Il presunto sabotaggio del Nord Stream, nelle ultime ore, ha fatto emergere uno dei più grandi talloni d’Achille dell’Occidente: la sua quasi totale dipendenza dai cavi sottomarini per una pluralità di esigenze che vanno dall’energia alle telecomunicazioni.

Un’autostrada di cavi sottomarini

Nell’ottobre 2020 i ministri della Difesa Nato ricevettero un rapporto confidenziale su una sfida urgente che spesso riceve meno attenzione del dovuto: la vulnerabilità dei cavi sottomarini transatlantici. A volte descritte come le “autostrade mondiali dell’informazione”, i cavi sottomarini trasportano oltre il 95% dei dati internazionali. Rispetto ai satelliti, forniscono connessioni ad alta capacità: ci sono circa più di 400 cavi attivi in ​​tutto il mondo che coprono 1,3 milioni di chilometri (mezzo milione di miglia).

La pianificazione, la produzione, la distribuzione e la manutenzione dei cavi sottomarini sono quasi interamente nelle mani del settore privato. Attualmente, i quattro maggiori fornitori sono Alcatel Submarine Networks (Francia), SubCom (Stati Uniti), NEC (Giappone) e il Huawei Marine Networks (Cina).

La grande vulnerabilità dei cavi sottomarini

In prossimità delle coste i cavi sono sepolti sotto il fondo marino, ma in acque internazionali sono posati direttamente sul fondo dell’oceano: nonostante si tratti di infrastrutture fondamentali, restano protetti in modo inadeguato e altamente vulnerabili agli attacchi in mare, sia da parte di stati ostili che di gruppi terroristici. Nel corso degli ultimi anni, si è assisto ad una crescita esponenziale dei cyber crimini a danno di infrastrutture energetiche in tutto il mondo. Ad essere interessati dagli attacchi, oltre che le infrastrutture, sono stati anche i sistemi informatici di alcuni colossi dell’energia, come la saudita Saudi Aramco, la statunitense Chevron e la russa Gazprom.

Questo fa si che oggi intervenire su questa fitta rete, della quale chiunque può conoscere la mappa, è molto meno dispendioso che percorrere le tradizionali strade dello spionaggio e degli attacchi territoriali diretti. Per “far male” ad un Paese o a un governo ostile è sufficiente condurre un attacco informatico o tranciare un cavo. E a questo proposito le competenze diffuse a livello internazionale sono infinite. Parallelamente, l’espansione a dismisura della mappa dei cablaggi sottomarini non ha conosciuto freni, avendo potuto godere di una lunga fase di stabilità legata all’evolversi del villaggio globale.

A destabilizzare questa lunga pace ha contribuito senza dubbio la vicenda della Crimea nel 2014, che ha reso l’est Europa nuovamente un’area calda, teatro di tensioni tra Russia e Nato. Per paradosso, l’arretratezza tecnologica russa, soprattutto in campo militare fa la sua eccezione quando si sposta l’ottica sui sottomarini. La Russia post-sovietica ha conservato questo settore d’eccellenza, indipendentemente dal tipo di propulsione.

Per le forze occidentali e Nato, rendersi conto di essere finiti in un cul de sac, è stata un’ammissione di debolezza epocale che riporta all’incubo della guerra sottomarina affacciatosi in Europa oltre un secolo fa.

I mezzi per sabotare: un vantaggio per Mosca?

Ma come possono essere compiuti i sabotaggi sottomarini? Una delle tecnologie ormai sdoganate sono i veicoli subacquei senza pilota (Uuv), a volte noti come droni subacquei: sono veicoli sommergibili che possono operare sott’acqua senza un occupante umano. Questi veicoli possono essere suddivisi in due categorie: veicoli subacquei telecomandati (Rouv) e veicoli subacquei autonomi (Auv). I Rouv sono controllati a distanza da un operatore umano, gli Auv sono automatizzati e funzionano indipendentemente dall’input umano diretto. Lo sviluppo di queste tecnologie risale fino agli anni Cinquanta, ma è stato quando l’Istituto russo per i problemi di tecnologia marina ha introdotto il veicolo sottomarino autonomo solare (Suav), che sono iniziate le missioni di esplorazione a lungo termine senza la necessità di recuperare l’Uuv per la manutenzione.

