Guerra /

Lo scorso 12 aprile il Sottosegretario all’Us Navy James Geurts, addetto a ricerca, sviluppo e procurement, mentre si rivolgeva all’House Armed Services Committee ha dichiarato che la Marina americana deve affrontare con urgenza il problema della rapida riduzione dei sottomarini da attacco (SSN) operativi.

L’appello del Sottosegretario arriva in un periodo che vede la componente subacquea da attacco americana ai minimi storici con 48 vascelli in servizio. Sin dal 1998 si sono levate voci contro la riduzione della flotta di SSN, con il prestigioso Defense Science Board che sosteneva, in uno studio indipendente pubblicato nell’autunno di quell’anno, che la forza di SSN strutturata su 50 unità come prescritto dalla Quadrennial Defense Review (QDR) dell’anno precedente fosse “inadeguata a rapportarsi con la tendenza del naval warfare di lungo termine che favorisce la potenza di fuoco sottomarina e la capacità stealth, oltre che destinata a fallire nell’opporsi al nascere di competitori di pari livello”. Parole che, a 20 anni di distanza, sembrano profetiche se si guarda alla situazione attuale della Us Navy nel campo della guerra sottomarina.

Ancora una volta la politica è stata l’unica responsabile di questa situazione: i tagli al bilancio sono caduti come una mannaia anche sulle costruzioni navali in generale ed il settore degli SSN è quello che sta oggi pagando il prezzo più altro di questa scelta miope, presa nonostante fosse stata sconsigliata dagli stessi comandanti in capo della flotta Usa che ritenevano già allora – e a buon diritto – che il numero minimo di sottomarini tipo SSN per sostenere tutte le missioni di cui doveva farsi carico la Us Navy fosse di 70 vascelli: 50 vascelli sono appena sufficienti per operare nei teatri maggiori e risultano quindi insufficienti se ci dovesse essere una recrudescenza di vecchie tensioni internazionali su vasta scala.

I sottomarini, infatti, conducono uno spettro di missioni diverse: da compiti Isr (Intelligence Surveillance Reconnaissance) grazie alla loro suite di sensori attivi e soprattutto passivi in grado di monitorare quello che accade nelle 3 dimensioni non solo acquatiche del campo di battaglia, alla proiezione di forza/ attacco convenzionale grazie alla possibilità di lanciare missili da crociera come i “Tomahawk” e non solo da unità tipo SSGN, sino al classico “sea control” inteso come controllo dei mari e delle linee di navigazione con ruolo antinave e antisom, senza dimenticare la posa di mine (nel quadro “sea denial”), le operazioni di forze speciali come l’infiltrazione ed esfiltrazione di unità Seal e, naturalmente, la deterrenza strategica affidata però unicamente agli SSBN che tutti insieme rappresentano il 54% della capacità nucleare totale degli Stati Uniti utilizzando meno dell’1,5% del personale delle Forze Armate ed il 35% delle risorse finanziarie.

Perché sono ancora così importanti?

Oltre alle intuitive motivazioni di carattere tattico date dalla possibilità di restare sott’acqua praticamente per un tempo indefinito, un sommergibile atomico ha un rapporto costo/efficacia molto favorevole dato sia dalle tecnologie di alto livello impiegate sia dalla lunga durata del suo servizio attivo, e questo nonostante gli alti costi iniziali di acquisizione. In particolare da questo punto di vista gli SSN sono tra i più efficienti vascelli in servizio nella Us Navy utilizzando solo il 7% del personale ed il 12% del budget della Us Navy, inoltre non richiedono unità di scorta e nemmeno rifornimenti in alto mare rendendoli quindi particolarmente flessibili e provvedono a fornire potenza di fuoco offensiva a costo praticamente zero per quanto riguarda la logistica o per quanto riguarda la necessità di ricorrere ad infrastrutture di supporto in porti stranieri.

