Ad Astana non si è discusso di pace. O, quantomeno, non si è discusso del presunto piano di Ankara di allestire un tavolo a cinque tra Russia, Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito, che il Cremlino dice di aver appreso “dai giornali”. Ma non è certo l’unico formato su cui si lavora. E lo stesso Recep Erdogan ha promesso di non abbandonare gli sforzi di mediazione. “Una pace giusta può essere ottenuta attraverso la diplomazia, non ci possono essere vincitori in una guerra e perdenti nella pace. Il nostro obiettivo – ha sottolineato – è che il bagno di sangue finisca il prima possibile”.
Tuttavia, che le intenzioni di Erdogan nei confronti di Putin fossero graduali era alquanto scontato. Soltanto gli ingenui potevano credere il presidente turco giungesse in Kazakistan con il pacchetto del negoziato precotto e lo imponesse al tavolo con il suo omologo russo. Quello che ora sappiamo è che i due non avrebbero discusso né dell’Ucraina tantomeno della pace, ma esclusivamente del progetto di un fantomatico hub del gas in terra turca.
La Turchia hub del gas
Se l’Europa non vuole più comprare direttamente il metano russo, è il messaggio del leader di Mosca, potrebbe farlo con l’intermediazione di Ankara, che continua a ricevere una piena fornitura perché si è rivelata “il partner più affidabile“. Una proposta che spiazza l’Occidente, soprattutto l’Europa. La prima reazione occidentale all’idea di un hub turco è arrivata da Parigi, ed è stata un categorico rifiuto. Una proposta che non avrebbe senso poiché gli europei vogliono ridurre la loro dipendenza dagli idrocarburi dalla Russia, ha affermato l’Eliseo in una nota.
Mentre il Cremlino assicura di essere pronto al dialogo con gli Usa, ma senza passi indietro sui suoi obiettivi in Ucraina, l’incontro tra i presidenti di Russia e Turchia si è focalizzato sull’emergenza del gas dopo quella del grano, rispetto a cui Mosca continua peraltro a lamentare blocchi al proprio export di cereali e fertilizzanti. “Se la Turchia e i nostri possibili acquirenti in altri Paesi sono interessati, potremmo considerare la possibile costruzione di un altro sistema di gasdotti e la creazione di un hub del gas in Turchia per la vendita ad altri Paesi, a Paesi terzi, in primo luogo a quelli europei”, ha spiegato lo zar nel bilaterale a margine della sesta Conferenza sulle misure di interazione e rafforzamento della fiducia in Asia.
L’idea è dunque quella di utilizzare la Turchia come camera di compensazione delle nuove tensioni tra Occidente e Russia, usando come oggetto di transizione il gas, in termini di prezzi e di forniture. Non è dato sapere quanta percentuale di Erdogan ci sia in questa proposta, ma di fatto questa non deve né sorprendere tantomeno deludere chi guardava ad Astana con aspettative altissime.
Perché la mediazione di Erdogan dovrebbe funzionare
I teorici delle relazioni internazionali hanno molto da insegnare a questo proposito. Thomas C. Schelling, uno dei grandi teorici del conflitto, lo spiegava bene nella sua analisi della contrattazione. Fondamentale, in un contratto come in guerra, è l’utilizzo di un agente: in questo caso l’agente sarebbe proprio Erdogan, che può influenzare la contrattazione almeno in due modi, a seconda che abbia ricevuto istruzioni molto rigide dall’alto (dalla Nato) o giochi da libero. L’altro aspetto cardinale risiede nella segretezza o la pubblicità dei negoziati perché determina o meno la messa in gioco della reputazione delle parti. La proposta dell’hub energetico in Turchia appare provenire, da quello che sappiamo, dalla controparte russa e averlo reso pubblico significa già impegnarsi. Far saltare il progetto sarebbe un problema per lo stesso Putin.
Un altro aspetto basilare per una negoziazione ben riuscita è la sua continuità: i vari tasselli di una macronegoziazione devono essere ben legati fra loro, in modo tale che promesse e minacce possono ripercuotersi nel futuro. Questo sarà un terreno sul quale si misurerà la capacità negoziale del leader turco: imbrigliare la proposta di Putin tra iniziative concrete sull’Ucraina, partendo almeno da un cessate il fuoco. Il fatto che l’ordine del giorno ad Astana sia stato nettamente restrittivo non è necessariamente un cattivo presagio. Negoziare questioni differenti ad alto livello nello stesso momento non può che complicare la negoziazione. È abbastanza evidente invece come Erdogan stia necessariamente creando l’humus adatto per portare, in un tempo relativamente breve, Putin e Zelensky al tavolo delle trattative. Negoziare a singoli step, di importanza crescente, serve appunto ad aggirare le potenzialità estorsive della controparte.
La qualità della negoziazione di Erdogan
Un’altra mossa che si spera Erdogan possa compiere è quella di puntare sulla qualità della negoziazione con Putin anziché sulla quantità. Un comune impegno qualitativo e la formulazione di principi binario per un negoziato futuro sono la scala di valori che i negoziatori si impegnano a rispettare, perché violarli significherebbe mandare a monte il negoziato: e Putin non può permetterselo, anche se si atteggia a caterpillar. L’atteggiamento di Erdogan fa, appunto, presumere che in questo momento, metà su mandato della NATO e metà per libera iniziativa, si stiano scrivendo i principi attorno ai quali si costruirà la negoziazione futura che non poteva raggiungere ad Astana, tantomeno nel giro di poche settimane.
Il presidente turco non è affatto un angelico Folke Bernadotte, ma avendo molto da guadagnare dalla sua mediazione è colui il quale può ottenere maggiori risultati. A ciò si aggiunge il fatto che la cooperazione energetica tra Ankara e Mosca è solida e sperimentata. Oltre al Turkstream, il gasdotto che passa sotto il mar Nero e dal 2020 è in grado di portare oltre 30 miliardi di metri cubi di metano, per metà già smistati verso l’Ue fino al conflitto, vi è anche la prima centrale nucleare turca che il gigante Rosatom sta costruendo ad Akkuyu, la cui inaugurazione, ha detto Erdogan, avverrà il prossimo anno, in concomitanza con il centenario della Repubblica e le elezioni presidenziali.
Il presidente turco ha già ordinato al suo governo di iniziare i lavori sull’hub del gas, secondo quanto riportato dai media turchi. “Abbiamo dato, con Putin, al nostro ministero dell’Energia e all’istituzione interessata in Russia l’ordine di svolgere un lavoro congiunto”, ha affermato Erdogan in un’intervista con i giornalisti a bordo del volo di ritorno da Astana.
Il paradosso, questa volta, sarà tutto occidentale: sia nel ricorrere allo schizofrenico sempiterno frenemy per cercare la pace, sia nell’eventuale ok alla proposta dell’hub, che sarebbe una pubblica ammissione di non poter fare a meno di Putin. Due amare pillole che possono indubbiamente portare alla tregua, ma che presto o tardi produrranno i loro venefici effetti.