Situate in due regioni del mondo completamente distinte, entità insulari facenti rispettivamente parte dell’arcipelago pacifico delle Marianne e della regione caraibica, Guam e Porto Rico sono accomunate dalla difficoltà da essi provata nel conciliare la loro natura di Stato associato e territorio non incorporato agli Stati Uniti d’America con le inevitabili ambiguità che essa comporta e con le difficoltà di un presente che sembra aver messo in risalto le conseguenze svantaggiose del legame con Washington rispetto ai potenziali effetti positivi.

La sovrapposizione tra la sempre più rovente contrapposizione tra Stati Uniti e Corea del Nord e i tragici eventi prodotti nell’area del Mar dei Caraibi in seguito alla recente ondata di uragani e tempeste tropicali ha portato Guam e Porto Rico sulla linea del fronte, portando allo scoperto numerosi elementi di problematicità che concorrono a qualificare la loro relazione con una madrepatria che, in molti casi, appare tale solo a metà.





Guam è salita, suo malgrado, all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale in seguito alle minacce del leader nordcoreano Kim Jong-Un che, nell’escalation dialettica con il presidente Donald J. Trump, ha minacciato direttamente di attaccare il dispositivo di forze statunitensi stanziate nella più grande delle Isole Marianne. Guam legge se stessa e il suo posto nel mondo proprio in relazione al fatto di rappresentare, a partire dalla sua conquista nel 1898, un formidabile e importantissimo hub strategico, una delle principali chiavi di volta dello schieramento statunitense nel Pacifico: attualmente, la Andersen Air Force Base e la base della U.S. Navy rappresentano i principali nodi di un dispositivo che copre 16.000 ettari dell’isola, pari al 30% della sua superficie totale. Il governatore di Guam, il repubblicano Eddie Baza Calvo, ha di recente protestato contro i propositi di ampliamento delle basi statunitensi sull’isola, ritenendo deleteria la prospettiva di vedere Guam nuovamente nell’occhio del ciclone a causa dell’evoluzione geopolitica regionale e, soprattutto, costretta a abdicare alle prerogative della sua popolazione a causa delle direttive strategiche del Pentagono. In assenza della possibilità di eleggere i propri rappresentanti a Washington e di concorrere alla scelta dell’inquilino per la Casa Bianca, i cittadini dell’isola hanno seguito la linea Guam first di Calvo, che si è scagliato anche contro la delibera del Dipartimento della Giustizia contraria a un disegno di legge volto a garantire la prevista distribuzione di fondi terrieri agli abitanti di etnia chamorro, ritenuta un’indebita ingerenza coloniale da parte di Washington.

Di ingerenze coloniali hanno parlato a più riprese i leader di Porto Rico, che vive da anni una situazione ancora più complessa a causa della continua frustrazione dei suoi tentativi di diventare la cinquantunesima stella della bandiera americana e di una annosa crisi politico-economica che ha le sue radici nella deindustrializzazione quasi totale e nell’impossibilità di accedere ai fondi governativi che la stessa condizione di Stato garantirebbe, causa di diversi default sul debito e di un recente, gravissimo travaglio manifestatosi nel mese di maggio. Il passaggio degli uragani Irma e Maria ha travolto Porto Rico, causando decine di morti e provocando enormi disagi, con il 97% della popolazione (circa 3,5 milioni di abitanti) che è rimasto senza elettricità nel peggior ciclo di tempeste mai abbattutosi sull’isola nell’ultimo secolo. Al disastro, sono seguite le incomprensioni e le divisioni tra la Casa Bianca e il governo insulare guidato da Ricardo Rossello. I diversi richiami di Trump agli enormi costi sostenuti in passato da Washington per ovviare al dissesto economico di Porto Rico e i confronti, francamente fuori luogo, del disastro presente con gli sconvolgimenti causati da Katrina a New Orleans nel 2005 hanno alimentato un nuovo risentimento dei cittadini di Porto Rico verso un governo centrale che, al tempo stesso, si è tuttavia dichiarato disponibile a rinegoziare il debito da 73 miliardi di dollari del governo di San Juan. Da anni Washington non si rende conto che buona parte delle motivazioni del travaglio di Porto Rico stanno proprio nel limbo giuridico in cui l’isola si trovano: dal Jones-Shafrot Act del 1917 i suoi cittadini sono ritenuti americani a tutti gli effetti, pagano le tasse federali e hanno servito con onore sotto le armi a stelle e strisce, combattendo e morendo nelle numerose avventure militari affrontate da Washington nell’ultimo secolo, senza tuttavia poter mai uscire da quella che Alberto Flores d’Arcais ha definito una “condizione da americani di Serie B”. 

Il dilemma di Guam e Porto Rico è il dilemma di due isole tanto lontane tra loro quanto simili nella loro posizione di avamposti periferici della prima superpotenza planetaria, che in una fase di aperta crisi d’identità ha difficoltà a relazionarsi con entità ad essa associate ma che non hanno mai avuto l’opportunità di un’effettiva e compiuta integrazione. Territori non incorporati all’America, essi si scoprono meno uguali delle altre territorialità sottoposte alla giurisdizione di Washington nel momento in cui le loro difficoltà raggiungono un acume notevole: gli Stati Uniti dovranno essere in grado di gestire queste spinose ambiguità alle soglie della loro stessa giurisdizione, dato che un’esacerbazione del limbo giuridico in cui si ritrovano Porto Rico e Guam, più volte sanzionato dalle Nazioni Unite come status pseudo-coloniale, rischia di produrre gravi danni d’immagine a Washington nel resto del mondo.

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