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Il triangolo tra Iran, Israele e Stati Uniti continua a innalzare le tensioni in Medio Oriente. E le tempistiche parallele alla ripresa dei negoziati sul nucleare – questo almeno il segnale inviato da Teheran – indicano che evidentemente si sta trattando e si gioca su diversi piani “diplomatici”.

In queste settimane, Israele ha posto di nuovo l’attenzione sul problema della sicurezza nel Mar Rosso. Il viceammiraglio Eli Sharvit, appena andato in pensione, ha affermato in un’intervista ad Associated Press che la “Israele proteggerà la sua libertà di navigazione in tutto il mondo”, senza che la distanza dal Paese possa essere un vincolo per le attività della Marina di Gerusalemme. Parole significative, soprattutto perché pronunciate da un militare che si è occupato della sicurezza della costa mediterranea di Israele e di quel del Mar Rosso. Punti vitale per la stessa sopravvivenza dello Stato ebraico, dal momento che è dal mare che passa la maggior parte dell’import-export del Paese e sono le piattaforme di gas naturale nel Mar Mediterraneo a fornire la maggior parte dell’elettricità.

Dal punto si vista strategico, l’importanza del mare si vede anche da due altri motivi: l’evolversi delle tensioni regionali legate alle rotte marittime, e l’interessamento della Cina verso i principali porti della regione, a partire anche da quello di Haifa. Due questioni apparentemente slegate tra loro, ma che costituiscono il filo rosso di dove si sta spostando il focus sia della Difesa israeliana che delle tensioni regionali.

Israele ha da tempo avviato un programma di riarmo navale legato all’aumento delle attività in mare. E questo si evince non solo dalle parole di Sharvit, ma anche dalle notizie che ormai periodicamente giungono dal fronte navale e che confermano l’aumento esponenziale delle tensioni. La “guerra ombra” con l’Iran ha portato a una serie di colpi nei confronti delle navi iraniane a cui hanno risposto attacchi da parte di Teheran. Dall’inizio della guerra in Siria, Israele ha intensificato i raid contro i cargo iraniani diretti nei porti di Bashar al Assad fino a colpire direttamente le navi legate ai Pasdaran. Attacchi che hanno riguardato in particolare il mare al largo del Mar Rosso, e che sono stati spesso seguiti da misteriosi incidenti di imbarcazioni collegate allo Stato ebraico al largo del Golfo dell’Oman e del Mare Arabico. I comandi israeliani hanno sempre accusato la Repubblica islamica, ma come avvenuto per i raid contro navi iraniane, nessuno si assume mai realmente la responsabilità di quanto accade nelle acque che circondano la Penisola arabica.

Se Israele punta a colpire le navi iraniane considerate una minaccia per la sua sicurezza, l’Iran non sembra però intenzionato a cedere di fronte a questo pericolo per le proprie unità più o meno militari. Teheran ha ripetutamente affermato di avere migliorato le proprie capacità di guerra marittima soffermandosi sia sull’utilizzo dei droni, sia sulla difesa missilistica. In queste ore, la tv di Stato iraniana ha rilanciato la notizia dell’inseguimento di una nave degli Stati Uniti nel Golfo Persico ad opera dei motoscafi dei Pasdaran. La Marina Usa – attraverso il portavoce della Quinta Flotta, Timothy Hawkins – ha negato qualsiasi coinvolgimento, mentre il video mostrato dagli iraniani mostrerebbe una nave battente bandiere Usa inseguita dal motoscafo dei Guardiani della rivoluzione. Gli esperti segnalano che non è possibile verificare la data in cui sarebbe stato realizzato il video.

Il segnale però sembra essere quello di un rinnovato avvertimento da parte iraniana sulle proprie capacità marittime. Non paragonabili alla potenza di fuoco americana, ma perfettamente in grado di condurre un conflitto usando tattiche da guerriglia. Avvertimento da unire alle due immagini che in questi mesi hanno voluto lasciare da Teheran: l’arrivo delle navi in Russia per la festa della Marina di Mosca (navi seguite dall’intelligence statunitense per giorni); e l’arrivo in Siria di diverse petroliere che in questi giorni hanno raggiunto il porto di Banias per trasferire il carburante in Libano. Un monito anche nei confronti di Israele, dal momento che le navi cisterne iraniane sono state spesso bersaglio delle operazioni dei commando dello Stato ebraico.

Di porto in porto, per Israele e gli Stati Uniti c’è un ulteriore nodo da sciogliere: Haifa. Un problema che per i due Stati non riguarda solo la sicurezza della navigazione legati ai timori dei colpi iraniani, ma per la presenza della Cina. Pochi giorni fa, il Dipartimento di Stato americano ha confermato al sito Breaking Defense di avere chiesto al governo israeliano di fare il possibile per controllare le attività cinesi nel porto. Per gli Stati Uniti è essenziale controllare la presenza di Pechino nel terminal mediterraneo perché lì vicino ci sono le navi della Us Navy, così come quelle israeliane. I funzionari occidentali temono in particolare che nei macchinari utilizzati dai cargo dell’Estremo Oriente possano esserci sistemi di sorveglianza in grado di interferire con le attività Usa. Ipotesi considerata anche dagli esperti israeliani e dalla Cia, anche se da Langley non hanno confermato. Per Washington si tratta di un problema di primaria importanza, non solo perché non vogliono che la Repubblica popolare arrivi in un porto alleato, ma perché temono l’infiltrazione cinese nel Mediterraneo e che si innesta in un quadrante, quello orientale, già teatro di tensioni. L’incastro di questo pericolo con altre fonti di turbolenze implica per gli strateghi americani diversi piani di azione, con il rischio che gli avversari possano utilizzare più fronti per lederne la sfera di influenza regionale.

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