Guerra /

Si chiama Task Force Takuba ed è la missione militare europea per contrastare il jihadismo nel Sahel, la regione dell’Africa sub-sahariana che va dalla Mauritania al Sudan, passando per il Mali, la Nigeria, il Ciad, il Niger e la Burkina Faso: i resti dell’impero coloniale francese, ancora tenuto sotto il tallone di Parigi dal Franco Cfa, la valuta corrente che dipende dalla cooperazione bancaria tra la Banca di Francia e le banche centrali delle antiche colonie.

Proprio la Francia è stata l’artefice della nascita di questa nuova operazione erede di Barkhane, la missione tutta francese che dal 2014 dispiega in quella regione circa 5100 uomini con droni, velivoli da caccia, elicotteri e un totale di 830 veicoli tra blindati, camion e blindati leggeri. Un piccolo esercito che con Task Force Takuba verrà affiancato da soldati italiani, della Repubblica Ceca – che già schiera 120 militari nella missione europea di addestramento Eutm Mali – che invierà 60 incursori delle forze speciali militari, l’Estonia, il Belgio che però invierà solo personale non combattente. Curioso il caso della Norvegia che tra le nazioni che più hanno caldeggiato l’operazione poi se ne è sfilata, mentre si attende la risposta dalla Finlandia e dalle altre nazioni che già operano nella zona sotto l’egida di altre missioni “di pace”. Berlino ha invece cortesemente declinato l’invito.

L’idea della Task Force Takuba è formare un contingente europeo di Forze Speciali da affiancare ai soldati francesi per il contrasto all’attività dei jihadisti che imperversano nella regione, e che si finanziano anche facendo da intermediari per il traffico internazionale di uomini: l’immigrazione clandestina che il nostro Paese conosce sin troppo bene.

I prodromi della partecipazione italiana era già stata gettata lo scorso anno dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini. A dicembre vi avevamo raccontato di come a palazzo Baracchini si fossero stabilite le nuove linee guida per la Difesa italiana dove la Francia è sembrata essere il partner preferito da questa nuova amministrazione soprattutto per la questione del Sahel: la stabilità di quella regione, e dell’Africa sub-sahariana in generale, è prioritaria per l’Italia nell’ottica del controllo dei flussi migratori (esattamente come detto nel Dpp 2019). Pertanto la strategia per la sicurezza della regione in esame non può prescindere dal considerare il ruolo che ha Parigi, da qui la decisione di partecipare attivamente in questa nuova missione che sembra delinearsi di tipo combat e non più esclusivamente “training”.

Perché in quella regione i nostri soldati ci sono già, in un piccolo dedalo di missioni internazionali che però non prevedono compiti di combattimento: il contingente più grosso, composto da 290 uomini, un massimo di 160 mezzi terresti e 5 velivoli a pilotaggio remoto, è quello che partecipa alla missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger ma che ha un’area di intervento più vasta, comprendendo appunto gli altri Paesi del Sahel.

La missione è intesa a supportare il governo nigerino nei suoi compiti di controllo del territorio con lo sviluppo delle forze di sicurezza nazionali fornendo anche personale per il controllo delle attività di sorveglianza delle frontiere. In dettaglio il contingente italiano comprende team per ricognizione comando e controllo, team di addestratori, team sanitario, personale del genio per lavori infrastrutturali, squadre Nbcr (Nucleare Biologico Chimico e Radiologico), unità di supporto e force protection, per la raccolta informazioni, sorveglianza e ricognizione a supporto delle operazioni (Isr). A loro si affiancano i 12 uomini della missione Eutm Mali, i 7 della Minusma e i 6 dell’Eucap Sahel: un piccolo dedalo di operazioni fuori area che ci costa complessivamente quasi 51 milioni di euro con la parte del leone fatta, ovviamente, dalla missione in Niger che da sola richiede un finanziamento totale di 48 milioni 500mila euro.

Ancora non conosciamo la consistenza numerica del contingente italiano per la Task Force Takuba, ma possiamo ipotizzare che sarà composto da elementi presi dalle Forze Speciali in base alle loro competenze specifiche: come riportato da Analisi Difesa le ipotesi variano da alcune decine di incursori di Esercito (Nono reggimento Col Moschin), Marina  (Goi) e Aeronautica (17esimo stormo) con elementi del Gis dei Carabinieri a un reparto più ampio che sarebbe composto da circa 150/200 effettivi includendo anche unità dei reparti per operazioni speciali quali i Ranger (Quarto reggimento Alpini paracadutisti) e acquisizione obiettivi dell’Esercito (185esimo reggimento Rao).

Se il contingente italiano fosse composto davvero da 200 uomini sarebbe molto probabilmente quello più numeroso dopo quello francese, dimostrando pertanto l’impegno di Roma nel tentativo di risoluzione, più che della piaga del jihadismo, del problema dei flussi migratori che con l’attenuarsi dell’emergenza pandemica stanno ricominciando.

Ancora non sono chiare catena di comando e regole di ingaggio: si ritiene che il comando dell’operazione sarà francese ma con regole di ingaggio stabilite da Roma. Questa possibilità potrebbe aprire a problemi non indifferenti: una direzione interamente francese potrebbe portare con sé il rischio di un uso delle nostre forze esclusivamente per “finalità francesi”, magari relegandole a compiti poco “prestigiosi” per evitare debiti di riconoscenza troppo pesanti con l’Italia, mentre le regole di ingaggio dovranno essere studiate a fondo in modo da avere una omogeneità con quelle degli altri componenti la Task Force ed evitare che i nostri soldati combattano, come spesso accade, con una mano legata dietro la schiena.

Dal punto di vista strettamente politico questa operazione fuori area potrebbe essere vista come la prima del nuovo corso europeo dato dalla Francia, con Macron che preme per la nascita di un esercito comunitario: una sorta di prima prova delle capacità di operare seriamente tra Stati dell’Ue senza il coordinamento Nato, Onu o di altri enti internazionali come l’Osce. Forse per questo, e per la palese direzione tutta francese, la Germania ha declinato l’invito ed è stata accolta tiepidamente da altri Paesi.





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