L’occhio degli Stati Uniti continua a posarsi sulla Cina. E questa volta l’obiettivo punta dritto all’arsenale missilistico cinese. Secondo il New York Times la Cina starebbe creando una nuova enorme base con circa 110 silos per il lancio di missili nucleari. Il giornale newyorchese mostra come prove le foto dell’agenzia Planet Labs, sempre più utilizzata come fonte di informazioni per carpire i segreti dei Paesi avversari.
Le immagini sono studiate con grande attenzione dagli analisti e dal Pentagono. E le interpretazioni sulle immagini di questo nuovo campo per missili nucleari portano a diverse teorie. Partendo dal presupposto che la Cina evidentemente ha voluto mostrare al mondo – in particolare agli Stati Uniti – questa nuova base missilistica.
Innanzitutto c’è un primo dato, che è quello geografico. Come spiega la Federation of American Scientist, il campo si trova nella prefettura di Hami, Xinjiang orientale. Dista 380 chilometri dall’altra base scoperta negli scorsi mesi nei pressi di Yumen (ne ha parlato per primo il Washington Post), segno che è in quell’area che Pechino vuole costruire la propria roccaforte missilistica. Le immagini dei silos costruiti (per ora 14) e quelli in fase di realizzazione sembra confermare inoltre l’ipotesi di una griglia di circa 110 silos disposti in un’immensa area desertica. Un numero molto importante se si pensa che fino a qualche anno fa la Cina non aveva che una ventina di questi silos e poche altre piattaforma per il lancio.
Sempre sulla questione geografica, non va sottovalutato il fatto che la base si trova in quello Xinjiang che da tempo è attenzionato dalle organizzazioni internazionali e da Washington per le accuse sulla repressione degli uiguri. Guido Olimpio, per il Corriere della Sera, ricorda per esempio che l’area in questione sarebbe molto vicina a un centro di rieducazione per la comunità musulmana locale. Un elemento che spiega anche come alcune dinamiche diplomatiche siano permeate anche da precise questioni di carattere strategico.
Superato il dato geografico, c’è poi l’elemento numerico. Attualmente la Cina starebbe costruendo questa base ad Hami per 110 silos e una a Yumen con altre 120 strutture dello stesso tipo. Basandosi su queste due ultime scoperte, Pechino starebbe realizzando 250 silos che si aggiungono a quelli già costruiti o in procinto di essere completati in altre aree del Paese. Chiaramente questo non implica che la costruzione di un determinato numero di depositi comporti il fatto che vi sia un numero identico di testate nucleari. Potrebbe essere estremamente minore o anche potenzialmente maggiore. C’è chi sospetta che la Cina non abbia assolutamente un numero di missili proporzionale ai nuovi silos e che questa costruzione di depositi nasca dall’esigenza di distribuire i missili evitando che i nemici sappiano effettivamente dove siano. In caso di attacco colpirebbero in sostanza molti depositi vuoti.
Il segnale lanciato dalla Repubblica popolare, ad ogni modo, è che anche gli strateghi di Pechino hanno accelerato sul fronte nucleare e non hanno problemi a manifestarlo apertamente al mondo. Il fatto che la Cina lo faccia in un momento di tensioni con gli Stati Uniti comporta poi un’interpretazione politica di queste nuove basi svelate dai satelliti. C’è chi interpreta questa svolta nucleare come un monito verso Washington e come una particolare “arma negoziale”. I nuovi silos sarebbero avvertimenti per tornare a trattare su questioni politiche, economiche e militari. Altri, invece, pensano che Pechino voglia mostrare al mondo le proprie capacità tecnologiche e militari in una fase in cui la Russia affina le sua abilità nel campo delle armi ipersoniche, gli Stati Uniti quelle del proprio ombrello nucleare e l’India alimenta il proprio arsenale strategico. Ma c’è anche chi considera queste basi come uno sfoggio di potere a uso interno, soprattutto in una fase in cui Xi Jinping ha già fatto intendere di non voler tollerare minacce all’unità del Paese puntando dritto su Hong Kong e sulla questione di Taiwan. Una miscela di motivazioni che potrebbe anche essere unita indissolubilmente, ma che in ogni caso segnala una netta evoluzione strategica delle forze della Repubblica popolare.