La retorica ufficiale russa sul conflitto in Ucraina, o più precisamente definito dal Cremlino “operazione militare speciale”, sta cominciando a cambiare sui media nazionali.
Il successo della controffensiva ucraina che ha portato l’esercito di Kiev a riconquistare il terreno perduto nell’oblast di Kharkiv, ha scosso profondamente sia i vertici militari, che non nascondono un certo malcontento – per usare un eufemismo –, sia giornalisti ed esperti di settore.
Nel talk show “Punto d’incontro” (Место встречи) andato in onda su Ntv (media televisivo controllato da Gazprom), sono state palesemente sollevate critiche verso la condotta delle operazioni militari ma soprattutto, per la prima volta, si è parlato di fallimento e della necessità di giungere a negoziati di pace.
Boris Nadezhdin, ex deputato della Duma di Stato tra le fila di Sps (movimento liberal-conservatore russo), ha infatti affermato, senza mezzi termini, che “siamo giunti al punto di dover riconoscere che è assolutamente impossibile sconfiggere l’Ucraina” durante un dibattito andato in onda lunedì 12 settembre. Nadezhdin è andato oltre, quando ha detto che la popolazione russa è stata in qualche modo indotta a pensare che l’acquisizione dell’Ucraina sarebbe stata rapida, il che implica che il presidente Vladimir Putin si aspettava che i 44 milioni di ucraini cedessero completamente il proprio territorio. “Le persone che hanno convinto il presidente Putin che l’operazione speciale sarebbe stata rapida ed efficace, che non avremmo colpito la popolazione civile… queste persone ci hanno davvero incastrato”, ha continuato Nadezhdin. L’ex deputato ha anche affermato che “il Presidente non si è limitato a pensare: ‘Perché non inizio un’operazione speciale?’. Qualcuno gli ha detto che gli ucraini si sarebbero arresi, che sarebbero fuggiti e venuti in Russia” aggiungendo che questa retorica è stata diffusa a profusione dai media russi in preparazione dell’invasione. Nadezhdin ha sottolineato che l’esercito ucraino è un’armata forte, supportata da alleati forti economicamente e tecnologicamente, anche europei, e quindi suggerisce che si giunga a “colloqui di pace”. Secondo il politico russo, quindi, non ci sarebbe via d’uscita perché la Russia sta “usando risorse e metodi di guerra coloniale […] soldati a contratto, mercenari, e nessuna mobilitazione”.
Life comes at you fast: pundits on Russian TV realize that their military is failing and their country is in trouble. They are starting to play the blame game. Some of them finally understand that their genocidal denial of the Ukrainian identity isn't working in Russia's favor. pic.twitter.com/jNNn5xifI5
— Julia Davis (@JuliaDavisNews) September 11, 2022
A rispondergli ci ha pensato Sergey Mironov, deputato e leader del partito Sp (di ispirazione socialdemocratica), sostenendo che “non ci saranno negoziati col regime nazista di Zelensky” che “deve essere distrutto”. Mironov ha affermato che la Russia “non ha ancora cominciato (la guerra n.d.r.)” e che questo avverrà “quando ci sarà bisogno”. Di diverso avviso, ovviamente, è Nadezhdin, che ha sottolineato come non ci siano risorse per una guerra su vasta scala, quindi l’unica soluzione è quella di far cessare il conflitto.
A fargli eco il politologo Viktor Olevich, secondo cui la retorica dei media russi, per la quale “tutto va secondo i piani”, non ha senso in quanto nessuno, sei mesi fa, ha mai pianificato di “abbandonare Balakliya e di dover contrastare una controffensiva vicino a Kharkiv”. Ancora Mironov gli ha risposto dicendo che la Russia sta “combattendo contro la Nato attraverso le mani ben preparate dell’Ucraina”, ma Olevich solleva, quindi, un’obiezione ineccepibile affermando che, allora, “la nostra intelligence militare avrebbe dovuto saperlo” e preparare l’esercito di conseguenza.
Alexander Kazakov, politologo, filosofo, ex consigliere del primo comandante della Repubblica popolare di Donetsk Alexander Zanharchenko e deputato del parlamento russo, si schiera con Mironov dapprima rimproverando Nadezhdin per aver usato “metodi coloniali” come argomentazione della sua critica, poi sostenendo che “la guerra globale è cominciata e questo è solo un pezzo”, provocando quindi la reazione del deputato di Sps che gli risponde “spero che non cominci mai ma se accadrà l’equilibrio delle forze non sarà a nostro vantaggio”.
Alexei Timofeev, presentato come commentatore politico, ha ricordato inoltre che ad Odessa i russi si aspettavano di trovare un popolo pronto ad accoglierli ma non è stato così, che la Russia è bloccata in questa situazione e che lo sarà “per molto molto tempo”, precisando che “gli ucraini non vogliono i russi” e che tutte la analisi che sostenevano la tesi contraria, sentite prima dell’invasione, non erano solo sbagliate ma anche “criminali e catastrofiche”. Olevich, a questo punto, ha rincarato la dose affermando che occorre avere “supporto ideologico” affinché l’operazione militare possa andare a buon fine, ma che la Russia si è preclusa questa opzione nel momento in cui ha propagandato l’inesistenza dell’etnia ucraina, della lingua ucraina e quindi dell’identità nazionale, fattori che hanno provocato il netto rifiuto della presenza russa e instillato la volontà di reagire combattendo.
Per la prima volta dall’inizio del conflitto, quindi, si cominciano a vedere crepe nel muro della propaganda del Cremlino: se prima qualsiasi battuta d’arresto dell’esercito russo veniva semplicemente ignorata, se prima la stessa “operazione militare speciale” occupava gran parte delle trasmissioni televisive glorificando l’opera di “denazificazione” dell’Ucraina, ora, a fronte della disfatta a Kharkiv, il conflitto comincia a venire criticato dai media e sporadicamente si comincia a parlare di pace, ma, più spesso, si accusano i vertici politici di inefficienza per non aver ordinato la mobilitazione generale.
Anche nelle televisioni di Stato, la guerra in Ucraina, da qualche giorno, occupa molto meno spazio rispetto a prima, nel tentativo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da quella che sta assumendo i contorni di una rotta. Sono segnali molto importanti, che però potrebbero avere più effetto sulla nomenklatura russa che sulla popolazione, che, in generale, resta alquanto indifferente riguardo al conflitto.
L’effetto della controffensiva ucraina potrebbe farsi sentire, sul popolo russo, tra qualche settimana o addirittura tra qualche mese, ovvero quando (se) i soldati che hanno subito l’avanzata ucraina torneranno alle proprie case e racconteranno quello che hanno vissuto e le condizioni in cui si sono ritrovati a combattere. Sperare in una sommossa popolare che possa rovesciare il governo, però, può risultare vano, a meno di pesanti, improvvise, ripercussioni in campo economico causate dalle sanzioni internazionali.