La sfuriata di Prigozhin e il suo dietrofront dalle minacce di lasciare Bakhmut da un lato non hanno cambiato la situazione sul campo. L’inerzia della battaglia per la cittadina del Donbass è sempre in mano ai russi e non ci sono stati guadagni territoriali da parte degli ucraini. Dall’altro però ha messo in evidenza ancora una volta la “guerra nella guerra” tutta interna al mondo militare vicino a Mosca. Un conflitto che il Cremlino spera di gestire mantenendo i nervi saldi. Molti infatti gli interessi in ballo. Si va dalla gestione dell’apparato politico “ufficiale” che sta dietro al ministero della Difesa russo, fino alla gestione dello stesso Prigozhin e delle altre compagnie e milizie private che stanno via via sorgendo e che sono altrettanto fondamentali per lo sforzo bellico in Ucraina.

Il perché della sfuriata di Prigozhin

L’esercito regolare russo è stato sfiancato dall’assedio di Kiev nei primi mesi di guerra. Per sopperire alle difficoltà delle truppe regolari, il Cremlino ha fatto affidamento a Mariupol sulle milizie cecene di Kadyrov. A Bakhmut è emerso il vitale ruolo dei contractors privati e, in particolar modo, della Wagner di Prigozhin. Quest’ultimo adesso ha fiutato l’aria che si respira a Mosca: qui in tanti lo vorrebbero far fuori perché temono voglia allargare il suo peso e il suo potere.

Non è un mistero che a Mosca si stia sostenendo l’idea di costituire altre compagnie private. Alcune sono già operative a Bakhmut e sono entrate in contrasto, seppur sotto il profilo mediatico, proprio con la Wagner. Emblematico il caso della compagnia Potok, il gruppo di mercenari finanziato dalla Gazprom che ha lasciato alcune posizioni nell’area di Bakhmut alimentando così dissidi con gli uomini di Prigozhin. Per lui l’arrivo di altre compagnie e il mancato arrivo di munizioni e mezzi di rinforzo è valso come un campanello di allarme.

Da qui la sua sfuriata sui social. Lo “chef di Putin” ha provato a sollevare l’opinione pubblica, o almeno una parte significativa di essa, contro l’apparato politico della Difesa russa. Ha voluto far intendere di non accettare i diktat politici e di non sacrificare propri uomini e propri mezzi senza precise garanzie. Va letta in questa ottica la minaccia, poi ritirata, di andare via da Bakhmut.

L’avvertimento del Cremlino alla Wagner: nessuno è indispensabile

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina, forse è la prima volta che al Cremlino è emersa una certa lucidità nella gestione di una crisi. Prigozhin ha minacciato il dietrofront e a Mosca ci si è mossi su due fronti. Da un lato evitare che i combattenti Wagner potessero effettivamente abbandonare Bakhmut. Per questo sono arrivate rassicurazioni su nuovi rifornimenti e nuove munizioni per i combattenti.

Dall’altro, far capire a Prigozhin che nessuno è indispensabile. Il Cremlino, dopo la minaccia del capo della Wagner, ha chiamato a raccolta il presidente ceceno Kadyrov (sparito da mesi sui social e sulle tv) per portare a Bakhmut i propri combattenti. In tal modo, il governo russo ha messo in chiaro a Prigozhin un concetto fondamentale: tutti possono essere sostituiti e il suo ruolo è quello di mero esecutore delle disposizioni che arrivano da Mosca.

Cosa accadrà adesso

Probabilmente il capo della Wagner ha capito che per il momento non è il caso di dare ulteriore linfa alla guerra interna. Detto in altri termini, Prigozhin è ben consapevole di non poter portare avanti alcun conflitto contro il ministero della Difesa e non poter rivendicare ulteriore potere. Una “pax” momentanea finalizzata a portare a termine la presa di Bakhmut, in vista poi dell’attesa controffensiva ucraina.

Il Cremlino, dal canto suo, ha tolto ogni possibile equivoco sulla gestione della guerra riuscendo a blindare il primato del ministero della Difesa su tutte la altre forze. La Wagner quindi resterà a Bakhmut e prenderà ordini da Mosca. Difficile però prevedere quanto questi equilibrio è destinato a durare.

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