La guerra civile sud sudanese dura da sei anni e ha causato oltre 400mila morti, due milioni di sfollati e il reclutamento forzato di migliaia di bambini soldato.
Nel 2011, dopo anni di tensioni e un referendum, nasce il Sud Sudan. L’indipendenza garantisce al neonato Stato l’esclusiva sui ricchi giacimenti di petrolio della regione, attirando speculatori occidentali, russi, arabi e cinesi. La lotta per lo sfruttamento delle risorse ha portato alla nascita di milizie armate, fondate su base etnica e guidate da warlord abili nell’intrattenere rapporti con gli investitori stranieri. Scoppia così una guerra civile, dicembre 2013, che vede contrapposte una costellazione di formazioni militari governative e non. A Salva Kiir Mayardit, presidente del Sud Sudan di etnia dinka e capo dell’esercito regolare, si contrappone Riek Machar, ex vicepresidente del Sud Sudan di etnia nuer, appoggiato da numerose milizie unite nella lotta alle truppe regolari.
Nel Settembre 2018 è stato firmato l’ennesimo accordo di pace che dovrebbe entrare in vigore il 12 Novembre, dando il via a un governo di transizione. Il condizionale è d’obbligo, poiché i precedenti accordi sono stati puntualmente disattesi e, a neanche un mese dalla fatidica data, le parti in causa appaiono ancora molto distanti.
Bambini trasformati in soldati
Il peso di quest’interminabile crisi è tutto sulle spalle dei civili, che sono costretti a subire reclutamenti forzati e violenze, per mano delle milizie irregolari e dell’esercito governativo. Le stime più aggiornate parlano di circa 19mila bambini soldato presenti nel paese e tuttora attivi. Il protocollo opzionale della Convezione dei diritti del fanciullo, sottoscritto dal Sud Sudan nel 2018, proibisce l’arruolamento forzato di minori di 18 anni e designa come crimine di guerra il reclutamento di bambini d’età inferiore ai 15 anni. Eppure, ogni anno, sono centinaia i bambini e le bambine costretti a condurre una vita militare. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riporta che nel 2018 sono stati arruolati 365 ragazzi e 88 ragazze, di cui il 15% sotto i 15 anni, principalmente nella regione Greater Equatoria. I signori della guerra, autori di questi crimini, sono presenti tra i sostenitori di Kiir, così come tra quelli di Machar. L’esercito regolare nel 2018 ha reclutato 143 bambini soldato, le milizie d’opposizione, complessivamente, 310.
L’arruolamento forzato segue comunemente la stessa dinamica. Il gruppo armato arriva nel villaggio armi in mano, rastrellando le giovani leve. I bambini che si oppongono sono costretti a guardare la morte dei propri genitori. In seguito sono portati in campi di addestramento dove imparano a sparare, a essere aggressivi e violenti, a seguire una vita militare 24 ore su 24. Le mansioni che svolgono sono molteplici. I ragazzi più addestrati sono utilizzati nelle operazioni militari, mentre chi è nelle retrovie provvede agli aspetti logistici. Le ragazze sono trasformate nelle schiave sessuali dei mostri della guerra e dei loro sottoposti.
Un incubo senza fine
Le rare testimonianze di chi è riuscito a scappare o è stato liberato, dimostrano che questi orrori sono solo l’inizio di un lungo calvario. I danni psicologici subiti dai bambini soldato sono incalcolabili – incubi, depressione, istinti suicidi – e un reinserimento nella società lento e difficoltoso. I più fortunati entrano a far parte dei programmi Unicef, dove ricevono un supporto specialistico per tre anni. Purtroppo, la maggior parte sono abbandonati a loro stessi, con la concreta possibilità di tornare da coloro da cui erano fuggiti. In tutto il paese è presente un unico reparto psichiatrico a Juba, la capitale, con 12 posti letto, condizione che rende pressoché impossibile accedere a percorsi guidati di reinserimento.
A oggi nessun generale dell’esercito regolare ha subito un processo, anzi molti sono sati promossi e intrattengono rapporti privilegiati con partner stranieri. Come nel caso del generale David Yau Yau, uno dei principali warlord, che con la sua milizia, Cobra Faction, ha reclutato migliaia di bambini. Nel 2015, grazie a due finanziatori britannici, il luogotenente diviene il principale azionista della National Depot Petroleum Development Co. Ltd., nota società che fornisce servizi alle aziende che estraggono petrolio nel Sud Sudan.
Tutto ciò avviene sotto gli occhi della comunità internazionale che, non solo rimane inerme, ma approfitta delle condizioni d’instabilità e violenza in cui versa il paese. Invece di isolare una classe dirigente priva di scrupoli, continuano a inserirsi nuovi attori che alimentano le violenze, come la Cina, giunta in Sud Sudan portando con sé armi e denaro. I progressi nel processo di pacificazione del paese fanno ben sperare, ma dopo anni di fallimenti è difficile essere certi del risultato delle prossime negoziazioni. Il futuro dei 19mila bambini soldato, però, passa però per la riconciliazione delle varie anime del Sud Sudan. Solo uno Stato unito e coeso potrà dare un futuro a questi bambini, consapevoli che nessuno potrà ridargli indietro la loro infanzia, ormai perduta.