Un tentativo di golpe in Kirghizistan non fa molta notizia. Il Paese, dal 2005 in poi, ha assistito raramente a una normale e ordinata successione del potere tra un presidente e un altro. Diciotto anni fa la cosiddetta “rivoluzione dei tulipani” ha cacciato il primo presidente del Kirghizistan indipendente, Askar Akayev. Era l’epoca delle rivoluzioni colorate nell’area ex sovietica, a Biskek la gente è scesa in piazza probabilmente spinta anche da quanto visto pochi mesi prima in Georgia e Ucraina. Nel 2010 è stato il successore di Akayev, Kurmanbek Bakiev, a fare la stessa fine: dopo la fine dei sogni di democratizzazione del Paese, i manifestanti sono scesi in piazza e hanno costretto alle dimissioni anche lui. Non è andata meglio a Sooronbay Jeenbekov, costretto nel 2020 a lasciare il testimone a causa di nuovi tumulti di piazza.

Al suo posto è stato poi eletto l’attuale presidente Sadir Japarov, ex oppositore e considerato molto vicino ai movimenti nazionalisti. Vedendo la fine politica dei suoi predecessori, difficilmente Japarov dorme sonni tranquilli nella sua residenza. E forse, fiutando l’aria che tira a Biskek, ha deciso di giocare di anticipo. Il 5 giugno scorso le forze speciali hanno tratto in arresto decine di persone. Sono tutte state accusate di cospirare contro le autorità e preparare un colpo di Stato. Tra gli arrestati, spicca Rosa Nurmatova. Secondo le accuse trapelate dalla capitale kirghisa, sarebbe proprio lei al vertice dei cospiratori. Un tempo alleata di Japarov, oggi è a capo di uno dei principali movimenti di opposizione, Eldik Kenes. Il partito è considerato filorusso. E questo chiama necessariamente in causa Mosca.

Le reazioni dal Cremlino

Se da parte occidentale non sono state registrate grandi reazioni, al contrario invece un’importante dichiarazione è arrivata direttamente dal Cremlino. “Stiamo seguendo quanto sta avvenendo in Kirghizistan – ha detto il portavoce della presidenza russa, Dmitri Peskov – Le notizie che arrivano sono allarmanti”. Interessante notare che la frase è stata pronunciata da Peskov poche ore dopo l’annuncio degli arresti da parte di Japarov. Segno di come al Cremlino la situazione non è stata presa sottogamba. Anche l’aggettivo usato, considerando che durante le fasi più calde della guerra in Ucraina difficilmente da Mosca si è sentito parlare di “situazione allarmante”, la dice lunga su come il governo russo abbia realmente accesso i riflettori sulla vicenda.

I risvolti internazionali della crisi in Kirghizistan

Come mai da Mosca si segue così da vicino quanto sta accadendo a Biskek? Non si tratta solo di una questione legata al fatto che il Kirghizistan è uno dei Paesi ex sovietici. E quindi seguiti in modo particolare dal Cremlino. Il punto sta nelle accuse rivolte dai servizi segreti di Biskek ai presunti cospiratori. “Sotto la guida di Nurmatova – si legge nei report delle forze kirghise resi noti su AsiaNews – si tenevano regolari incontri segreti per formulare le motivazioni ideologiche delle persone coinvolte, contro le strutture dello Stato, e per discutere i piani della presa del potere, fino alla distribuzione precisa dei ruoli e dei compiti”. Importante in tal senso il passaggio relativo ai finanziamenti esteri. “I finanziamenti dall’estero – prosegue infatti il report – sarebbero serviti a risolvere i problemi organizzativi, e comprare i necessari funzionari delle istituzioni da assalire”.

La provenienza del sostegno finanziario non è stata specificata. Ma il riferimento a Mosca è ben sottinteso, visto che il partito di Nurmatova è considerato filo russo. E che in passato la stessa rappresentante dell’opposizione ha parlato contro l’influenza, tanto politica quanto culturale, dell’occidente nel suo Paese.

Il termine filo russo non deve però trarre in inganno. Il fatto che una formazione di opposizione venga additata come tale, non vuol dire che il governo sia anti Mosca. Al contrario, Japarov ha confermato la propria vicinanza al Cremlino già subito dopo la rielezione. Non solo, ma non ha mai messo in dubbio l’adesione del Kirghizistan al Csto, ossia al trattato di sicurezza includente la Russia e alcune repubbliche ex sovietiche, e inoltre 9 maggio scorso sulle tribune della Piazza Rossa per assistere ai festeggiamenti del Victory Day c’era per l’appunto lo stesso Japarov. Tuttavia, Biskek negli ultimi anni ha tenuto una posizione ambivalente: esattamente come le altre repubbliche centro asiatiche, il Kirghizistan ha coltivato importanti rapporti politici ed economici con la Cina e con l’occidente. Per dare un’idea, il governo di Japarov in tutte le votazioni all’Onu inerenti la guerra in Ucraina si è espresso con un’astensione.

Dunque, la preoccupazione di Mosca si può spiegare in due modi. O la mossa del presidente kirghiso di avviare un giro di vite è stata vista, dalle parti del Cremlino, come la scusa per allontanare dalla vita politica esponenti più marcatamente filo russi. Oppure, secondo un’altra interpretazione, Biskek si è resa conto di un effettivo piano russo volto a rimuovere Japarov. Comunque la si veda, il governo russo teme adesso di perdere terreno in Kirghizistan e in tutta la regione circostante.

Una spina nel fianco nell’area ex sovietica

Anche perché il Kirghizistan già da tempo è fonte di non pochi grattacapi per Putin. Sul finire del 2020 si è sfiorato lo scontro armato tra le forze armate di Biskek e quelle del Tajikistan, altra repubblica ex sovietica. Una disputa territoriale ha rischiato di trasformarsi in un confronto diretto tra due Paesi che Mosca considera parte integrante del proprio spazio di influenza. Gli scontri si sono poi affievoliti, ma la tensione rimane ancora alta.

Qualsiasi movimento interno al Kirghizistan potrebbe rappresentare quindi una vera e propria polveriera per l’area. Una spina nel fianco di Mosca, un ennesimo dossier di cui il Cremlino deve farsi carico nel bel mezzo di una delle fasi più delicate nella guerra in Ucraina.

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