Nella mattinata di lunedì 14 agosto, due velivoli da pattugliamento marittimo russi a lungo raggio tipo Tupolev Tu-142 sono stati intercettati dalla Royal Air Force (Raf) mentre transitavano a nord delle Isole Shetland all’interno dell’Adiz (Air Defence Identification Zone) settentrionale del Regno Unito e nella zona di Air Policing nord della Nato.
I Typhoon britannici sono decollati dalla base aerea di Lossiemouth, una delle due del Regno Unito adibita a Qra (Quick Reacton Alert), e hanno seguito i velivoli russi (riportati come un Bear-F e un Bear-J secondo il codice Nato) utilizzati per la ricognizione e la guerra antisom, nel loro volo a nord del Regno Unito.
Le intercettazioni da parte dei caccia della Raf di aerei da guerra russi (e viceversa) non sono rare, con eventi simili che si sono verificati nel novembre 2021 e nel giugno 2023, ma l’incidente del 14 agosto è avvenuto quando la Danimarca ha intercettato due velivoli russi (probabilmente due bombardieri) che hanno violato il suo spazio aereo dirigendosi verso i Paesi Bassi. Da quello che sappiamo gli aerei russi sono stati tardivamente intercettati dai caccia danesi, tanto che la difesa aerea olandese è stata messa in allerta, e solo quando i piloti russi si sono visti intercettati hanno invertito la rotta.
Sempre nella stessa giornata la Russia ha affermato di aver lanciato un caccia MiG-29 per impedire una “violazione” del suo confine da parte di un aereo da pattugliamento norvegese P-8A nel Mare di Barents.
Le operazioni di disturbo sui cieli della Nato
Questi eventi si sommano alle decine di intercettazioni che vengono effettuate nell’area del Baltico, dove scorre un altro confine aereo molto caldo tra la Russia e l’Alleanza Atlantica: nel solo mese di giugno, ad esempio, proprio i Typhoon britannici chiamati a operare nell’Air Policing della Nato hanno più volte intercettato diversi velivoli russi come Su-27M, Su-30SM, Il-20 e Tu-22M.
Da quando la Russia ha ripreso i voli di pattugliamento atlantici, nel 2007, sono state centinaia le intercettazioni di bombardieri e aerei da pattugliamento marittimo russi nella zona del Giuk Gap, il braccio di mare che passa per Groenlandia, Islanda e Regno Unito e che è un passaggio obbligato per le forze aeronavali russe dirette verso l’Atlantico Settentrionale, ma con l’inizio del conflitto in Ucraina il loro rateo è aumentato con un picco proprio dall’inizio del 2023, e forse non a caso.
Il Regno Unito, infatti, è lo sponsor più attivo dell’Ucraina – insieme alla Polonia – e da anni è l’alleato europeo della Nato più veemente nel contrasto alla Russia: si ricordi, a tal proposito, la breve “incursione” in quelle che la Russia considerava sua acque territoriali del cacciatorpedinere Hms “Defender” nel 2021.
Non è invece sicuramente un caso che altri bombardieri russi abbiano violato lo spazio aereo danese dirigendosi verso l’Olanda: un segnale forte – anzi, visto l’esito dell’azione, fortissimo – verso i due Paesi della Nato che più di ogni altro sono stati attivi per l’invio di caccia occidentali all’Ucraina, formalizzandone la decisione qualche giorno dopo l’incidente.
Già il fatto che i due velivoli delle Vks, le forze aerospaziali russe, siano riusciti a “bucare” lo spazio aereo Nato rappresenta un evento gravissimo che farà riconsiderare all’Alleanza il sistema di controllo dei cieli non solo di quel settore, ma l’evento in sé è da leggersi come un avvertimento di Mosca all’Occidente riguardo il superamento di troppe “linee rosse”.
Come può cambiare il ruolo dell’Alleanza atlantica
Guardando al corso di questo conflitto, in effetti, la Nato – ma principalmente gli Stati Uniti – hanno cambiato nel tempo la propria postura in merito agli armamenti da inviare in Ucraina: carri armati, sistemi missilistici a lungo raggio e ora i caccia, gradualmente non sono diventati più tabù. Sistemi d’arma e munizioni che prima Washington non intendeva spedire a Kiev nel timore di innescare un’escalation con la Russia, ora sono già presenti sul campo di battaglia, ed altri – i caccia nella fattispecie – presto lo saranno.
Cos’è cambiato quindi nella direzione politica statunitense? Premesso che la Casa Bianca, all’inizio del conflitto, considerava perduta l’Ucraina e che ha cominciato realmente ad armarla e sostenerla quando si è resa conto che poteva resistere all’invasione logorando un avversario degli Stati Uniti, successivamente il problema è stato posto dallo stallo del conflitto.
La controffensiva ucraina non sfonda. L’intelligence statunitense ritiene quasi impossibile che l’esercito ucraino possa raggiungere Melitopol conseguendo un risultato strategico fondamentale, Kiev ha dissipato risorse preziose nella difesa di Bakhmut e ora nel tentativo di riconquista, e gli ufficiali della Nato non possono far altro che consigliare lo Stato maggiore ucraino, in quanto l’Alleanza non è intervenuta direttamente.
A Washington – come a Bruxelles, all’alto comando Alleato – il pensiero ora è “come vincere questa guerra” prima che assorba troppe risorse, che non sono inesauribili, e quindi le “linee rosse” stanno sbiadendo sino a scomparire. Il timore (nostro) è che questa tendenza diventi incontrollabile, e che a fronte dell’impossibilità ucraina a porre fine al conflitto da posizioni vantaggiose si reputi necessario l’intervento diretto.
Forse, da questo punto di vista, proprio le recenti indiscrezioni dell’intelligence statunitense sull’impossibilità di successo della controffensiva ucraina servono a preparare il terreno dell’opinione pubblica in tal senso, e forse allo Stato maggiore russo lo sanno, e stanno agendo di conseguenza in un linguaggio diplomatico che non usa le parole ma i bombardieri.
Esiste sempre la possibilità che si giunga a una soluzione coreana della guerra in corso, con un’Ucraina divisa da una linea di cessate il fuoco, da un armistizio, che ne sancirebbe de facto la divisione secondo l’attuale linea del fronte: sempre durante la calda settimana di ferragosto il capo di Stato maggiore del segretario generale Jens Stoltenberg, Stian Jenssen, aveva affermato che l’Ucraina potrebbe alla fine cedere i territori occupati alla Russia come parte di un accordo per porre fine alla guerra, salvo poi costringere lo stesso Stoltenberg a fare precipitosamente marcia indietro affermando che “solo gli ucraini possono decidere quando ci sono le condizioni per i negoziati”. Un segnale contrastante che forse è indice delle animate discussioni interne all’Alleanza in merito alla futura condotta di questo conflitto.
Un intervento diretto della Nato ci catapulterebbe in un conflitto mondiale in quanto, molto probabilmente, la Cina coglierebbe l’occasione per attaccare Taiwan sapendo che gli Stati Uniti sarebbero impegnati direttamente nel conflitto con la Russia e sperando quindi di poter risolvere la questione senza troppi spargimenti di sangue per via della divisione delle forze Usa.
Non vogliamo invece pensare a cosa significherebbe per l’Europa una simile eventualità, con una Russia che, per vincere – e forse per sopravvivere – a quel punto non esiterebbe troppo a utilizzare il nucleare tattico sul fronte ucraino, con tutto quanto ne consegue in termini di escalation.