La Marina degli Stati Uniti ha iniziato a utilizzare gli Uuv negli anni Novanta per rilevare e disabilitare le mine subacquee: sono stati utilizzati durante la guerra in Iraq per rimuovere le mine intorno a Umm Qasr. L’esercito cinese utilizza gli Uuv principalmente per la raccolta di dati e per scopi di ricognizione. Le marine di più Paesi, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia e Cina stanno attualmente creando veicoli senza pilota da utilizzare nella guerra oceanica per scoprire e distruggere le mine sottomarine (vedi il cosiddetto “Remus”). Tutti questi tipi di mezzi permettono, in linea teorica, operazioni di sabotaggio che, in ultima parte, vengono portate a compimento con cariche di esplosivo o speciali cesoie sottomarine.

Il famigerato Losharik russo

Uno degli incubi maggiori per la rete sottomarina e le forze occidentali, è forse il famigerato Losharik, creatura tecnologica, ma quasi mitologica. Sul finire della Guerra Fredda, la marina dell’Unione Sovietica, cercò di colmare velocemente il divario con il resto del mondo, optando per generosi investimenti nel settore dei sottomarini. Il Losharik venne approntato nel nel 1988, ma entrò in servizio solamente nel 2003. Del “Losharik” non esiste nemmeno una documentazione fotografica completa: la parte interna del suo scafo è divisa in 7 “sfere” che lo rendono molto più resistente sia alla pressione che ad eventuali attacchi da parte di mezzi nemici. Stando a queste caratteristiche, questo mezzo sarebbe in grado di resistere a enormi profondità (da ciò che sappiamo tra i 2000 e i 6000 m), quando i tradizionali sottomarini si fermano a 250 metri. Ufficialmente, l’equipaggio del “Losharik” è composto da 25 uomini, ma le fonti di intelligence sostengono che la capienza sia aumentabile nel caso di operazioni ad alto rischio.

Nel luglio del 2019, le principali agenzie di stampa di tutto il mondo batterono la notizia che un incidente aveva interessato un’unità subacquea appartenente alla marina russa e che si erano registrate delle vittime. Diversi giorni dopo, venne fuori che si trattava del il “Project 210 AS-12 Losharik” l’ultimo e più avanzato “sottomarino-spia” entrato in servizio presso la marina russa. Tra le quattordici vittime ufficialmente causate dall’incidente, ben dodici erano capitani e tra di essi vi era lo stesso comandante Denis Dolonskiy: tutti alti graduati, insomma.

Gli altri “incidenti” sospetti

Negli ultimi anni sono stati numerosi gli incidenti che hanno evidenziato la vulnerabilità dei cavi sottomarini. Il più clamoroso nel 2008, a largo di Alessandria, quando un peschereccio tranciò per errore la fibra ottica che collega l’Italia all’Egitto: la sua interruzione obbligò persino a fermare i voli dei droni americani che davano la caccia ad Al Qaeda, che avevano bisogno di connessioni digitali con i comandi in Germania.

Negli ultimi mesi il nord Europa è stato soggetto, invece, a misteriosi sabotaggi. Nel novembre dello scorso anno una lunga porzione di un sensore sottomarino al cavo del sistema di sorveglianza LoVe (Lofoten-Vesteralen) venne tagliata e asportata. E ancora, nel gennaio scorso, uno dei due cavi sottomarini che collega la Norvegia alle isole Svalbard era stato misteriosamente troncato. Si trattava dello Svalbard Undersea Cable System, un cavo di comunicazione sottomarino doppio che collega Longyearbyen, nell’arcipelago artico, con Andoya a nord di Harstad, nella Norvegia settentrionale. I due cavi sono lunghi rispettivamente di 1375 e 1339 chilometri, e sono gestiti da Space Norway, l’agenzia spaziale del Paese, che sovrintende alla Svalbard Satellite Station (SvalSat).