Mentre la guerra in Ucraina giunge al 281esimo giorno, il mondo si chiede quale sarà il destino del presidente russo, Vladimir Putin, e quale impatto avranno le battute d’arresto militari che la Russia ha subito in questi nove mesi di conflitto sulla leadership del leader del Cremlino. Negli ultimi mesi, le forze russe si sono ritirate dalla città strategica di Kherson e oltre 30mila soldati russi e si sono stati ritirati sulla riva est del fiume Dnipro. Benché siano da registrare dei malumori – in particolare sul fronte del nazionalismo russo – verso la strategia adottata dal Cremlino in Ucraina, anche un’ipotetica sconfitta russa in Ucraina potrebbe non essere sufficiente per scalfire la leadership di Putin, che al momento rimane solida. John Mueller, autorevole membro del Cato Institute, sostiene infatti che il presidente russo potrebbe non essere costretto a lottare per rimanere in sella, anche nel caso dovesse perdere la guerra.
L’esperto: “L’Occidente sopravvaluta la paura di Putin di perdere il potere”
In un’analisi pubblicata su Foreign Affairs, Mueller spiega che diverse volte nel corso della storia i governanti hanno perso guerre, a volte anche in modo imbarazzante, ma sono rimasti in carica nonostante l’impatto della sconfitta sulla loro reputazione. Mueller rileva come, indipendentemente da come finirà, quella di Putin sarà da considerare come una debàcle: la Russia sta emergendo da questo conflitto più debole e più isolata che mai, mentre l’Ucraina, sostenuta da un’identità nazionale rafforzata, si avvicina sempre di più all’Occidente. “Per molti commentatori – afferma – questa traiettoria disastrosa suggerisce che i giorni di Putin sono contati. Sostengono che è improbabile che i leader che subiscono terribili sconfitte sul campo di battaglia durino a lungo al potere. È stato il caso, ad esempio, del leader pakistano Yahya Kahn nei primi anni ’70 e del leader della giunta argentina Leopoldo Galtieri un decennio dopo, costretti a dimettersi dopo umilianti imprese militari”.
Nasser e Hussein: i leader che hanno subito sconfitte umilianti ma sono rimasti in sella
Il caso russo è molto diverso. Infatti, nota l’esperto nell’articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista americana, “sebbene ci siano motivi per mettere in dubbio la longevità di Putin in carica”, la storia suggerisce che le sue “prospettive di sopravvivenza sono significativamente migliori di quanto generalmente si creda”. In effetti, negli ultimi decenni, “anche i leader che hanno subito spettacolari battute d’arresto militari spesso non sono stati rimossi dal potere”. Di esempi di questa tipologia la storia ne è piena. In Egitto, ad esempio, Gamal Abdel Nasser subì un’umiliante sconfitta nella guerra del 1967 con Israele. Eppure rimase al potere ed era ancora in carica quando morì di infarto tre anni dopo. In Iraq, Saddam Hussein non solo è sopravvissuto alla disastrosa guerra di otto anni che ha iniziato contro l’Iran nel 1980, ma anche alla devastante Guerra del Golfo del 1991, nella quale il suo esercito fu cacciato dal Kuwait dalle forze statunitensi e alleate in sole 100 ore. Hussein, com’è noto, rimase in carica per altri 12 anni fino a quando non fu deposto con la forza nell’invasione guidata dagli Stati Uniti del 2003.
Nel Paese, inoltre, Putin sembra godere – ancora oggi – di un ampio sostegno. Come riportato da Statista, sito web tedesco che si occupa di statistica e che rende disponibili dati raccolti da istituzioni che si occupano di ricerca di mercato e di opinioni, nell’ottobre 2022, circa l’80% dei russi approvava l’operato del presidente russo. Il livello di popolarità ha registrato un aumento rispetto al mese precedente, quando si attestava al 77% (calo da ricondurre all’annuncio di una parziale mobilitazione nel Paese). Dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina alla fine di febbraio 2022, il tasso di approvazione di Putin è aumentato.
Dubbi sulla vittoria dell’Ucraina
Con l’avanzare dei mesi, inoltre, anche la situazione sul fronte ucraino non è certo delle migliori e le perdite ingenti subite si fanno sentire. A metà novembre Mark Milley, Capo dello Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, ha esplicitamente affermato, con grande dose di realismo militare, che “le possibilità che l’Ucraina possa sconfiggere sul campo i russi non sono molto alte”. Nel frattempo, un’inchiesta pubblicata sul New York Times svela che, dopo nove mesi di conflitto in Ucraina, gli aiuti bellici da parte di Stati Uniti e alleati della Nato potrebbero essere arrivati al limite. Citando Camille Grand, esperta di difesa presso il Consiglio europeo per le relazioni estere, “un giorno di guerra in Ucraina”, in termini di armamenti bellici, “equivale a un mese di quella in Afghanistan”. La quantità di artiglieria utilizzata è sbalorditiva, affermano infatti i funzionari della NATO. In Afghanistan, le forze dell’Alleanza avrebbero potuto sparare anche 300 colpi di artiglieria al giorno e non avevano reali preoccupazioni per la difesa aerea.
Ma l’Ucraina spara migliaia di colpi al giorno e rimane alla disperata ricerca di difesa aerea contro missili russi e droni di fabbricazione iraniana. Tanto per dare qualche numero: la scorsa estate, nella regione del Donbass, gli ucraini hanno sparato dai 6.000 ai 7.000 colpi di artiglieria al giorno, mentre i russi erano in grado di spararne dai 40.000 ai 50.000. Come ha ricordato il giornalista Rai e corrispondente da Mosca, Marc Innaro, negli ultimi giorni si sono verificati “ferocissimi combattimenti e stanno morendo come mosche sia i soldati russi sia quelli ucraini. Vengono rasi al suolo villaggi. Inoltre, la strategia russa si muove anche con bombardamenti alle infrastrutture. E quindi il problema è chi si arrenderà prima? Le riserve strategiche di armamenti della Russia sono enormi, sterminate”. Quindi sì, la Russia ha subito pesanti sconfitte, ma occhio a vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso perché l’inverno calcificherà la situazione e sarà difficile che Kiev faccia importanti progressi nell’arco delle prossime settimane, se non mesi.