Paul R. Pillar è un ex ufficiale dell’intelligence americana di grandissima esperienza. Senior fellow del Centro per gli studi sulla sicurezza della Georgetown University, è membro associato del Geneva Center for Security Policy. Si è ritirato nel 2005 dopo una brillante una carriera di 28 anni nella comunità di intelligence degli Stati Uniti nella quale ha ricoperto diverse cariche: il National Intelligence Officer per il Vicino oriente e l’Asia del Sud, il vice capo del Dci Counterterrorist center e l’Assistente esecutivo del Direttore dell’intelligence centrale.

È un veterano della guerra del Vietnam e un ufficiale in pensione dell’esercito statunitense. Inoltre, collabora con la rivista The National Interest, pubblicata dal prestigioso Center for the National Interest e ha scritto diversi saggi sulla politica estera degli Stati Uniti. Lo abbiamo raggiunto per porgli qualche domanda sulla situazione in Medio Oriente e sulle prossime mosse del presidente Donald Trump.

La scorsa settimana il presidente degli Usa Trump annunciava il ritiro delle truppe americane dalla Siria. Ora il presidente accusa il governo siriano dell’attacco chimico a Douma e afferma che Putin e l’Iran pagheranno a caro prezzo il sostegno ad Assad. Cosa ci dobbiamo attendere dagli Usa ora alla luce degli ultimi eventi?

Molto probabilmente ci saranno attacchi aerei statunitensi contro la Siria, simili agli attacchi missilistici da crociera del 7 aprile. Trump ha già fatto un grosso errore in quell’episodio e non può permettersi politicamente di non fare nulla. In una delle sue precedenti critiche a Barack Obama sosteneva che quest’ultimo non ha risposto con le forze armate a un precedente e presunto uso di armi chimiche da parte del regime siriano. Anche se Trump parlava solo pochi giorni fa di uscire dalla Siria, questo non succederà, non così presto. Le truppe americane sul terreno siriano rimarranno, come probabilmente avrebbero fatto in ogni caso, indipendentemente dall’ultimo incidente chimico.

Lei crede che il presidente siriano Assad e il regime siano responsabili dell’attacco chimico a Douma? Ci sono abbastanza prove per esserne certi? Non sarebbe un clamoroso autogol strategico per il regime proprio quando sta per liberare la Ghouta orientale?

Finora tutti i rapporti pubblici sembrano provenire da fonti vicine all’opposizione. Ci sono validi motivi per dubitare di questi report, dato che il regime stava vincendo a Douma e non sembrava aver bisogno di ricorrere alle armi chimiche per cambiare la situazione militare. Se i servizi di intelligence hanno ulteriori informazioni in merito, non le condividono con il pubblico e la stampa.

Secondo la Russia, due caccia israeliani hanno colpito la base siriana di Homs. Dobbiamo aspettarci un maggiore impegno militare di Israele in Siria?

Israele ha condotto regolarmente attacchi aerei su obiettivi in ​​Siria. Gli israeliani, anche se di solito non confermano mai la loro responsabilità per i singoli attacchi, hanno ripetutamente rivendicato la libertà di lanciare offensive cometto la Siria. Ci sono tutte le ragioni per aspettarsi che gli attacchi israeliani proseguano.

Che significato hanno la nomine di John Bolton e Mike Pompeo per la politica estera Usa? Cosa cambierà rispetto a Rex Tillerson e H.R. McMaster? Dobbiamo attenderci una politica estera più aggressiva nella regione?

Bolton e Pompeo sono entrambi noti “falchi”, e questo rende più aggressiva la politica estera Usa, accrescendo l’uso della forza militare, più di prima probabilmente. La cosa più inquietante di queste due nomine è che il presidente che li ha nominati abbia la necessità di essere “moderato” a usare la forza, piuttosto che essere circondato da persone che probabilmente incoraggeranno solo i suoi impulsi più distruttivi. Sia Rex Tillerson che H.R. McMaster, che Pompeo e Bolton hanno esercitato un po’ questa azione di moderazione nei confronti di Trump. Ora ci saranno meno “saggi” nella stanza per tenere sotto controllo un presidente così impulsivo.

Cosa farà Trump nei confronti dell’accordo sul nucleare con l’Iran meglio noto come Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa)? È nell’interesse nazionale degli Stati Uniti uscire dall’accordo?

È nell’interesse degli Stati Uniti e della non proliferazione delle armi nucleari aderire al Jcpoa e osservarne scrupolosamente i termini. Non vi è alcun motivo valido per abbandonare l’accordo. Le vere ragioni dell’opposizione al Jcpoa non hanno nulla a che vedere con i suoi termini. Piuttosto, l’opposizione viene da coloro che non vogliono alcun accordo con l’Iran su nessun argomento, e da quelli che si oppongono ancora a ciò che Barack Obama ha fatto in passato. Quest’ultima motivazione è il motivo principale per cui Trump sembra determinato a uscire dall’accordo.

Con Bolton e Pompeo al suo fianco, è probabile che sia lui a ritirarsi formalmente dall’accordo o semplicemente smetterà di adempiere agli obblighi degli Stati Uniti in merito alla rinuncia a certe sanzioni. Non vi è alcun motivo che possa giustificare l‘uscita da un accordo che blocca con successo tutti i possibili percorsi vEros la costruzione di un’arma nucleare iraniana.

Cosa ne pensa del programma di riforme del principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammad bin Salman? Gli Usa, e in particolare il genero di Trump Jared Kushner, sembrano avere particolare feeling con il principe.

Sfortunatamente Kushner e il presidente si stanno lasciando affascinare da bin Salman per utilizzarlo come base per la politica degli Stati Uniti nel Medio Oriente. Il principe ereditario è inesperto, e il modo spietato con cui persegue la sua ambizione politica non è solo distruttivo dall’esterno – specialmente nella guerra in Yemen – ma è anche destinato a far crescere l’opposizione politica interna. Una vera riforma andrebbe bene, ma il principe sta sovrintendendo quello che sta facendo. Ha sostenuto, falsamente, che l’Arabia Saudita era un posto liberale prima del 1979, l’anno della rivoluzione iraniana e dell’acquisizione da parte dei militanti sauditi della Grande Moschea della Mecca. Non lo era; l’alleanza tra il regime saudita e i conservatori religiosi risale a molto più lontano.

La guerra in Yemen rappresenta un vero e proprio disastro umanitario ma gli Usa non sembrano essere imbarazzati dal sostegno concesso ai sauditi.

Gli Stati Uniti dovrebbero essere più imbarazzati da questa situazione di quanto non sembri l’amministrazione Trump al momento. L’intervento militare guidato dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti è stato di gran lunga il fattore più importante che ha trasformato lo Yemen da una guerra civile sui privilegi tribali locali in uno dei peggiori disastri umanitari del mondo. Gli Stati Uniti hanno direttamente aiutato e favorito quell’intervento militare. Se il problema non è ancora diventato un grosso problema nelle relazioni tra Stati Uniti e Arabia Saudita, è solo perché gli Stati Uniti si sono inchinati ai desideri sauditi in materia.

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