Mosul, il sedicente Stato islamico, che viene proclamato proprio qui nel 2014, è ormai agli sgoccioli. Lo sanno bene le migliaia di baghdadisti che, da oltre due anni, la controllano e, da qualche settimana, stanno corazzando la loro roccaforte, nel tentativo di renderla impenetrabile all’imminente offensiva degli “infedeli”.LEGGI ANCHE: Perché bisogna strappare Mosul a IsisAlcuni testimoni oculari hanno confermato la notizia, offrendo preziose indicazioni sulle fibrillanti operazioni di fortificazione: la seconda città irachena viene descritta come un cantiere a cielo aperto dove, nelle ultime due settimane, c’è un continuo via vai di mezzi e uomini. Gli ingressi principali del capoluogo del governatorato Ninive, ultima roccaforte controllata dallo Stato Islamico in Iraq, sarebbero già stati bloccati da muri di cemento alti circa tre metri, percorsi in lunghezza da una trincea di due metri per due che abbraccia l’intero perimetro urbano.Intorno alla città, un reticolato di trincee, tank ed autocisterne riempito di combustibile è pronto ad esser dato alle fiamme per creare una cortina fumogena anti-area. Oltre a ciò, sarebbe in corso una massiccia campagna mediatica per coinvolgere la cittadinanza rimasta, circa 1,2 – 1,5 milioni di persone, nella disperata ultima resistenza.Allo scopo, i miliziani di al-Baghdadi evocano la mitica “battaglia di al-Khandaq”, anche conosciuta con il nome di “battaglia di Medina”, combattuta dai musulmani il 5 aprile 627. La battaglia segnò una vittoria strategica per i 3mila musulmani che, come a Mosul, restarono asserragliati dentro Medina, respingendo 10mila meccani e affermando il primato della città del Profeta Maometto.Il richiamo a questo mito fondante è il leitmotiv di ogni predica: nella moschea di Omar Ibn al-Khattab, ad esempio, un imam trentenne ricorda ai fedeli che “la guerra è alle porte” e che “la sopravvivenza del Califfato dipenderà dalla costanza di Mosul nell’affrontare gli infedeli”. Il predicatore interroga la folla: “Conoscete la battaglia di Medina?”. E ancora: “Sapete come abbiamo vinto quella battaglia?”. Il tono è sempre più enfatico: “Grazie alle persone che hanno seguito il loro capo senza tradirlo”. “È per questo che i figli di Mosul – spiega il giovane imam – dovrebbero tollerare la fame, la sete e la paura. Essi dovrebbero sostenere il Califfato e impedire agli infedeli di entrare in città”.LEGGI ANCHE: “La Casa Bianca aiuta l’Isis”Anche se la autorità irachene non hanno ancora annunciato una data precisa, l’offensiva contro i circa 7mila jihadisti asserragliati a Mosul sembra ormai imminente: il premier iracheno Haider al-Abadi, in un messaggio diffuso via radio, ha detto che la “vittoria è vicina”. Anche gli Stati Uniti, nei giorni scorsi, hanno annunciato l’invio di nuove truppe per “accelerare la campagna”. Le Nazioni Unite, però, frenano: dopo l’arrivo dei miliziani la popolazione cittadina si è dimezzata, ma nella roccaforte nera vivono ancora circa 1,2 – 1,5 milioni di persone che rischiano una sorte drammatica.Per quei civili che non verranno utilizzati come scudi umani, la sola strada percorribile è quella che conduce a sud-est, nel sovraffollatissimo campo curdo-iracheno di Debaga. La struttura è ridotta al collasso, costruita per ospitare 700 famiglie, oggi accoglie dieci volte il numero di sfollati per cui è stata concepita. Chi fugge da Mosul, quindi, andrebbe ad ingrossare il numero delle già 1.100 famiglie accampate fuori dal campo nell’attesa di vedersi assegnato un posto, mentre, per molti altri profughi potrebbe iniziare una disperata odissea verso le nostre coste.Foto d’archivio
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