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L’Ucraina non ha le capacità di costringere le truppe russe ad abbandonare la Crimea. È questa l’ammissione, riportata per prima da Politico, fatta da quattro alti funzionari del Pentagono in un briefing riservato per la commissione Servizi Armati della Camera dei Rappresentanti Usa. Un’opinione dura da accettare per l’esercito di Kiev, che considera la riconquista della penisola persa nel 2014 una priorità per avvicinarsi alla fine della guerra.

A margine del forum di Davos di quest’anno, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva detto, rivolgendosi ai leader occidentali, che ricevendo le loro armi gli ucraini avrebbero potuto “riconquistare le loro terre“. E la leadership militare statunitense, divisa a Washington tra “falchi” e “colombe”, concordava con le parole di Zelensky, ma per una ragione più strumentale: cacciando la Russia dalla Crimea, infatti, Vladimir Putin potrebbe decidere di ridurre l’intensità del conflitto. Forse una vana speranza.

“Non commenteremo briefing riservati a porte chiuse né parleremo di ipotesi o speculazioni su potenziali operazioni future“, ha commentato la portavoce del Pentagono, Sabrina Singh. “Per quanto riguarda la capacità dell’Ucraina di combattere e riprendersi il territorio sovrano, le sue notevoli prestazioni nel respingere l’aggressione russa e la continua adattabilità sul campo di battaglia parlano da sole”.



L’importanza della Crimea per la Russia

Il Cremlino sta usando la Crimea come avamposto strategico. È innanzitutto, grazie al porto di Sebastopoli, la base di riferimento della flotta del Mar Nero. Il ministero della Difesa russo la sta utilizzando anche come hub per le centinaia di migliaia di coscritti da spedire sul fronte dopo la mobilitazione parziale annunciata qualche mese fa.

“L’alta temperatura dell’acqua, il porto naturale e le ampie infrastrutture di Sebastopoli rendono la Crimea una delle migliori basi navali del Mar Nero”, evidenzia il Center for Strategic and International Studies (Csis). “Operando da Sebastopoli, la Flotta del Mar Nero fornisce alla Russia la capacità di proiettare potenza all’interno e intorno al Mar Nero, fungendo al contempo da simbolo della potenza russa”, continua il think tank americano. “La Flotta del Mar Nero – conclude la disamina – non è attualmente una grande forza: è composta da una quarantina di navi obsolete, risalenti principalmente agli anni ’70, tra cui due incrociatori, diverse fregate, corvette, navi per la guerra di mine, mezzi di trasporto anfibi e un sottomarino”.

A livello legale, inoltre, la Crimea è – almeno secondo Mosca – “parte integrante del territorio della Federazione russa”. Ciò basterebbe, almeno secondo la dottrina nucleare di Mosca, a giustificare l’uso dell’arma nucleare in caso di attacco ucraino, sebbene la comunità internazionale, appellandosi giustamente alla Carta delle Nazioni Unite, abbia condannato l’annessione manu militari illegale e illegittima avvenuta nel 2014. Ma nel corso di questo conflitto le forze ucraine hanno preso di mira in più occasioni la penisola che tanto bramano da nove anni.

Una controffensiva all’orizzonte

L’esplosione sul ponte di Kerch, opera simbolo dell’occupazione russa, ha scatenato una reazione convenzionale, con una raffica di bombardamenti indiscriminati su tutta l’Ucraina che per l’intera durata dell’autunno hanno messo in ginocchio le infrastrutture e le linee elettriche del Paese. Ora, con l’invio dei nuovi missili Glsdb a lungo raggio, Kiev potrebbe colpire con più frequenza gli obiettivi militari della regione, in vista di un attacco organizzato.

Finora, infatti, spingersi fino alla militarizzata Crimea e organizzare una testa di ponte si è rivelato piuttosto aleatorio a causa della reattività della difesa antiaerea russa. Ad agosto però un attacco sulla base aerea di Saky ha portato alla distruzione di sette caccia russi. Secondo l’Institute for the Study of War (Isw) i bersagli “erano ben al di là del raggio d’azione dei sistemi forniti dagli Stati Uniti”, poiché gli Himars forniti dagli Stati Uniti hanno una gittata di al massimo 120 km. L’ipotesi più accreditata è che siano state apportate delle modifiche ad altri sistemi in dotazione all’esercito ucraino.

Tuttavia, il pericolo temuto da Mosca sono i sabotaggi. Nella notte tra l’1 e il 2 febbraio 2023, sei persone sono morte in un incendio divampato a Sebastopoli. Tra le vittime, gli operai al lavoro sulla nuova rete autostradale Tavrida, che unisce il sopracitato ponte di Kerch e la Russia continentale. Non saranno certo i roghi a far sloggiare le truppe di Putin dalla Crimea, ma questi eventi sempre più ricorrenti potrebbero anticipare uno scontro diretto diverso rispetto al 2014, quando gli “omini verdi” degli squadroni d’élite invasero la penisola affacciata sul Mar Nero mentre l’Ucraina viveva un’infuocata crisi politica.

La flotta del Mar Nero continua nel frattempo a muoversi freneticamente in quelle che sono state definite dai russi stessi “esercitazioni”. Esercitazioni che però nascono dall’esigenza di avere tutte le forze schierate e combat-ready per rispondere a una controffensiva di cui si parla da mesi e che è stata preceduta da alcuni raid con droni. Il vantaggio di Putin non è quindi soltanto numerico in questo caso specifico: il Cremlino sta conducendo una guerra d’attrito e sarebbe pronto a disporre sul campo tutte le sue risorse (tra le quali rientra la “carne di cannone” dell’esercito di leva) pur di conservare la Crimea illegalmente conquistata, obbligando il mondo intero a riconoscere ufficialmente la sovranità russa ottenuta in barba al diritto internazionale.

A Kiev basteranno le armi e la saggezza dei suoi strateghi militari per riprendersi un territorio rubato e, magari, sfruttarlo per dei futuri colloqui di pace? Le sensazioni non sono positive, ma gli Stati Uniti potrebbero sbagliarsi. A suo tempo, la previsione (o profezia) americana sull’invasione, sconfessata fino alla fine da cancellerie e servizi di intelligence europei, si rivelò corretta.

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