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Sembrava che tra India e Cina si fosse arrivati ad un accordo di de-escalation a seguito dei colloqui di Mosca tenutisi a margine della Shanghai Cooperation Organization (Sco) organizzata nella capitale russa all’inizio di settembre.

Al termine dell’incontro al vertice tra i rispettivi ministri degli Esteri era stata rilasciata una dichiarazione congiunta in cui si affermava che “le due parti hanno convenuto che è urgente ridurre l’escalation nel Ladakh, poiché l’attuale situazione nell’area di confine sta influenzando lo sviluppo delle relazioni bilaterali”.

Invece la ricognizione satellitare ci mostra una realtà ben diversa: il confine, soprattutto dal lato cinese, resta militarizzato. Anzi. Si stanno costruendo sempre più infrastrutture militari.

Innanzitutto presso il lago Pangong Tso, nella regione contesa del Ladakh/Aksai Chin, in quello che è il tetto del mondo con temperature che arrivano ad essere polari, la Cina ha terminato la costruzione, cominciata l’anno scorso, di acquartieramenti in grado di resistere alle condizioni ambientali proibitive: il lago è attraversato dal confine e nei mesi scorsi è stato teatro di dimostrazioni di forza di entrambi i contendenti. La ricognizione satellitare, nei giorni scorsi, ha evidenziato l’ultimazione delle nuove caserme nel lago Pangong e nel lago Spangur, che si trovano a circa 100 chilometri da dove si sono tenuti i sanguinosi scontri di confine della scorsa estate.

Dalle immagini, non solo dei satelliti ma diffuse anche da fonti open source di intelligence sui social, si nota come le infrastrutture siano state costruite “per resistere” e per “durare”, ovvero hanno la caratteristica di essere permanenti.

Ma la Cina non sta costruendo insediamenti militari solo a ridosso del confine conteso con l’India. Sappiamo, sempre grazie alla ricognizione dallo spazio, che sta costruendo una rete logistica in tutta la regione del Tibet.

Si tratta di un investimento importante, che è possibile inquadrare in un programma civile di sviluppo della rete infrastrutturale della regione che vale un trilione di Yuan (circa 146 miliardi di dollari).

Nella fattispecie la Cina sta costruendo una serie di basi, tra cui eliporti, in grado da fungere da snodi di un sistema logistico, aereo e terrestre, di tipo dual use: ovvero di carattere civile e militare. Questi eliporti sono stati costruiti proprio sulla rete stradale e ferroviaria preesistente sia per facilitarne l’implementazione, sia per accorciare le linee di comunicazione aeree.

La loro presenza consentirà in futuro al Plagf (People’s Liberation Army Ground Forces) di dispiegarsi rapidamente in quelle aree su cui la Cina rivendica la propria sovranità, con la possibilità futura di assumere l’iniziativa strategica e approfittare dell’elemento sorpresa. Risulta quindi evidente che il disimpegno delle forze è solo una facciata e non riduce in alcun modo la minaccia militare cinese di possibile occupazione del territorio lungo la Lac (Line of Actual Control), la linea di controllo effettivo che separa il Kashmir indiano da quello cinese.

Uno di questi nuovi eliporti è in costruzione proprio nella regione dell’Aksai Chin, e si trova a poca distanza da un’altra installazione militare: una base di sistemi missilistici antiaerei non lontana dal confine col Bhutan e prossima a dove si sono tenuti gli scontri di confine con l’India negli ultimi tre anni.

Sappiamo che la costruzione di questi eliporti è molto recente. Secondo Sim Tack, analista militare per Stratfor, è iniziata solo dopo l’inizio dell’attuale crisi del Ladakh a maggio. “La crisi di Doklam del 2017 sembra aver spostato gli obiettivi strategici della Cina, con Pechino che negli ultimi tre anni ha più che raddoppiato il numero totale di basi aeree, posizioni di difesa aerea ed eliporti vicino al confine indiano”, ha aggiunto l’analista.

Nel recente rapporto di Stratfor sulla questione, si legge anche che una parte significativa dei recenti sviluppi di infrastrutture della Cina è finalizzata a “rafforzare la sua capacità di proiettare potenza aerea lungo l’intero confine indiano” e sfruttare le potenziali “lacune nelle capacità dell’India”.

Il rapporto ha ipotizzato che tali sviluppi a lungo termine indichino “l’intenzione futura di rafforzare l’atteggiamento militare assertivo cinese nelle controversie di confine con l’India”.

E’ indispensabile, infatti, per avere una credibile capacità offensiva, riuscire a superare le enormi difficoltà date dalla geografia della regione: alte cime montuose, strette valli orientate per la maggior parte parallelamente al confine e che, quando non lo sono, sono dei veri e propri colli di bottiglia. Un incubo per le truppe, anche se meccanizzate. Il potenziale aereo, quindi, resta l’unico strumento efficace per poter portare rapidamente l’offensiva, o quantomeno dare l’idea di poterlo fare, e Pechino deve necessariamente puntare di più sulla mobilità aerea, sia essa in forma di ala fissa o rotante.

Del resto l’India ha un vantaggio non indifferente. Sebbene sia relativamente scarsa di mezzi moderni, al contrario della Cina, in uno teatro come quello himalayano è più importante avere truppe ben addestrate, abituate a combattere a quelle quote ed in quelle condizioni, e soprattutto ben asserragliate: cosa che Nuova Delhi può vantare di avere anche a seguito di decenni di conflitto più o meno acceso col Pakistan.

La Cina quindi, per poter avere maggior peso diplomatico nella diatriba, non può che continuare a militarizzare il confine con un particolare occhio di riguardo alla mobilità, data appunto dall’arma aerea, per poter aggirare e prendere alle spalle i capisaldi indiani. Nel contempo deve garantire la difesa del confine contro possibili “puntate” indiane, e i recenti dispiegamenti di truppe e mezzi, sono funzionali a questo scopo.

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