Sono passati tre anni dalla sigla del memorandum tra Libia e Turchia. Era il novembre del 2019, Ankara con quella mossa è entrata di prepotenza nello scacchiere del Paese nordafricano. Erdogan, sfruttando la solita “distrazione” italiana e la perdita di credibilità, agli occhi di Tripoli, di una Francia accusata di essere vicina al generale Haftar, si è insinuato nel dossier libico diventando uno dei principali attori internazionali.

In questi tre anni poi è successo di tutto. Pandemia, nuove crisi interne alla Libia e non ultimo la guerra in Ucraina. Elementi che hanno fatto quasi dimenticare la firma su quel memorandum. Oggi però la Turchia ha rispolverato il documento, diventato da lunedì nuovamente un oggetto potenzialmente in grado di alimentare altri contrasti. Ankara, partendo dagli accordi siglati con l’allora governo di Fayez Al Sarraj, ha stipulato un patto con l’attuale premier, Abdul Hamid Ddeibah, per assicurarsi gas e petrolio libico.

La domanda sorge spontanea: è l’atto finale della vittoria turca in Libia a discapito dell’Italia? Per Roma il nuovo patto turco-libico non è affatto una buona notizia. Ma, dall’altro lato, non è nemmeno il tanto temuto punto esclamativo sulla vicenda.

Cosa prevedono i nuovi accordi tra Libia e Turchia

Il memorandum del 2019 si basava su due aspetti fondamentali: delimitazione delle rispettive Zone Economiche Esclusive (Zee) e aiuto di natura militare per contrastare le offensive di Khalifa Haftar, l’uomo forte dell’est della Libia in pressione su Tripoli in quel momento. Un punto quest’ultimo da subito applicato: Erdogan ha infatti inviato già sul finire del 2019 armi e mercenari a favore di Al Sarraj e il governo libico ha potuto respingere il generale. L’aspetto economico però in questi tre anni è stato sottovalutato e poco applicato. In primo luogo perché le nuove Zee erano in aperto contrasto con gli interessi di altri attori del Mediterraneo orientale, a partire da Grecia ed Egitto. In secondo luogo perché lo stato di guerra perenne in cui ha continuato a navigare la Libia non ha permesso l’applicazione degli accordi. La distrazione derivante da pandemia e guerra in Ucraina ha fatto il resto.

Il 27 agosto però Tripoli è stata nuovamente sotto attacco. Sono cambiati gli attori protagonisti, ma non gli scenari. Al governo vi è Ddeibah, nominato nel 2021 nell’ambito di un percorso voluto dalle Nazioni Unite che doveva portare ad elezioni (poi mai tenute). Nell’est invece il generale Haftar ha un ruolo più defilato, ma c’è comunque un altro governo che scalpita per prendere il posto delle autorità attualmente a Tripoli: è quello guidato da Fathi Bashaga. Sono state le sue milizie a fine agosto ad aver dato l’assalto alla capitale. L’intervento turco con i droni e con i mercenari filo Ankara ancora presenti ha evitato la capitolazione di Ddeibah. Erdogan ha quindi chiesto il conto.

Il 3 ottobre così la Turchia ha rispolverato quel memorandum, aggiungendovi nuovi accordi di natura economica. Accordi segreti per il momento, di cui però, come sottolineato da Agenzia Nova, la stampa libica ha dato ampia anticipazione. Il documento sarebbe composto da sette articoli e avrebbe una validità di tre anni. Prevedrebbe, tra le altre cose, il diritto per la Turchia di esplorare e sfruttare nuovi giacimenti sia sulla terraferma che offshore. Inoltre sono state poste le basi per accordi sulla raffinazione e sul trasporto di gas e idrocarburi.

Grecia ed Egitto si oppongono al nuovo patto

I nuovi accordi però, oltre a rispolverare il memorandum, hanno riacceso le diatribe sorte all’indomani della firma sul patto turco-libico del 2019. Le prime a protestare sulla validità di quel documento sono state all’epoca Grecia ed Egitto. E questo perché le nuove Zee fissate tra Ankara e Tripoli andavano a isolare i due Paesi, oltre che a intralciare, creando non poche perplessità a livello di diritto internazionale del mare, una parte delle acque greche a largo di Creta. Non a caso poi Atene e Il Cairo alcuni mesi dopo hanno concluso un proprio accordo di delimitazione delle rispettive Zee.

Un accordo quest’ultimo ricordato nelle scorse ore dal ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias: “Il patto tra Grecia ed Egitto – ha dichiarato – ha reso nulla quello tra Turchia e Libia. Qualsiasi menzione o azione che applichi il suddetto ‘memorandum’ sarà di fatto illegittima”. Ancora più dura la posizione de Il Cairo. Anche perché il presidente Al Sisi ha sempre dato ampio supporto a Fathi Bashaga e al suo governo, considerato dagli egiziani come l’unico realmente in carica in Libia. “L’uscente governo di unità di Tripoli – ha reso noto il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry – non ha l’autorità per concludere alcun accordo internazionale o memorandum d’intesa”.

Atene e Il Cairo sono quindi intenzionate a reagire e a rispondere alla mossa turca portata avanti con l’esecutivo di Ddeibah. L’intenzione sembra essere quella di far valere le proprie ragioni sia in rapporto al memorandum del 2019 che, di riflesso, al patto siglato il 3 ottobre scorso.

Cosa può fare adesso l’Italia

In tutto questo per il momento a fare da spettatrice interessata è Roma. Il nostro Paese potenzialmente rischia di perdere molti contratti e molte posizioni, politiche ed economiche, poste in essere in Libia. L’Italia sta attraversando una delicata fase di transizione e di passaggio di consegne post elettorale tra due governi. Quindi in questi giorni si sta limitando ad osservare da vicino la situazione. Ma è chiaro che il futuro esecutivo dovrà prendere velocemente in mano il dossier.

All’attivismo di Ankara, l’Italia può contrapporre i dubbi internazionali sulla validità dei patti turco-libici e sfruttare altri elementi per recuperare terreno. A partire dalla paventata scarsa applicazione pratica del nuovo documento sottoscritto da Erdogan e Ddeibah il 3 ottobre. La ricerca di nuovi giacimenti sarà infatti inevitabilmente resa difficile dalla situazione sul campo. Con una Libia controllata solo in minima parte dalle forze fedeli al governo di Tripoli, i turchi avranno poco margine di manovra. Un margine da considerarsi del tutto nullo nell’est del Paese, lì dove il governo di Bashaga ha le proprie roccaforti.

Il punto fondamentale quindi è che il nuovo patto turco-libico assomiglia a uno spot propagandistico di Erdogan in vista delle elezioni presidenziali del 2023. In patria l’avventura libica non è affatto popolare. Molti si chiedono la vera utilità di spendere energie e risorse per aiutare Tripoli. Obiettivo del presidente turco è quindi quello di esibire un accordo sulla carta molto forte per ridimensionare le critiche e raggiungere gli elettori. La possibile inconsistenza pratica però alla lunga potrebbe rappresentare un boomerang per gli interessi del “sultano”. Anche di questo l’Italia può tener conto per provare a ritagliarsi un nuovo importante spazio in Libia. Ma deve, come detto, fare in fretta.

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