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L’Iran ha comunicato di aver venduto il carico di greggio della petroliera che era stata sequestrata dai Royal Marines lo scorso 5 luglio è che è rimasta per ben cinque settimane bloccata a Gibilterra. La nave iraniana, già nota col nome di Grace 1 ed ora ribattezzata Adrian Darya 1, è riuscita a salpare il 18 agosto facendo rotta verso est nel Mediterraneo.

Un intrigo internazionale

La Adrian Darya 1 era stata abbordata dai Royal Marines inglesi e sequestrata in quanto il suo carico di 2,1 milioni di barili di petrolio greggio sarebbe dovuto arrivare in Siria, attualmente ancora sottoposta ad embargo come da direttive dell’Unione Europea e del Dipartimento del Tesoro americano.

La petroliera, che come detto si chiamava Grace 1, apparteneva ad una società di Singapore e batteva bandiera panamense, ma ora ha cambiato armatore e batte bandiera iraniana, da qui la necessità di ribattezzare il vascello. Questa mossa si spiega con la volontà dell’Iran di difendere apertamente il proprio naviglio commerciale: proprio oggi le autorità di Teheran hanno fatto sapere di aver dispiegato un cacciatorpediniere armato di missili da crociera per proteggere il traffico navale battente bandiera iraniana in transito nel Golfo di Aden.

Una mossa dell’Iran che, data l’escalation in atto in quella parte di mondo, ha più di un mero valore simbolico: basterebbe infatti un eventuale scontro a fuoco navale, in cui l’unico cacciatorpediniere iraniano sicuramente avrebbe la peggio a fronte del dispositivo navale statunitense e inglese, per esacerbare i toni del confronto in atto e spingere ulteriormente i Paesi coinvolti verso un conflitto aperto.

La mossa di “nazionalizzare” la petroliera è anche un modo per giocare allo scoperto e quindi indice di una crescente sicurezza di Teheran nelle proprie possibilità diplomatiche: oltre a poter “alzare la voce” in modo netto in caso di nuovi abbordaggi e sequestri, lascia intendere la volontà politica – un po’ spavalda – di continuare nei propri traffici commerciali, magari ancora verso Paesi soggetti ad embargo, alla luce del sole.

Gli Stati Uniti protestano

Il portavoce del governo iraniano, Ali Rabiei, non ha specificato chi ha acquistato il carico di greggio della Adrian Darya 1, valutato in circa 130 milioni di dollari (117 milioni di euro), ma quello che sappiamo, dal tracciato della rotta della nave, è che sta dirigendo verso il Mediterraneo Orientale.

La destinazione finale non è nota. In un primo tempo, come riportato anche da Reuters, la petroliera sembrava diretta in Grecia, al porto di Kalamata, ma il governo di Atene ha rifiutato il permesso di attracco. In questo momento la Adrian Darya 1 si trova circa a 180 chilometri a Sud-Ovest di Creta e sta navigando alla velocità di 8 nodi sempre con rotta Est.

La corte federale degli Stati Uniti, immediatamente dopo l’ordine di rilascio della petroliera, ha emanato un decreto di sequestro, ma Gibilterra si è rifiutata di metterlo in atto generando malumori in quel di Washington.

Per gli Usa, infatti, la petroliera rientra nei beni a disposizione delle Guardie della Rivoluzione Islamica, un ente considerato terrorista da Washington. Di rimando l’Iran ha fatto sapere che ogni tentativo di catturare nuovamente il vascello avrà “gravi conseguenze”.

Sebbene la destinazione finale della Adrian Darya 1 non sia nota è ragionevole supporre che possa essere diretta in Libano, da dove risulterebbe molto più facile contrabbandare il greggio verso la Siria, ma non è nemmeno da escludere che possa giungere direttamente in un porto siriano: sarebbe una grandissima vittoria propagandistica per Teheran che avrebbe così dimostrato di poter essere in grado di aggirare l’embargo.

La successiva mossa di Washington, a questo punto, potrebbe essere quella di mettere alle calcagna della petroliera un proprio cacciatorpediniere con lo scopo di controllarne la destinazione finale e di fermarla in caso di avvicinamento alle acque territoriali siriane. Presumibilmente il naviglio militare russo presente in quelle acque non interverrebbe sia per evitare un incidente dalle difficili conseguenze sia perché anche la Russia ha tutto l’interesse a non risultare apertamente “sponsor” dell’Iran preferendo mantenere un basso profilo.