Guerra /

La Corea del Nord, nonostante le aperture verso la pacificazione fortemente voluta da Seul, sembra non aver totalmente abbandonato il proprio programma nucleare contravvenendo così alle clausole dell’accordo diplomatico che ha posto fine alla recente crisi internazionale cominciata da qualche anno caratterizzata dai numerosi test missilistici e atomici che hanno allarmato soprattutto Giappone e Stati Uniti.

Secondo quanto riferisce il sito 38th North, Pyongyang avrebbe continuato ad estrarre minerale di uranio dal proprio sito di Pyongsan.

A sostegno della tesi ci sarebbe il confronto tra le riprese satellitari della zona del complesso minerario e industriale sito circa 50 chilometri a nord della zona smilitarizzata che separa le due Coree.

Cosa mostrano le immagini?

Pyongsan è uno dei due siti dichiarati in cui la Corea del Nord estrae l’importante minerale che poi, una volta “raffinato”, diventa combustibile nucleare o, se arricchito, esplosivo atomico. L’altro è l’impianto pilota di arricchimento di Pakchon a nord della capitale nella provincia di Pyongan confinante con la Cina.

Il Paese infatti dispone di importanti giacimenti di questa risorsa mineraria stimata in circa quattro milioni di tonnellate di uraninite, l’ossido di uranio da cui si ricava poi l’isotopo utilizzato per bombe e barre di combustibile.

Facendo un raffronto tra le immagini satellitari riprese nel 2017 quando la Corea del Nord, in piena crisi diplomatica con gli Stati Uniti, dava notevole impulso al suo programma atomico, e quelle recentemente acquisite (datate 26 maggio 2018) si può notare che in alcune aree del complesso di estrazione le scorie di lavorazione della materia prima sono aumentate, cosa che farebbe supporre che l’attività estrattiva sia ben lungi dall’essere cessata.

Le immagini, catturate dall’Airbus Sat Recon mostrano accumuli di materiali di scoria come non se ne registravano dal 2016, anno in cui si ebbe l’acme dell’attività missilistica ed atomica della Corea del Nord terminata a settembre dell’anno successivo.

Nel complesso di Pyongsan si ritiene che venga prodotta la cosiddetta yellowcake, ovvero  un concentrato di uranio che poi viene gasificato sotto forma di esafluoruro (UF6) che sarà poi a sua volta utilizzato nelle centrifughe per l’arricchimento e quindi per fornire l’esplosivo nucleare per le bombe o il carburante per le centrali a fissione.

Non c’è certezza?

Ad onor del vero non è dato sapere se l’aumentare della quantità di scorie sia data dalla ripresa dell’attività estrattiva in situ oppure da un versamento di qualche altro materiale di riporto proveniente da altrove, e nemmeno se provenga da materiale già precedentemente cavato prima che si fosse giunto all’accordo preliminare sulla denuclearizzazione della penisola Coreana.

Pertanto chi accusa la Corea del Nord di aver violato gli accordi che porterebbero alla storica firma di un trattato di pace nella penisola non ha abbastanza certezze per affermarlo, del resto la Corea del Nord resta sempre, nonostante la distensione, uno dei Paesi più ermetici del mondo, se non il più ermetico.

Ci sono segnali, però, che se messi in fila vanno a formare un mosaico che parrebbe inquietante nonostante le promesse di disarmo e la propaganda post militarista delle ultime manifestazioni del regime di Pyongyang.

Se da un lato infatti, la parola chiave della propaganda durante le ultime “adunate oceaniche” della Corea del Nord non è più stata di ordine militare ma molto più pragmaticamente rivolta al benessere economico della popolazione, dall’altro si può notare come Pyongyang proceda molto a rilento nel programma di denuclearizzazione.

Se da un lato alcuni siti sono stati chiusi o sono in via di smantellamento, come ad esempio il poligono atomico del monte Mantap o il complesso per test missilistici di Sohae, dall’altro l’intelligence ha dimostrato che Pyongyang ha continuato i lavori di ingrandimento di un complesso industriale destinato alla fabbricazione di missili a combustibile solido. Secondo fonti americane la Corea del Nord avrebbe anche continuato a produrre esplosivo nucleare per il proprio arsenale aumentando la produzione di uranio arricchito.

Questa ultima rivelazione sulla possibile continuazione dell’attività estrattiva si inserirebbe quindi perfettamente nel solco di quanto già emerso sin’ora e sarebbe tipicamente in linea con li modus operandi della Corea del Nord: del resto Kim Jong-un non può permettersi di smantellare un apparato militare poderoso, sebbene alquanto obsoleto, dall’oggi al domani essendo i militari al centro della vita politica e dell’apparato decisionale del Paese.

I sospetti di una mai del tutto cessata attività a livello atomico arrivano anche direttamente dall’Onu che in recente rapporto ha esplicitamente dichiarato che “La Corea del Nord non ha fermato i suoi programmi nucleari e missilistici e continua a sfidare le risoluzioni del Consiglio di attraverso un massiccio incremento di trasferimenti da nave a nave di prodotti petroliferi, come di carbone nel 2018″.

A fondare il sospetto c’è anche, a livello indiretto, la abbastanza recente decisione degli Usa di rimettere al centro del mirino sanzionatorio la Corea del Nord creando una coalizione internazionale per bloccare tutte le navi dirette verso Pyongyang sospettate di violare il blocco sull’esportazione del petrolio.

Quanto poi, in ordine cronologico, certe azioni siano conseguenza di altre è difficile dirlo a così breve distanza, data la segretezza diplomatica che avvolge sempre certe decisioni e date le caratteristiche stesse del regime nordcoreano.

Sarà comunque interessante notare che peso avrà Seul nella questione, ora che, nonostante i vari sospetti elevati da Washington, il 38esimo parallelo è diventato sempre meno una trincea grazie anche alla cessazione di ogni attività ostile lungo il confine in ottemperanza dell’accordo stipulato tra i due Paesi il 19 settembre scorso.

Accordo che, ad esempio, ha portato alla sospensione dell’esercitazione congiunta Vigilant Ace che si sarebbe dovuta tenere a dicembre come ogni anno.





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