Guerra /

È allarme sicurezza in Iraq in seguito al ritorno su territorio iracheno dei famigliari dei jihadisti ormai sconfitti dalle truppe curde nel nord est della Siria.

Il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi ha lanciato l’allarme durante la conferenza stampa settimanale a Baghdad avvertendo che ulteriori misure di sicurezza verranno predisposte al fine di evitare che i famigliari dei jihadisti possano minacciare la sicurezza e la stabilità futura del Paese.

“Intendiamo rispettare i diritti umani di tutti ma non possiamo accumunare le famiglie di coloro che sono stati oggetto delle violenze dell’Isis e le famiglie di coloro i quali hanno combattuto nelle file del Califfato”, ha dichiarato il Primo ministro iracheno. “Abbiamo il dovere di supportare le famiglie vittime del Daesh e aiutarle a tornare a casa propria il prima possibile. Un trattamento speciale però dovrà essere riservato alle famiglie dei combattenti dello Stato islamico poiché non vi è una grande differenza tra loro e lo Stato islamico stesso”, ha continuato Adel Abdul Mahdi come riportato dall’agenzia Rudaw.

L’Iraq come alleato per la gestione dei prigionieri dell’Isis

Il Primo ministro ha poi promesso la massima collaborazione con gli altri Stati per la gestione dei prigionieri dell’Isis. Ha dichiarato che l’Iraq potrebbe venire in soccorso degli Stati di provenienza dei foreign fighters e trasportarli dalla Siria su territorio iracheno per essere processati dalle autorità giudiziarie irachene. Su esplicita richiesta, l’Iraq potrebbe anche rimpatriare le centinaia di ex combattenti del Califfato negli Stati di provenienza dei jihadisti, tra cui anche molte nazioni europee.

La dichiarazione del leader sciita di Baghdad avviene in seguito all’accordo tra il Presidente iracheno Barham Saleh e il presidente francese Emmanuel Macron sulla gestione di 18 estremisti islamici con cittadinanza francese che si erano arruolate nelle fila dello Stato islamico in Siria. L’accordo tra Parigi e Baghdad prevede il loro trasporto dalle prigioni curde del nord est della Siria a Baghdad, dove verranno processati secondo le leggi irachene che prevedono anche la pena di morte. Tale accordo sarebbe particolarmente gradito a Parigi poiché salverebbe le autorità francesi dall’annoso problema del rimpatrio, del processo e dell’eventuale riabilitazione nelle carceri francesi dei jihadisti.

Il problema delle carceri curde

Sarebbero circa 800 i foreign fighters nelle prigioni dei curdi siriani a cui bisogna aggiungere circa 2000 tra mogli e bambini. I curdi più volte hanno chiesto con forza ai paesi di provenienza dei combattenti stranieri di riprendersi i loro cittadini per processarli e incarcerarli. Il presidente americano Donald Trump ha minacciato i Paesi occidentali di liberare i jihadisti qualora non venissero rimpatriati. “Gli Stati Uniti stanno chiedendo a Gran Bretagna, Francia, Germania e altri alleati europei di prendersi gli 800 combattenti dell’Isis che abbiamo catturato in Siria e di processarli. Il Califfato è pronto a cadere. L’alternativa potrebbe essere il loro rilascio”, ha twittato Trump.

Nei paesi europei si è aperto il dibattito sul possibile rimpatrio dei propri jihadisti e dei loro familiari. Nel Regno Unito, ad una donna prigioniera dei curdi che nel 2015 ha lasciato il suolo inglese per andare in Siria, è stata tolta la cittadinanza britannica per evitare il suo ritorno. Un monito a tutti gli ex jihadisti inglesi che volessero richiedere di essere processati secondo le leggi del governo di Sua Maestà, sicuramente più tenui di quelle irachene o siriane. In Francia, Germania e Italia, i governi al momento stanno cercando di evitare di affrontare direttamente il problema dei prigionieri dell’Isis. Si ritiene che potrebbero divenire una minaccia per la sicurezza nazionale considerato il loro addestramento militare e anche se incarcerati, potrebbero diffondere il loro radicalismo islamico all’interno delle prigioni.

La soluzione che potrebbe mettere d’accordo molti attori statuali e non, potrebbe essere quella di dare all’Iraq il compito di creare una sorta di Norimberga dell’Isis sgravando molti paesi occidentali del problema della gestione e del processo dei foreign fighters. Problema che nessun Paese intende affrontare all’interno dei propri confini nazionali.