Mosul e Aleppo. Due importanti città sunnite che ora sono sotto assedio. Da una parte, i caccia russi e le truppe fedeli a Bashar Al Assad. Dall’altra, l’esercito iracheno affiancato dagli aerei della coalizione a guida Usa. In entrambi i casi i civili sono ostaggio dei terroristi. Uno scenario simile, quindi, come nota l’Independent. La narrazione dei media sulla liberazione di queste due città è però diversissima. Come mai?Libia, Iraq e Siria: informazione o propaganda?È quello che è successo in Libia, dove i media (e pure la candidata alla presidenza americana Hillary Clinton) hanno fatto a gara per demonizzare Mu’ammar Gheddafi e per elogiare i ribelli antigovernativi, dimenticandosi però che tra loro c’erano pure parecchi jihadisti. Il risultato di questa iniziativa – che pure l’Independent definisce “propaganda” – ha portato alla destabilizzazione di un Paese intero e all’espansione delle bandiere nere dell’Isis in Libia.È successo qualcosa di simile in Iraq, con il povero Colin Powell costretto a sventolare una fialetta di “antrace” all’Onu. Ma le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non sono ancora state trovate.E lo stesso vale per la strage di Ghūṭa del 21 agosto del 2013, quando i media di tutto il mondo hanno accusato Bashar Al Assad di gasare i suoi connazionali. Si è poi scoperto che a compiere quel massacro sono stati – con ogni probabilità – quegli stessi ribelli sostenuti anche dall’amministrazione americana. La storia è ricca di questi (cattivi) esempi di giornalismo. Non a caso, lo si ripete spesso, “la prima vittima della guerra è la verità”.
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