Boris Johnson ha lanciato una vera e propria “crociata” contro Vladimir Putin dal giorno in cui, poco più di un mese fa, il presidente russo ha deciso di ordinare l’invasione dell’Ucraina da parte del suo esercito. Sanzioni durissime, embarghi energetici e finanziari, forniture di armi a Kiev, caccia aperta agli oligarchi, da Roman Abramovich in giù, che nell’ultimo ventennio hanno trasformato la capitale britannica in “Londongrad”, violente esternazioni retoriche, continui contatti con Volodymir Zelensky e col fronte della fermezza in ambito Nato (che vede la Polonia come principale sponda di Londra) hanno contraddistinto il mese in cui BoJo si è messo l’elmetto.

Johnson si vede in un certo senso come un nuovo Winston Churchill intento, secondo quanto percepisce dalle dinamiche globali, a avvertire un’Europa pigra e stanca circa i rischi di un appeasment con il tiranno di turno. Ieri Adolf Hitler, oggi Vladimir Putin. Ma ci sono anche recondite ragioni politiche e strategiche per consolidare il contrasto britannico alla Russia. Una sfida durissima che ha portato il metus di Londra nei confronti della Russia e la volontà di contrastare l’Orso dell’Est a livelli raggiunti solo poche volte in passato: ai tempi dell’ottocentesco Grande Gioco, ai tempi dell’immediato primo dopoguerra con l’ascesa dell’Unione Sovietica e nei primi Anni Cinquanta, era torbida della Guerra Fredda, la Russia assunse la natura di nemico pubblico numero uno. Ora il notoriamente russofobo Johnson  non fa da meno.



L’atteggiamento seguito in occasione dei colloqui turchi tra Russia e Ucraina lo testimonia: Londra ha pubblicamente sconfessato la possibilità che Putin possa volere davvero una pace che si risolverebbe in una mezza sconfitta per il Cremlino e non confida che lo Zar si possa fermare presto. Di conseguenza Londra sta muovendosi, su iniziativa del suo governo, con l’obiettivo dichiarato di alzare il prezzo politico, economico e umano della guerra alla Russia. Anche la condotta dei servizi segreti britannici, alleati a quelli di Usa e Australia nello spiare attraverso il patto Ukusa fin da fine 2021 le mosse dei russi, va nella direzione di un contrasto pressoché totale alla Russia.

Per Johnson è il momento Churchill ma anche il “momento Thatcher”.  A quarant’anni esatti dall’invasione argentina delle Isole Falkland, Johnson usa l’emergenza internazionale per ricompattare la maggioranza del suo Partito Conservatore alle proprie spalle dopo i mugugni, gli scandali, le tensioni dei mesi scorsi, riacquisire centralità, consolidarsi alla guida del governo. In maniera a quanto fatto dalla prima premier donna della storia britannica con la risposta alla dittatura di Buenos Aires. Mossa, questa, assai complessa per le ricadute che può provocare in campo energetico e, di conseugenza, sul fronte di inflazione e costo della vita per i cittadini, ma che mostra una precisa volontà politica di uscire da un’impasse prolungata in cui il governo Johnson rischiava di logorarsi.


In quest’ottica, bisogna considerare che il Regno Unitoe e BoJo hanno pienamente interiorizzato la narrativa che vedrebbe come inevitabile, in prospettiva, lo scontro tra sistemi-mondo avente da un lato le autocrazie e dall’altro le democrazie in un nuovo bipolarismo in cui contro di essa Londra teme di dover affrontare nemici politici, strategici e, in prospettiva, militare come la Russia stessa e la Cina. In quest’ottica il piano Global Britain per il rilancio del Paese dopo la Brexit e la volontà della proiezione di potenza possono passare per puntellare l’Ucraina contro l’avversario russo. Guardare la Russia significa parlare anche a Pechino, seppur indirettamente. E il contrasto alla Cina è, nota Repubblica,  “uno dei pilastri della Global Britain post Brexit”, inserita nel quadro della grande strategia atlantica a guida Usa. “Una sconfitta in Ucraina o concessioni troppo evidenti alla Russia di Putin (tra l’altro riallineatasi fortemente a Pechino in tempo recenti), secondo Johnson darebbero una pericolosa spinta anche alla Cina in termini di espansioni e mire autoritarie, vedi Taiwan o il caso Hong Kong” e rappresenterebbero un rischio da evitare.

Infine, Johnson agisce puntellando quella parte di Europa più distante oggigiorno dal duo Francia-Germania indicato come il sottovalutatore per ecclellenza di Putin e guardando, dunque, all’Est di Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Paesi Baltici. Da fuori, dunque, Londra influisce ancora negli affari europei portando la faglia russa nel dibattito, come testimoniato dalla convocazione autonoma della Joint Expeditionary Force comprendenti Paesi Nato e Ue nelle settimane scorse.

Dunque parliamo di scenari complessi in cui Johnson porta avanti una guerra ibrida personale a Putin fatta di mosse di hard power (il puntello dell’Ucraina), manovre di isolamento diplomatico, guerre verbali, misure asimmetriche che passano per le spie britanniche, attenzioni politiche al campo occidentale. Lo fa per ritornare in campo da protagonista ma anche avendo in mente sincere prospettive geostrategiche. La Global Britain nasce antirussa perché anticinese, secondo BoJo il futuro della democrazia e dell’Occidente passano da un suo consolidamento nelle contese pianure ucraine. Prima trincea indiretta di scontro tra Johnson e una presunta alleanza di autocrazie che si consoliderebbe nel pieno della guerra d’Ucraina e a cui l’inquilino di Downing Street vuole opporre una linea della fermezza che serve anche a capire quanta influenza residua abbia Londra sulle capitali europee e, soprattutto, su quelle atlantiche. Dunque il rango della potenza reale del Paese di Sua Maestà.





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