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L’escalation militare nel Nagorno Karabakh è diventata immediatamente un problema di natura mondiale, con le grandi potenze della regione coinvolte in una dinamica che rischia di diventare qualcosa di più grande di semplici schermaglie.

Diversamente da quanto avvenuto negli ultimi anni, lo scontro tra Armenia e Azerbaijan è apparso da subito più violento. I primi video dal fronte mostravano mezzi pieni di uomini, miliziani di dubbia nazionalità, attacchi contro mezzi terrestri. I morti sono diventate decine. Nel mezzo una serie di rivendicazioni, messaggi di guerra e segnali dei grandi sponsor internazionali di questo scontro: Russia e Turchia, e in parte l’Iran.

La Russia per ora mantiene una linea molto diplomatica. Il sostegno all’Armenia è stato sempre uno dei pilastri della politica estera del Cremlino. Nei mesi precedenti, come riportato anche da La Stampa, le forze russe hanno fornito approvvigionamenti militari all’esercito armeno con un ponte aereo che collegava Russia e Armenia passando per il Mar Caspio e l’Iran. La conferma è arrivata anche dalle recenti esercitazioni militari nella parte meridionale del territorio russo, in cui è stato coinvolto anche l’esercito armeno. Ma l’obiettivo di Vladimir Putin sembra essere quello della de-escalation. Non può permettersi una nuova guerra alle porte di casa quando la situazione in Ucraina non è risolta e in Bielorussia le fiamme di una nuova Euromaidan rischiano di vedere cadere un’altra provincia del vecchio impero sovietico. Meglio mediare: perché se l’Armenia è un alleato, di certo l’Azerbaijan non è un nemico. E con la Turchia sa come gestire i conflitti in comune.

Se la Russia ha adottato una linea di mediazione, con il sostegno celato dell’Iran, diverso però è il caso della Turchia, partner necessario quanto scomodo di una Mosca che cerca di gestire l’eredità del suo glorioso passato. La Turchia non solo ha con l’Azerbaijan rapporti considerati “fraterni” che ripercorrono il sogno di Ankara di unire i popoli turcofoni in un’unica grande area di influenza legata alla Repubblica turca, ma c’è di mezzo soprattutto l’Armenia, Paese con cui da sempre ha pessime relazioni. Recep Tayyip Erdogan ha fatto capire immediatamente che in questa nuova escalation l’appoggio turco alle forze azere sarà totale. Considerato anche l’accordo militare che lega le truppe di Ankara con quelle di Baku. E il sostegno del Sultano sembra essere orientato su due direttrici: miliziani (tendenzialmente mercenari) e droni.

I primi video in arrivo dal territorio dello scontro sembrano confermare il fatto che Erdogan abbia inviato la sua “legione straniera” in appoggio alle truppe alleate: mercenari che secondo le accuse sono arrivati dal fronte siriano e che il governo turco usa come boots on the ground nei conflitti dove non può – o non vuole – intervenire direttamente.

Ma se i video dei miliziani circolano sui social, diverso è il caso dei droni. I video degli attacchi da parte dei velivoli senza pilota sono stati pubblicati direttamente dal ministero della Difesa dell’Azerbaijan, che ha provveduto all’invio di questi video attraverso i propri canali ufficiali. Gli attacchi appaiono chirurgici, con un vero e proprio tiro al piccione nei confronti di mezzi armeni evidentemente incapaci di reagire agli attacchi dall’alto e molto spesso in aree facilmente individuabili.

Ma quello che ha attratto immediatamente gli analisti, come sostenuto da Sebastien Roblin su Forbes, è l’interfaccia apparso in questi video, che ha fatto capire sin da subito che quelli non fossero droni qualsiasi, ma droni fabbricati in Turchia praticamente identici al famigerato TB2 Bayraktar. Non è un mistero che il governo azerbaigiano abbia provveduto da tempo all’acquisto di droni da parte della Turchia dopo un accordo non propriamente proficuo con il governo israeliano. Gli stessi droni che Ankara ha utilizzato in Libia e Siria per sostenere i suoi alleati e le sue unità presenti sul territorio nemico. E un video pubblicato in queste ore da parte armena farebbe propendere per un loro uso anche in Nagorno Karabakh.

Tuttavia, quello che incuriosisce in questa fase del conflitto è chi possa materialmente guidare questi Bayraktar dietro le linee nemiche armene. La risposta più semplice farebbe pensare a un controllo da parte dei comandi dell’aeronautica di Baku, ma alcune tempistiche fanno sospettare diversi analisti del fatto che dietro l’uso di questi droni vi sia in realtà la ben più esperta mano turca. Il motivo sarebbe nelle tempistiche: come spiegato da Forbes, se abbiamo notizie delle trattative tra i due Paesi per l’acquisto di questi droni, non esistono ancora prove della conclusione dell’accordo e del successivo uso da parte dell’Azerbaijan. Il che farebbe propendere per l’ipotesi che siano gli stessi turchi ad aver trasportato i droni nel Paese sulle rive del Mar Caspio per poi usarli in Armenia. Ipotesi che chiaramente modificherebbe in modo profondo lo scenario bellico, poiché sarebbe la conferma di un intervento diretto di Ankara e una conseguente escalation militare non solo tra i due Paesi direttamente in guerra, ma anche tra Armenia e Turchia.

Ipotesi che in ogni caso non sembra potersi escludere. Le parole dei diplomatici armeni nel mondo appaiono sempre più nette nei confronti di un coinvolgimento diretto da parte di Ankara. L’ambasciatore armeno a Mosca, Vardan Tooganyan, ha detto all’agenzia russa Sputnik che il suo Paese è pronto a impiegare i sistemi Iskander in caso di arrivo degli F-16 turchi, ricordando che i sistemi missilistici sono già adatti a colpire i droni della Mezzaluna. E sulla stessa linea sono sia il ministro degli Esteri che l’ambasciatore a Roma. Segnali di tensione che non inducono all’ottimismo e che hanno così potato la Russia, dopo il vecchio sostegno militare all’Armenia, a chiedere a entrambe le parti un primo segnale di pace. Il Caucaso rischia di provocare un incendio dai contorni difficilmente definibili. Ma intanto la Turchia sembra già aver messo in atto il suo piano.