Il report del Gao (Government Accountability Office) sul numero dei piloti impiegati nelle Forze Armate Usa è impietoso: dal 2012 al 2017 il divario tra i piloti richiesti e quelli effettivamente impiegati è aumentato sino al 27%. In particolare è stato calcolato, lo scorso novembre, che per garantire un servizio efficace l’Usaf abbisogna di 20 mila piloti compresi quelli di Ang (Air National Guard) e Riserva e che il loro effettivo numero in questo momento sia inferiore di 2 mila unità, abbastanza per minacciarne il mantenimento dei requisiti di prontezza operativa.
Dall’anno fiscale 2006 al 2013, sempre secondo il Gao, la componente in servizio attivo dell’Air Force ammontava ad un fisiologico 92% dei posti richiesti, anzi, nel 2011 addirittura il personale era in sovrannumero arrivando al 104%, ma a cominciare dal 2014 mentre i ruoli di servizio attivo cominciarono ad invertire la tendenza rispetto al 2006 ed andarono aumentando, non ci fu un parallelo aumento del personale di volo, anzi, questo continuò a diminuire arrivando, nell’anno fiscale 2017, a raggiungere 1005 piloti in meno rispetto ai 3750 richiesti, ovvero il 27%. Per fare un paragone nel 2006 il divario era di soli 192 piloti pari al 5% del totale.
Problema che affligge non solo l’Usaf ma anche la Us Navy ed i Marines. Per la Marina Usa nel 2013 il divario ammontava solo al 12% pari a 57 piloti mentre nei successivi quattro anni questi andava aumentando vertiginosamente attestandosi sui livelli dell’Usaf con il 26% pari a 136 piloti. Per l’Usmc la situazione, se possibile, è ancora peggiore dato che tra il 2006 ed il 2007 ci fu un’impennata nella richiesta di ruoli di servizio attivo passando da 1050 piloti sino a 1600, ma non ci fu un parallelo aumento del personale incamerato: così il divario, che prima era solo del 6%, schizzò al 36% in un solo anno, per poi attestarsi intorno a circa le stesse percentuali delle altre Forze Aeree (24%) ma solo perché cominciò a diminuire la richiesta di personale in servizio attivo.
Se un divario intorno al 5/10% può essere considerato fisiologico, uno del 27%, ovvero quasi un terzo del totale, è da considerarsi un serio problema per le operazioni di volo. Per fare un esempio l’Usmc considera le unità con meno dell’85% di personale attivo come “unhealthy”, malsane; l’Us Navy ricorda invece che non può considerare operativi i propri stormi imbarcati se non può equipaggiarli di personale al completo e l’Usaf parimenti ha ribadito al Gao che unità con meno del 100% di ruoli occupati sono da considerarsi comunque “sotto organico”.
Le tre armi aeree fanno però sapere che, sebbene non riescano a riempire tutti i ruoli attivi, comunque garantiscono che tutti gli stormi schierati in operazioni sono perfettamente in organico, ma questo ha un prezzo da pagare: i turni di servizio dei piloti vengono allungati oltremisura, gli stessi piloti vedono aumentare il numero dei turni durante l’anno, e vengono prelevati piloti da altri stormi per “tappare i buchi”, il tutto quindi si traduce in un aumento del carico di lavoro per il personale.
Carico di lavoro che ovviamente va ad inficiarne l’efficienza, anche psicologica: trattenere in operazioni i piloti più frequentemente e più a lungo causa instabilità nelle famiglie e quindi porta all’insoddisfazione per la propria carriera, causando a sua volta un’emorragia di piloti verso gli impieghi civili al termine della ferma.
Particolare poi da non sottovalutare è che il minor numero di piloti a disposizione e quindi il conseguente maggior impiego riduce il tempo che questi possono mettere a disposizione delle nuove leve per addestrarli ulteriormente al termine della scuola di volo ed inoltre va ad intaccare il numero di piloti con qualifiche speciali dovendo fare da “tappabuchi” ove richiesto.
Senza considerare che l’aumento della lunghezza dei turni operativi provoca anche l’aumento dell’usura delle macchine, la maggior parte delle quali hanno già parecchi anni alle loro spalle, quindi sempre meno stormi riescono ad averne di efficienti ed in condizioni “operative”.
Tutto questo è frutto sia di politiche sbagliate sia di un fisiologico ridimensionamento delle forze aeree post Guerra Fredda. Se nel 1989 esistevano 134 stormi da caccia, nel 2017 il numero è sceso a 55, la politica di tagli alla Difesa voluta da Obama nel 2013, poi, con incentivi affinché i piloti chiedessero il congedo anticipato, ha contribuito a peggiorare ulteriormente la situazione.
Questa situazione generale, che non è solo limitata alle forze aeree, fa capire perché la nuova amministrazione abbia rilanciato l’intero settore della Difesa o stia cercando di farlo, con nuovi finanziamenti e nuovi programmi: proprio l’Usaf dovrebbe infatti vedere aumentati i propri stormi da 55 a 58 entro breve tempo, ma per il momento la situazione risulta, se non drammatica, di difficile gestione.
Bisogna infatti considerare che i piloti “persi” non sono immediatamente recuperabili dato che la loro formazione, oltre a costare al contribuente Usa dai 3 agli 11 milioni di dollari a pilota, costa in termini di tempo: 5 anni per diventare pronto al combattimento. Quindi se partisse ora una campagna di arruolamenti massiccia gli effetti si vedrebbero solamente nel medio/lungo periodo e, considerando tutta la gamma di operazioni in cui le Forze Armate Usa sono coinvolte, vorrebbe dire continuare a sfruttare oltre l’inverosimile la propria forza lavoro.
L’Usaf pertanto cerca di correre ai ripari con incentivi sullo stipendio: il bonus per la ferma è passato dai 125 mila dollari l’anno del 2006 ai 455 mila del 2017 ma a quanto pare non è bastato per fermare l’emorragia, proprio per le dure condizioni di lavoro.
Per dare un ulteriore quadro della situazione in cui versa basti pensare che, mentre nel 1980 un pilota di F-16 avrebbe avuto a disposizione due team di personale di terra prima di ogni volo, uno “in hangar” ed uno sulla pista di decollo, e, al suo arrivo in un’altra base, avrebbe trovato team diversi adibiti per gli stessi compiti, ora deve fare affidamento sullo stesso personale: sono infatti gli stessi uomini ad effettuare i controlli pre volo e a catapultarsi sulla pista per levare gli spinotti di sicurezza dell’armamento del velivolo, e sono sempre gli stessi che, prendendo un aereo da trasporto, seguono, anzi, devono anticipare il caccia nel suo aeroporto di destinazione per effettuare tutti i controlli del caso al suo arrivo.
Si aggiunge inoltre, come corollario alla già citata obsolescenza dei velivoli che richiedono maggior manutenzione, la difficoltà per i piloti a mettere insieme le ore di volo per mantenersi “combat ready”, ma questo è un problema solo per gli Usa: anche da noi, nel nostro piccolo, si vola sempre di meno per via dei tagli ed i nostri piloti approfittando di ogni occasione possibile per racimolare ore di volo.
Se a questo sommiamo anche il fatto che un pilota deve occuparsi di questioni burocratiche che prima venivano svolte da altro personale d’ufficio, il primo ad essere tagliato dalla scure della riduzione delle spese per la Difesa Usa, capiamo bene perché oggi si preferisca letteralmente scappare dall’Usaf o dalla Us Navy per entrare nella linee aeree civili.