Nei prossimi mesi i primi carri armati M1A2 Abrams dell’esercito statunitense saranno equipaggiati con il sistema di protezione attiva Trophy, di fabbricazione israeliana. A differenza della versione che equipaggia il Mervaka III e il Merkava IV, nel programma degli Stati Uniti c’è anche un po’ di Italia poiché la produzione è stata affidata a Leonardo DRS e a Rafael Advanced Defense Systems. Il funzionamento del Trophy che equipaggerà l’Abrams sarà identico a quello in dotazione al Mervaka, garantendo la massima sicurezza del carro armato nel caso in cui fosse attaccato da missili e razzi anticarro.

L’utilizzo del Trophy

Se tutto dovesse procedere come da programma iniziale entro il 2020 l’esercito statunitense avrà a disposizione il sistema difensivo per quattro brigate corazzate, aumentando la sicurezza degli uomini impegnati nei teatri operativi. Entro il 2025 il Trophy sarà equipaggiato su tutti gli Abrams dell’Esercito, così come su quelli del Corpo dei Marine che hanno partecipato attivamente al programma per il sistema di protezione attiva. Un passo avanti fondamentale per aumentare le possibilità di sopravvivenza dei carri armati in teatro operativo. La “certezza” di ciò viene dal fatto che effettivamente il Trophy ha già dimostrato la sua efficacia con i Merkava delle Forze di difesa israeliane (Idf), specialmente nella striscia di Gaza dove sono stati oggetto di attacchi con missili e razzi anticarro in più occasioni sventati grazie al sistema di protezione.

Come funziona?

L’efficacia del Trophy è dovuta anche alla relativa semplicità: quattro sensori garantiscono al radar una visione a 360° di ciò che circonda il veicolo, nel momento in cui viene rilevato qualcosa il sistema calcola esattamente la direzione e la velocità di avvicinamento della minaccia che così può essere neutralizzata dalle contromisure. Le Mefp (Multiple Explosive Formed Penetrators) vengono sparate dai due lanciatori localizzati ai lati del veicolo in tempo e alla giusta angolazione, assicurando così la distruzione del missile o del razzo anticarro prima che la sua deflagrazione possa causare danni. Ovviamente essendo stato ideato per un utilizzo prevalentemente cittadino il sistema di bordo può gestire contemporaneamente più minacce, anche se queste dovessero provenire da direzioni e a velocità diverse.

Un unico punto debole

Finora, stando ai dati israeliani, sia in esercitazione sia in teatro operativo il Trophy ha funzionato alla perfezione nel 100% dei casi. Nonostante questo dato il sistema di protezione attiva ha un punto debole, ovvero l’incapacità –momentanea– nel intercettare e distruggere i penetratori ad energia cinetica (APFSDS, armour-piercing fin-stabilized discarding sabot). Nel prossimo futuro Rafael ha l’intenzione di ovviare a questo problema e al progetto potrebbe lavorare la stessa Leonardo DRS sotto richiesta del Dipartimento della Difesa.

In futuro anche sugli Ariete italiani?

La presenza della sussidiaria statunitense della principale azienda della difesa italiana nel programma Trophy, però, potrebbe essere un punto di partenza per iniziare il processo di aggiornamento necessario agli Ariete in uso all’Esercito italiano. Per l’Italia, infatti, converrebbe sfruttare l’expertise di Leonardo e seguire la linea intrapresa dagli Stati Uniti che non hanno sviluppato un nuovo carro armato, ma hanno aggiornato e migliorato continuamente l’M1 Abrams essendo la realizzazione di un nuovo Mbt costosa e lunga nei tempi. Inoltre, dotare a stretto i giro i carri armati di un sistema di protezione attiva efficiente è diventato necessario per continuare a utilizzarli in teatro operativo, specialmente a causa dell’aumentate minacce portate dalle moderne armi anticarro.

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