wagner”, lo stesso giorno in cui il ministero della difesa russo rivendicava la conquista di Soledar, peraltro smentita da Kiev, senza far menzione della Wagner che combatte su questo fronte. “Rubano in continuazione la vittoria alla Wagner”, aveva scritto ancora Prigozhin, riferendosi al ministero della Difesa.

A dimostrazione della sua ”intoccabilità” le mosse dei giorni scorsi della Difesa russa: il Cremlino aveva raffazzonato un discorso di lode per i mercenari della Wagner, tanto da indurre Dmitry Peskov a smentire le frizioni fra i mercenari e altri volontari e i regolari, evidenti da tempo e riemerse nei giorni scorsi.

Ma l’acme dello sproloquio giunge poche ore fa: per il capo della Wagner ci sarebbe solo da imparare dai militari ucraini su come stanno conducendo la guerra. “L’esercito dell’Ucraina sta lavorando in modo limpido e armonioso. Dobbiamo imparare da loro”, ha aggiunto l’oligarca, insistendo però che Bakhmut in russo “sarà conquistata”. Lodare il nemico: un atto imperdonabile che resterà presumibilmente senza conseguenze.

Perchè intoccabili?

A differenza di Kadyrov che è sempre stato sotto i riflettori, con i modi basici che lo contraddistinguono, Prigozhin aveva mantenuto a lungo il basso profilo, addirittura negando per anni di essere collegato al mondo dei mercenari russi. Negli ultimi mesi lo “Chef di Putin” ha mutato completamente il proprio profilo, attirando l’attenzione dei media e pubblicizzando i suoi meriti in battaglia. Tutto questo fomentando lo scontro con l’establishment e le forze regolari. Per molti, questo tirar la testa fuori dal sacco tradirebbe velleità politiche per il 2024: tuttavia, questo spiegherebbe ancor meno il laissez faire nei suoi confronti.

La ragione, tuttavia, di tanta mano libera è più banale di ciò si crede: Putin deve tantissimo alla Wagner. Non solo per il suo impiego in differenti teatri, ma perché da quasi dieci anni è diventata una vera e propria forza convenzionale della Difesa russa in termini di numeri, equipaggiamento, dedizione e risultati. Qualcosa che le giovani reclute mandate allo sbando in Ucraina dai quattro angoli della galassia russa non hanno e difficilmente potrebbero avere.

Se dunque Kadyrov è una polizza di assicurazione in Cecenia, Prigozhin è la certezza di avere un esercito motivato, capace, in Ucraina e altrove, che non deve passare dai rigidi controlli e dalle formalità a cui sono sottoposti i militari regolari, nonostante tutto. Secondo alcune fonti la compagnia militare di Prigozhin avrebbe schierato almeno 10mila mercenari e 40mila tra ex detenuti e volontari, dotati di equipaggiamenti alla’vanguardia come i carri armati T-72 e T-90 ed aerei d’attacco Su-25.

Quando il 1°ottobre scorso le truppe ucraine hanno riconquistato Lyman, i due hanno fatto fronte comune nel criticare la gestione dell’Operazione speciale, puntando il dito contro generale Alexander Lapin che sappiamo ora essere stato rimosso e sostituito da Valery Gerasimov, guarda caso. A ben guardare, i due sono i soli uomini “di Putin” a guidare un esercito (uno nazionale, l’altro di mercenari) sul quale possiedono non solo una leadership pratica ma soprattutto carismatica. Allo stesso tempo non sfugge a nessuno che, nonostante il loro peso, entrambi non hanno alcuna carica ufficiale a Mosca: un demerito? Tutt’altro. Potrebbe trattarsi di una strategia per mettere questi due uomini potenti al riparo dalle pastoie delle istituzioni e farli agire come liberi giocatori. Come potrebbe Putin l’assediato entrare in rotta di collisione con due “miniere” umane di questo calibro?

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