Il limite di 50 SSN era già considerato un minino assoluto. I progetti 688 e 688i (improved), ovvero i classe “Los Angeles”, sono ormai in fase di avanzata radiazione per raggiunti limiti di età: costruiti ad un rateo di 3/4 per anno negli anni ’70 e ’80 sono in fase di dismissione al ritmo di 3 unità l’anno (in particolare nel biennio 2018-2019 ne saranno radiati 6 mentre 2 verranno trasformati per compiti addestrativi). Si viene così a creare un bilancio netto negativo nel numero di SSN totali se consideriamo infatti che le nuove unità classe “Virginia” Block 3 che entreranno in servizio nello stesso periodo saranno solamente 2.

Il quadro generale diventa quindi allarmante: se non si invertirà presto questa tendenza gli esperti del Pentagono ritengono, dati alla mano, che nel 2029 l’Us Navy avrà a disposizione solo 41 SSN a fronte dei 66 necessari e previsti dal nuovo esecutivo nel quadro della “flotta di 355 navi”.

Per ovviare a questa pesante criticità si stanno prendendo in considerazione un paio di soluzioni, una delle quali è l’allungamento della vita operativa di alcuni classe “Los Angeles”: nel 2017 è stato condotto uno studio che ha individuato 5 battelli tipo 688i Flight III (completati a metà degli anni ’90) che saranno oggetto di investimenti importanti in modo da prolungarne la vita operativa di 10 anni attraverso un SLE (Service Life Extensions) del tutto straordinario. Lavori di rimodernamento che dovrebbero cominciare per la prima unità nel 2019.

Non mancano perplessità e criticità in merito a questa scelta: negli ambienti dell’Us Navy c’è chi ritiene che i “Los Angeles”, anche se rimodernati, non saranno comunque in grado di reggere il passo delle nuove costruzioni cinesi ma soprattutto russe; inoltre anche la ventilata possibilità di impostare nuove unità di questo tipo è da considerarsi infausta in quanto richiederebbe investimenti tali che quasi uguaglierebbero quelli necessari per la costruzione dei nuovi “Viginia”, ma con meno flessibilità operativa rispetto a questi ultimi.

L’ulteriore proposta è quella di aumentare il ritmo di produzione dei “Virginia” portandolo a 3 per anno fiscale almeno per il periodo in cui i cantieri navali non saranno ancora impegnati nella costruzione dei nuovi SSBN classe “Columbia”, che andranno a sostituire i vecchi “Ohio”, la cui produzione dovrebbe cominciare a partire dal 2020 (essendo già stato stipulato un contratto da 5,1 miliardi di dollari per la costruzione del primo lotto di esemplari) quando la produzione sarà di 2 “Viginia” ed 1 “Columbia” ogni anno.

Per farlo è stato proposto un contratto pluriennale per la costruzione di 10 unità da attacco con i cantieri Huntington Ingalls Newport News e General Dynamics Electric Boat.

Il problema, ancora una volta, sono i soldi, che dovranno essere sbloccati dal Congresso americano, dato che lo stesso vice presidente della General Dynamics Corporation, Jason Aiken, ha detto recentemente che “Se ci sono i soldi, abbiamo la capacità di aumentare il rateo di produzione”.

Anche se le nuove costruzioni dovessero vedere un impulso nella loro produzione e quindi si dovesse invertire la tendenza che in questo momento vede la diminuzione del numero di SSN nella flotta, ci sarà comunque una carenza di sottomarini in organico alla Us Navy per almeno un decennio, frutto sì delle politiche di disarmo post Guerra Fredda, come abbiamo avuto modo di vedere, ma anche frutto della miopia dell’amministrazione precedente che in ben due mandati non ha saputo porre rimedio al crescente sviluppo delle cantieristica di Paesi rivali, come ad esempio la Cina che ha lanciato importanti piani di sviluppo della propria marineria non certo in tempi recenti.





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