Era il 1962 quando, dopo alcune settimane di tensioni e di provocazioni reciproche lungo il confine, le forze cinesi sfondarono la linea presso Ladakh, nel Kashmir indiano, e nei territori della Northeast Frontier Agency (Nefa). L’inizio delle ostilità avrebbe costretto Nehru a legarsi ancor più saldamente all’Occidente: nel disegno cinese di Zhou Enlai, invece, c’era il desiderio di espandersi verso territori idealmente legati alla Cina, come il Nepal, il Sikkim e il Bhutan. Per l’India, che oggi scopriamo essere stata la vera provocatrice tra le due nazioni asiatiche, fu un vero tracollo nel mezzo di uno sbandamento politico e militare senza precedenti. Sessant’anni dopo, con ancora numerosi punti oscuri sul conflitto precedente, la long skirmish sino-indiana può considerarsi ormai riesumata.

I piani dell’India, oggi

Nel 1962 l’India mandò i suoi soldati ad affrontare la neve himalayana con scarpe di tela, equipaggiati quasi solo con armi personali vecchie di decenni: un esercito motivato, ma tremendamente debole. Memore di quella disfatta l’India di oggi sta aggiornando tutti i suoi tre rami – esercito, marina e aeronautica -, ha messo in atto i più moderni dispositivi tecnologici e potenziato le capacità di guerra cibernetica.

Sebbene la Cina abbia scalfito il confine comune in un perenne stillicidio, costruendo avamposti, strade, ponti e infrastrutture, l’attuale strategia militare di New Delhi tende al costante respingimento dell’esercito cinese in questi territori, arrivando a godere di numerosi vantaggi militari in molte zone di confine. In questa nuova strategia si inserisce l’operazione Snow Leopard, lanciata alla fine di agosto: un’operazione di grande successo contro i cinesi che ha rafforzato il fronte strategico e tattico dell’esercito sulla cosiddetta Line of Actual Control (Lac). La crisi ha raggiunto l’apice quando, alla fine dell’estate, le truppe dell’Apl (Armata Popolare di Liberazione) hanno cercato di riaccendere le tensioni, minacciando la zona della Lac. Intuendo il pericolo per lo status quo dell’area, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha optato per passare dalla difesa all’attacco. Un’opzione in cantiere da tempo, ma tenuta nascosta, illudendo la controparte di aver intrapreso una strada più conciliante.

La Snow Leopard, in dettaglio, ha quattro punti chiave: osservare e segnare le altezze cruciali nella Lac; l’addestramento di specialisti di guerra ad alta quota; occupare le altezze strategiche mantenendo una linea di rifornimento sostenuta (in modo da poterla occupare per un tempo più lungo senza alcuna carenza di rifornimenti); garantire la superiorità strategica sulla linea di controllo effettivo per sventare i tentativi di sfondamento delle truppe cinesi. Insomma: evitare tutti gli errori del 1962 denunciati nel famigerato Henderson Brooks-Bhagat report, il documento indiano mai desecretato che racconta colpe ed errori clamorosi di sessanta anni fa. Questo new look della strategia militare indiana sembra quindi essere l’asso nella manica qualora le trattative tra New Delhi e Pechino dovessero fallire, consentendo una superiorità tattica. Inoltre, questi avamposti, a queste altezze, possono fornire un vantaggio per colpire strategicamente le truppe e l’artiglieria cinese, effettuando azioni preventive sulla linea di controllo effettivo.

I vantaggi indiani

L’esercito indiano ha una lunga esperienza di combattimento ad alta quota e sui ghiacciai. La controparte cinese, invece, necessita almeno di un paio di settimane di acclimatamento prima di essere considerata pronta al combattimento: questo significa che, con l’inverno ormai avviato, nel caso di un’imboscata improvvisa, le truppe cinesi non sono in grado di essere immediatamente operative. A ciò si aggiunge anche l’abilità delle truppe indiane nello scalare velocemente le vette anche al buio nel caso di raid notturni come quello lungo la riva sud del Pangong Tso che ha estromesso i cinesi dal controllo di questa zona: questi ultimi dovranno costruire una nuova rete di strade, una sfida impossibile considerando l’arrivo del Generale inverno. La difficoltà tattica in cui ora versa l’esercito cinese è testimoniata anche dall’utilizzo di metodi stravaganti, reclutando, ad esempio, esperti di artisti marziali miste (tipo Mma) e perfino i podisti che avevano accompagnato la Torcia Olimpica sull’Everest.

Ma il vantaggio è anche questione di tempra, di esperienza e di numero: l’esercito indiano è una macchina da guerra, perennemente impegnata in conflitti regionali (con il Pakistan, ad esempio) ed operazioni all’estero, mentre la controparte cinese viene utilizzata principalmente per reprimere disordini politici. Sebbene l’esercito cinese (sulla carta) sia più consistente di quello indiano, quest’ultimo possiede un maggior numero di riservisti e sebbene vi sia una massiccia presenza di soldati dell’Apl nella regione al confine con l’India, molte di queste unità sono inviate per sopprimere il dissenso nello Xinjiang o nel Tibet e per proteggere il confine con la Russia e si tratta, nella maggior parte dei casi, di matricole appena arruolate e non di veterani.

Sebbene, inoltre, l’esercito cinese sembra disporre di un equipaggiamento di prima classe e anche di un maggiore numero di mezzi come  carri armati, l’India ha dalla sua un’artiglieria che ha fatto scuola nel mondo (il Pakistan ne sa qualcosa) e che ora è diretta con radar e veicoli aerei senza pilota, utilizzando sistemi di guida di precisione.

Il sostegno di Washington all’India e le difficoltà di Pechino

Il 1962 mise fortemente sotto stress il non allineamento propagandato da Nehru, costretto a chiedere rinforzi a quell’America di Kennedy della quale fu amico ma non alleato: nelle fasi più acute del conflitto arrivò perfino a chiedere a JFK un intervento (aereo) diretto degli Usa. Oggi il Pentagono, alle prese con una Cina in continua espansione militare ed economica, sta includendo sempre più l’India nei suoi piani strategici globali: un’entente cordiale suggellata anche dall’intesa personale tra Modi e Trump. New Delhi sa bene di avere da questo punto di vista un vantaggio importante e lo usa come deterrente sull’Himalaya. Rispetto a sessanta anni fa, invece, la Russia sembra tenersi abilmente fuori dalla contesa: non è più la Russia a cui si avvicinò decisa Indira Gandhi negli anni Settanta, bensì una potenza che ambisce ad essere leader regionale.

Al fianco della Cina resta solo il Pakistan, un alleato potente ma non ancora in grado di competere con Mosca e Washington. Pechino, inoltre, non vive un momento semplice: la pandemia, la guerra dei dazi con gli Usa, i malumori interni al partito stanno fiaccando fortemente il sistema ed un conflitto ad alta intensità non sarà affatto possibile in questo momento, cum gaudio magno di New Delhi.

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