L’attacco con i droni contro gli impianti petroliferi in Arabia Saudita non ha solo conseguenza economiche, ma anche politiche e strategiche. Il territorio saudita è stato colpito da droni di cui ancora non è chiara la provenienza – si parla di Houthi ma ancora non sono state rese note le rotte dei velivoli, mentre Mike Pompeo intanto nega che siano partiti dall’Iraq – devastando la produzione e provocando la reazione degli Stati Uniti di Donald Trump, che con un tweet ha già detto di essere pronto sa colpire puntando il dito, ancora una volta, contro l’Iran.
Le accuse rivolte agli Houthi sono in realtà rivolte non tanto direttamente ai ribelli (proxy iraniani nella penisola arabica e nel tragico conflitto yemenita in cui la coalizione saudita continua a mietere vittime anche fra i civili) ma sono rivolte in realtà all’Iran. È a Teheran che è puntato l’obiettivo di Washington: e gli Usa adesso sono pronti a colpire. Almeno questa la minaccia della Casa Bianca, mentre Cina e Russia chiedono con fermezza che sia mantenuta la calma di fronte a un’escalation che può avere conseguenze devastanti non solo sul mercato petrolifero mondiale, ma anche direttamente in Medio Oriente, con le possibilità che si scateni un conflitto tra le forze legate agli Stati Uniti e l’Iran.
I Pasdaran sequestrano un’altra nave
Conseguenze gravi, quelle minacciate da Trump contro la Repubblica islamica iraniana, cui si aggiunge una notizia molto importante riportata in queste ore da Sky News che cita fonti dell’agenzia iraniana Isna. I Pasdaran iraniani, ovvero le Guardie della rivoluzione, hanno sequestrato una nuova petroliera nelle acque del Golfo Persico, proprio nel passaggio dello Stretto di Hormuz. Secondo le prime informazioni, gli iraniani avrebbero sequestrato la nave diretta negli Emirati Arabi Uniti con un carico di 250mila litri di carburante con l’accusa di contrabbandando di petrolio. Una notizia di fondamentale importanza che colpisce per la tempistica che non può certo dirsi casuale. L’attacco devastante contro i siti di Abqaiq e Khurais è avvenuto proprio poche ore prima di questo nuovo sequestro e mentre da Teheran avevano fatto intendere di esser pronti a dissequestrare la petroliera britannica Stena Impero, che è da tempo il fulcro dell’escalation tra Teheran e Londra.
La tensione nel Golfo Persico non può che salire al pari del prezzo del petrolio. Un incubo per Trump che sta facendo il possibile non solo per raggiungere un nuovo compromesso con l’Iran dopo aver stracciato l’accordo del 2015, ma che sta anche provando a evitare l’aumento del prezzo mettendo mano alle riserve strategiche di petrolio. Mossa estremamente importante, visto che per il Medio Oriente tendenzialmente implica una guerra o di sicuro il rischio di una grave crisi militare che può portare a un nuovo incendio nella regione. E la notizia di blocco dell’oleodotto saudita verso il Baharain inciderà non poco su questa escalation.
Chi cerca l’escalation nel Golfo?
Ora le domande sono molte. La prima di tutte: chi ha bisogno di aumentare la tensione? Evidentemente chi non vuole un accordo che implichi il riconoscimento dell’Iran come di un interlocutore internazionale credibile, ma non va sottovalutata la sfida interna ai vertici militari e politici iraniani. I Pasdaran, Stato all’interno dello Stato, non hanno mai negato di volere un approccio molto più duro nei confronti degli Stati Uniti e degli alleati statunitensi nell’area. E il fatto che siano i Guardiani della Rivoluzione a controllare Hormuz (non la marina iraniana) è un altro dato che non va mai sottovalutato nella crisi del Golfo Persico. Il tutto mentre l’Arabia Saudita deve far comprendere agli Stati Uniti di non essere per nulla pronta a un accordo che metta a rischio la sua intera strategia in Medio Oriente e con Israele che ha ripetutamente colpito le milizie sciite in Iraq e Libano (oltre che in Siria) per segnare la rotta alla Casa Bianca e al Pentagono. Gli alleati Usa in Medio Oriente non vogliono che la regione venga abbandonata.
La risposta americana per ora sembra netta: Trump ha detto che il suo governo è pronto a tutto per difendere Riad mentre il segretario all’Energia statunitense Rick Perry, a margine dell’incontro dell’Aiea a Vienna, ha parlato chiaro: “Voglio ribadire la nostra totale condanna dell’attacco dell’Iran al regno dell’Arabia Saudita e chiediamo ad altre nazioni di fare lo stesso. Questo comportamento è inaccettabile e devono rispondere per questo”.
L’accusa ha già individuato un nemico. E ora bisognerà capire chi sarà in grado di fermare l’escalation. I segnali, in ogni caso, non sono incoraggianti. Pechino e Mosca chiedono calma mentre fonti Usa, come riportato dalla Cnn, parlano di “opera di un governo o di un gruppo sponsorizzato da un governo. I droni molto probabilmente sono partiti dal sud dell’Iraq o dall’Iran“. Se Pompeo conferma la tesi di Baghdad sul fatto che non sia l’Iraq la base di partenza, ora l’occhio è puntato totalmente su Teheran. Gli Houthi, che secondo la tv libanese Al Mayadeen hanno rivendicato l’attacco con dieci droni bomba, sono solo il primo di una lunga serie di obiettivi. E non è un caso che i sauditi, tramite il colonnello Turki al Malki, hanno affermato che i ribelli sciiti mentono e che l’attacco non è partiti dallo Yemen.