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Gli Stati Uniti preparano il loro pacchetto di sanzioni contro la Russia e ribadiscono l’allarme che rilanciano da tempo: quella in Ucraina potrebbe solo l’inizio di una escalation su vasta scala. E in attesa che il presidente Usa parli alla nazione (alle ore 20 italiane), dalla Casa Bianca filtra la rabbia per la scelta di Vladimir Putin di riconoscere le repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk e di entrare con le forze militari in territorio ucraino.

Il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jonathan Finer, ha detto parole molto nette: “Pensiamo che sia l’inizio di una invasione“. Le parole, in questi casi, non sono mai casuali. La scelta di affermare il concetto di “invasione” quando ieri si parlava di “flagrante violazione degli impegni internazionali” da parte della Russia è un segnale che va valutato con attenzione. I termini utilizzati da parte del funzionario della Casa Bianca indicano che l’escalation non è cessata e che potrebbe essere il preludio a un pacchetto di misure più dure del previsto dopo che le prime arrivate ieri sono state circoscritte al solo territorio del Donbass. E soprattutto riaffermano il timore che il negoziato possa giungere a un punto morto nonostante molti analisti sostengano che, di fatto, l’incursione russa non avrebbe modificato lo status quo.

Il timore di una guerra su larga scala è stato ribadito anche dal segretario della Nato, Jens Stoltenberg, che ha affermato che l’azione di Mosca in Ucraina “è una escalation seria provocata dalla Russia”, che è “passata all’azione militare” dopo le minacce. “È il momento più pericoloso per la sicurezza europea da generazioni” ha detto il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, secondo cui “la Russia sta facendo esattamente ciò che avevamo previsto: ci sono tutte le indicazioni”. “La Nato è risoluta e unita nella sua determinazione a proteggere e difendere tutti gli alleati”  -ha continuato Stoltenberg – “nelle scorse settimane gli alleati hanno dispiegato migliaia di soldati aggiuntivi nella parte orientale dell’Alleanza e messo di più in stand-by. Abbiamo oltre cento jet ad allerta alta e ci sono oltre 120 navi in mare, dall’Alto Nord al Mediterraneo. Continueremo a fare tutto ciò che è necessario per proteggere gli alleati dalle aggressioni”.

La narrazione dunque è cambiata. Dopo un iniziale ordine esecutivo che è apparso estremamente chirurgico, se non limitato, e dopo la sorpresa mostrata dai rappresentanti Nato, Washington ha deciso probabilmente di passare a un’azione più energica. Un’opera non semplice, perché per Joe Biden si tratta di lavorare su tavoli molto diversi e di pesare gli effetti che avranno le scelte di Washington non solo sulla Russia, ma anche sugli alleati, in particolare quelli europei.

Da un lato, Biden non può mostrarsi ulteriormente statico di fronte a dinamismo del suo omologo russo Putin. L’immagine che giunge in queste ore dall’est dell’Ucraina è quella di un leader in grado di gestire il dossier e i negoziati con l’Occidente tenendo in scacco gli Stati Uniti e l’Europa. E questo non può far bene a un presidente Usa già debole e non privo di problemi anche nel compattare il fronte interno, di solito invece ben contento di unire le forze quando si tratta di limitare le azioni del nemico di sempre, il Cremlino. Non solo: il presidente Usa deve badare anche all’immagine che lascia agli alleati più preoccupati dalle mosse russe, in particolare quelli dell’Europa orientale. Partner affidabili e profondamente antirussi, spesso più legati alla Nato che all’Ue, e con cui Washington non può mostrarsi troppo accondiscendente nei confronti di Mosca.

Dall’altro lato, però, Biden sa anche che colpire la Russia con sanzioni estremamente dure comporterebbe inevitabilmente un boomerang nei confronti dei partner Ue. L’Europa non ha mai dimostrato grande unità di intenti sule misure punitive nei confronti del Cremlino e se prima il problema era solo a livello commerciale, cioè per quello che riguarda le aziende che lavorano con Mosca, adesso si è aggiunto anche il nodo energia. Il gas preoccupa tutti i partner europei che dipendono in parte dai giacimenti russi. Ed è chiaro che in una fase così delicata sia a livello economico che strategico, mostrare di disinteressarsi dei problemi del Vecchio Continente potrebbe evidenziare il pericolo di una nuova spaccatura tra le due sponde dell’Atlantico. Lo stop al Nord Stream 2 voluto dalla Germania è stato un segnale molto apprezzato da Washington, ma colpire ulteriormente l’ambito energetico potrebbe essere difficile da accettare.