Il Sahel, dall’arabo Sahil cioè “bordo del deserto”, è quella fascia di transizione fra le zone desertiche del nord dell’Africa e quelle ricoperte da vegetazione più vicine all’equatore. Considerata come una zona di passaggio e un luogo di intensi scambi commerciali, la fascia del Sahel attraversa i territori della Mauritania, del Mali, del Burkina Faso, del Ciad, del Senegal, del Sudan e dell’Eritrea. Storicamente si tratta di un area dove l’influenza francese è forte, tanto che Parigi ha sempre mantenuto una certa presenza militare nel Sahel, in particolare in Mali, Burkina e Ciad. A seguito della caduta del regime di Gheddafi nel 2011, il Sahel diviene un terreno fertile per numerosi gruppi jihadisti affiliati ad Al Qaida e all’ISIS che minacciano la tenuta dei governi alleati dell’Esagono.
Per questo motivo, già nel 2013 l’allora presidente Hollande decide di intervenire in Mali con l’operazione Serval per fermare l’avanzata degli insorti Tuareg del Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (Mnla). L’operazione Serval ha poi lasciato spazio alla più ampia operazione Barkhane (2014-2022) che aveva per obiettivo quello di eradicare i gruppi insorti di matrice islamica presenti nella regione. Contestualmente Parigi si fa promotore del G5 Sahel, un quadro istituzionale nato nel 2014 per favorire la cooperazione regionale in materia di sviluppo e – soprattutto – sicurezza fra Mauritania, Mali, Burkina, Niger e Ciad. Dal 2017 il Sahel è però divenuto il terreno di scontro di una vera e propria guerra di influenza fra Francia e Russia, culminato quest’anno con la fine dell’operazione Barkhane determinata dell’arrivo in Mali della Pmc Wagner. Fra colpi di stato (in particolare in Mali e Burkina), manifestazioni popolari anti-francesi e pro russe e un crescendo di dichiarazioni critiche nei confronti dell’operato francese da parte di vari capi di stato saheliani Parigi sembra aver perso il suo ascendente sul Sahel. Se l’influenza francese arretra, la presenza russa nel Sahel si espande: gli pseudo-mercenari del Cremlino, cifra distintiva dell’influenza di Mosca, sono ormai presenti nel Sahel in Ciad, Sudan, Mali oltre che nella vicina Libia, nel Centrafrica e in Nigeria.
La dottrina Gerasimov
Nel Sahel la Russia si è attenuta ad un copione ben rodato – quello della dottrina Primakov, attualizzata dall’attuale Capo di Stato Maggiore delle forze russe Gerasimov – che ha per obiettivo quello di massimizzare i guadagni strategici, minimizzando il più possibile i rischi e i potenziali costi. Il modello di penetrazione russa si costituisce quindi come un modello ibrido, volto a contenere l’influenza Occidentale (francese in particolare) alternando elementi di soft e hard power in svariati ambiti: dall’economia all’informazione, dalla sfera politica a quella militare. Le caratteristiche salienti di questo modello constano quindi nel largo impiego di “contractors” non riconducibili formalmente a Mosca, nell’utilizzo di vere e proprie campagne di (dis)informazione condotte sui media locali e nella fornitura di pacchetti di cooperazione militare. Questi ultimi nascono da accordi bilaterali fra Mosca e il paese target e spesso consistono nell’invio di armamenti e consiglieri militari russi, con lo scopo di equipaggiare e addestrare le forze locali.
In realtà i partner africani della Russia sono spesso Stati fragili, alle prese con elezioni (Ciad), colpi di stato (Mali), insurrezioni o guerre civili (Libia, Sudan). Il Cremlino fornisce loro dei veri e propri servizi di stabilizzazione (che implicano anche l’impiego della forza da parte dei “contractors” e dei “consiglieri militari”) in cambio di lucrative concessioni per l’estrazione di risorse naturali. Questo modus operandi permette quindi alla Russia di ottenere dei notevoli vantaggi economici, senza implicare direttamente le proprie forze armate.
Un esempio lampante di questa strategia è proprio il caso del Mali. Prima dell’invio degli pseudo-contractors del famigerato gruppo Wagner, e prima ancora delle tensioni fra Bamako e Parigi circa la ristrutturazione della presenza francese nell’area, la Russia era entrata in una vera e propria guerra di informazione con la Francia con l’obiettivo di screditare l’operato di Barkhane (la missione francese nel Sahel), facendo leva sul latente sentimento anti-francese e anticoloniale della popolazione maliana. Se il colpo di stato del colonnello Goita, avvenuto il 24 Maggio 2021, ha definitivamente incrinato i rapport fra la Francia e Mali, la macchina della propaganda russa aveva già gettato le basi per l’ingresso del paese dei suoi contractors. L’impiego del soft power, inteso qui come una campagna di propaganda volta ad esaltare le capacità militari della Russia e dei suoi contractors, si è quindi rivelato uno strumento decisivo per avanzare gli interessi russi in Mali.
