Mentre non accennano a placarsi i venti di guerra che imperversano alle porte dell’Europa, si sta già delineando quella che promette di essere una delle più imponenti crisi umanitarie degli ultimi anni. A poco più di una settimana dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, gli sfollati – stando ai dati forniti dall’UNHCR (Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu) – sarebbero già un milione e 200 mila e, secondo previsioni che purtroppo al momento paiono scontate, presto raggiungeranno cifre molto più alte.

Tra i Paesi investiti da questa ondata di persone in fuga dai combattimenti, al primo posto la Polonia, con il 54,2% del totale registrato. Seguono nell’ordine l’Ungheria, la Moldova, la Slovacchia e la Romania. E proprio in Moldova, dove hanno fin ora trovato rifugio il 9,2% dei profughi ucraini, si trova dal 2007 monsignor Cesare Lodeserto, oggi vicario della diocesi di Chisinau.

Fondatore della fondazione Regina Pacis, mons. Lodeserto si trova sin dall’inizio della guerra in prima linea nell’accoglienza di chi, attraversando la Transnistria, raggiunge le strutture messe a disposizione dalla diocesi in cerca di un riparo e di un posto dove ristorarsi prima di proseguire verso la Romania e anche oltre: “Nessuno si vuole fermare qui” ci dice al telefono il monsignore “c’è una rotazione continua… le persone restano 24/48 ore al massimo e poi se ne vanno… qui l’eco della guerra è molto vicina, Odessa, dove si sta combattendo, non è lontana”.

Con una media di 1000 persone al giorno, la situazione si fa di giorno in giorno sempre più drammatica. Inizia a mancare tutto, in primis acqua e cibo: “Qui siamo un punto di passaggio, le persone arrivano dopo aver perso tutto. Per prima cosa dobbiamo provvedere a sfamarle, poi cerchiamo di metterle in condizioni di fare una doccia e di dormire un po’ prima di ripartire”.


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Tra i profughi soprattutto donne e bambini, quasi nessun uomo, “restano a combattere” e pochissime persone anziane “non ce la fanno ad affrontare il viaggio” ci dice monsignor Lodeserto.

Al momento i canali umanitari in Moldova sono ancora chiusi e mentre tutto inizia a scarseggiare, ci si domanda perché dall’Europa, invece di inviare solamente armi, non si comincino a inviare massicciamente beni di prima necessità soprattutto nei luoghi di confine e, nello specifico, in Moldavia, dove la situazione – anche prima della guerra – non era certo delle migliori: “Il popolo moldavo si sta dimostrando eccezionalmente generoso. È gente povera, segnata dalle difficoltà, ma sta dando il massimo per non far mancare il proprio supporto agli ucraini che fuggono dalle proprie case”.

Come se non bastasse, le condizioni meteorologiche non facilitano la situazione. Il freddo è intenso e nei giorni scorsi ha nevicato. A tutto questo si aggiunge anche il morale dei rifugiati. Stando alla testimonianza di un privato benefattore che vuole restare anonimo e che sta contribuendo come può a fronteggiare l’emergenza, si verificano episodi in cui l’esasperazione prevale: “Qualche giorno fa” ci racconta al telefono “una donna ha rifiutato da mangiare per sé e per i suoi bambini perché i volontari che glielo stavano dando parlavano russo. Io personalmente ho sentito persone lamentarsi del fatto che il cibo è di provenienza russa. Più forte della fame, del freddo e della paura sembra essere l’odio… ma credo sia inevitabile”.

Mentre pochi giorni fa la presidente Maia Sandu ha annunciato di aver presentato richiesta ufficiale per candidare la Moldavia a entrare nell’Unione Europea e mentre nel paese è stata proibita la trasmissione di programmi delle emittenti televisive russe, sul campo continua a pesare la penuria di risorse. Sempre nei giorni scorsi il ministro degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian, si è recato in visita nel Paese, portando alle autorità moldave una fornitura di materiale umanitario di circa 40 tonnellate, ma non è sufficiente “Se non si interviene in modo massiccio” ci dice il benefattore da poco rientrato in Italia “la situazione rischia di precipitare”.

Per chi volesse dare il proprio contributo e sostenere la Fondazione Regina Pacis in questo momento di grave difficoltà, c’è un iban messo a disposizione per l’occasione: IT35K0103011502 0000631711 49

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