Caratteristiche delle PMC russe
Rispetto alle controparti occidentali, le PMSC russe presentano due significative differenze. In primo luogo, offrono servizi di combattimento attivo e non esitano a menzionarlo apertamente, definendosi come PMC (Private Military Contractors) o aziende di consulenza militare (come nel caso dell’RSB group). In secondo luogo, non offrono quei servizi legati al c.d supporto militare, o quantomeno lo fanno in misura largamente inferiore rispetto ai gruppi occidentali. Inoltre, il termine Pmc in questo caso è improprio poiché sebbene si tratti di aziende nominalmente private, i vari contractors russi (fra cui figurano l’Anti-terror Group, Center R, Moran Security Group, RSB Group, E.N.O.T., Shchit, Patriot e l’ormai famoso Wagner Group) sono tutti legati ad agenzie di sicurezza russe come l’Fsb, il Gru o direttamente il ministero della Difesa.
La nomea di alcuni di questi gruppi potrebbe far pensare a piccole unità di operatori altamente specializzati assimilabili alle forze speciali ma non è così. Le Pmc russe hanno diverse componenti al loro interno che vanno da interi reparti di fanteria a unità specializzate passando per istruttori e personale tecnico e di supporto. Altresì eterogeneo è il loro impiego: oltre a condurre operazioni di combattimento i contractor russi sono anche in grado di fornire servizi di intelligence e analisi (humint, sigint, osint), di protezione di personale Vip, di sicurezza per siti strategici ed operazioni di informazione e propaganda. I “contractors” russi operano poi in un vuoto giuridico: formalmente illegali in patria queste aziende consentono a Mosca di mantenere una “plausible deniability” circa il loro operato, non essendo riconducibili direttamente al Cremlino.
Il Modus Operandi
Divenute un formidabile strumento per proiettare l’influenza russa nel mondo, queste Pmc spesso agiscono secondo un preciso modus operandi. Bersagli d’elezione sono quei paesi relativamente deboli, la cui governance del territorio è spesso contestata da gruppi ribelli: il Mali rientra a pieno titolo in questa categoria, ma visto il recente colpo di stato anche il Burkina Faso potrebbe divenire il prossimo obiettivo russo. I primi contatti tra “contractor” russi e stato target generalmente avvengono a ridosso di elezioni o altri momenti salienti della vita politica di un paese. I primi servizi offerti sono quindi quelli di “consulenza politica”, volti a far eleggere o riconfermare un politico designato. Poi viene l’aiuto militare, sotto forma di armi e tramite l’invio di istruttori. Questi istruttori però partecipano attivamente alle operazioni di combattimento, facendo uso ove possibile di una forza soverchiante, volta a sconfiggere i gruppi insorti rapidamente.
Poco attenti al rispetto dei diritti dell’uomo gli pseudo-contractors russi si rivelano, nel breve termine, più efficaci delle forze già presenti sul territorio (cioè i soldati francesi di Barkhane o i caschi blu di Minsuma in Mali). Le Pmc russe di fatto agiscono come moltiplicatori della forza, e i loro successi vengono ampiamente sottolineati nei media locali e regionali grazie a vere e proprie campagne di comunicazione che sovente si appoggiano a troll factories dietro cui si cela l’ombra del Cremlino. Se ad oggi non è possibile sapere come le Pmc russe vengano retribuite per il loro operato, generalmente l’arrivo di contractors avviene in parallelo a lucrative concessioni per l’estrazione mineraria concluse con aziende russe. In Mali ad oggi non si rileva nessuna attività estrattiva, ma la presenza di importanti giacimenti aurei nel nord del paese suggerisce la ragione dell’intervento russo.
Gli effetti della presenza Russa
Se la presenza dei “contractors” del Cremlino in Ciad, alleato chiave della Francia nella regione, non è stata foriera di grandi stravolgimenti, il potere sovversivo della penetrazione russa in Mali è evidente. Non solo Parigi ha dovuto porre un termine a Barkhane, ma anche la missione Eutm (European Training Mission) in Mali è a rischio. Presente nel paese dal 2013, la missione a guida europea ha addestrato più di 18 000 militari affrontando delle spese ingenti. Solo la Germania dal 2014 al 2020 ha investito due miliardi di Euro per la stabilità del Sahel e il rischio di perdere questo investimento è alto.
Uno scenario come quello Centrafricano, dove interi battaglioni formati da Eutm Rca sono di fatto passati sotto il controllo diretto degli pseudo-mercenari russi, potrebbe infatti ripetersi in Mali con esiti ancor più disastrosi per la sicurezza del Sahel e per il controllo dei flussi migratori in direzione dell’Europa. Ad aggiungere ulteriori preoccupazione c’è poi la notizia di un incontro al vertice fra Mali e Burkina Faso, che potrebbe preludere ad un riavvicinamento fra i due paesi e che probabilmente porterebbe Ouagadougou nell’orbita dell’influenza russa. Anche il Niger non è esente dall’influenza russa, come dimostrano le recenti manifestazioni ove affianco a slogan anti-francesi sventolavano bandiere della Confederazione Russa.