“Sono stata venduta così tante volte che non ricordo più. Poi un uomo mi ha costretta a sposarlo”. Randa aveva solo nove anni quando è stata rapita e fatta prigioniera dai miliziani dell’Isis. Insieme a lei, migliaia di bambini yazidi sono stati strappati dalle loro famiglie, torturati e obbligati ad arruolarsi nelle fila del sedicente Stato Islamico. “Sono stato costretto a combattere. Ho dovuto farlo o sarei morto. Non avevo altra scelta”. Quando è stato reclutato con la forza, Sahir di anni ne aveva compiuti 15. “Non dimenticherò mai quello che mi è successo. Fa parte di me, come una cicatrice. Sarà lì per sempre”.

Ricordi indelebili di violenze, guerra e fame che continuano a perseguitare bambini e adolescenti anche dopo la fine della prigionia. Lo Stato Islamico resterà nelle loro menti, sulla loro pelle. Sono quasi 2mila i giovani yazidi, sopravvissuti alla ferocia dell’Isis e tornati dalle famiglie, abbandonati a loro stessi e costretti a convivere con gravi traumi. A lanciare l’allarme è stata Amnesty International che ha pubblicato un rapporto dal titolo “Legacy of Terror: The Plight of Yezidi Child Survivors of ISIS” in cui denuncia il mancato supporto ai più giovani. “Sopravvissuti a crimini orribili, questi ragazzi devono ora affrontare un’eredità segnata dal terrore. La loro salute fisica e mentale deve essere una priorità negli anni a venire per far sì che possano reintegrarsi completamente nelle loro famiglie e nella comunità”, ha spiegato Matt Wells, vicedirettore del programma Crisis Response di Amnesty International. Prigionieri dell’Isis per molti anni, ora questi bambini soffrono di ansia, depressione, stress post-traumatico, malattie varie e lesioni fisiche. “Hanno bisogno di un sostegno urgente da parte delle autorità nazionali in Iraq e della comunità internazionale per costruire il loro futuro”, ha continuato Wells.

Il genocidio degli yazidi

È il 3 agosto 2014 quando le bandiere nere dello Stato Islamico occupano la regione del Sinjar, nel nord dell’Iraq, sterminando la minoranza etnico-religiosa degli yazidi. Migliaia di persone riescono a rifugiarsi sulle montagne mentre i miliziani distruggono villaggi, eseguono omicidi di massa e conversioni forzate. Le violenze continuano per diversi giorni: gli uomini vengono giustiziati, i bambini arruolati e le donne violentate e trattate come schiave. In totale sono oltre 5mila gli yazidi uccisi, circa 7mila le persone rapite e ridotte in schiavitù, quasi 3mila i dispersi. A cinque anni dalla cacciata dell’Isis dalla regione, solo un quarto della popolazione è ritornata nel territorio al confine con la Siria mentre circa 300mila yazidi vivono ancora nei campi profughi del Kurdistan iracheno. Tra loro anche migliaia di bambini sopravvissuti alle violenze dell’Isis. Ma il rientro in famiglia non ha segnato per loro la fine della sofferenza.

Sahir è stato rapito dai miliziani quando aveva solo 15 anni. “Ci hanno portato in un istituto a Raqqa. Eravamo 35 ragazzi yazidi e ci hanno insegnato il Corano e la Shari’a – ha raccontato il ragazzo ad Amnesty International -. Hanno provato a convertirci, a farci dimenticare la nostra storia”. Poi l’addestramento militare. “La prima cosa che ci hanno spiegato è stata come usare la pistola. Sono stato costretto a combattere. Ho dovuto farlo o sarei morto. Non avevo altra scelta. Sono stato ferito e operato ad una mano”. “Ho fatto la guardia al fronte per quattro o cinque mesi, poi sono stato colpito da una granata”, ha spiegato Rayan indicando il frammento di una scheggia ancora nel suo ginocchio. “Mio fratello di 10 anni è stato usato come scudo umano in Siria e ha riportato ferite su tutto il corpo”, ha affermato invece il giovane Masud. Bambini soldato arruolati per combattere come miliziani, bambine violentate e trattate come schiave. Un medico che ha fornito assistenza a centinaia di ragazzine tra i nove e i 17 anni sopravvissute all’Isis ha spiegato che quasi tutte le pazienti visitate erano state stuprate. “Ero una bambina quando sono stata costretta a sposarmi. Mi hanno fatto soffrire”, ha raccontato la 14enne Randa. “Queste bambine sono state sistematicamente sottoposte ai peggiori orrori sotto l’Isis e ora sono state lasciate a raccogliere i cocci da sole”, ha dichiarato Wells.

Dopo anni di violenze e torture, l’incubo per i bambini yazidi non è finito. Giovani in condizioni di salute precarie sono spesso isolati al loro ritorno poiché le famiglie e le comunità faticano ad accettare ciò che hanno vissuto durante la prigionia. Indottrinati, costretti a dimenticare la loro cultura e ad imparare l’arabo, la maggior parte dei bambini non parla più il curdo e fa fatica a comunicare. Un ostacolo al reinserimento nella comunità e all’istruzione. “Ci sono così tante differenze tra quel modo di vivere e ora. La religione. Le loro vite. Qualunque cosa. Tutto è diverso”, ha spiegato Randa. A tutto questo, si aggiunge il dramma delle ragazze madri costrette a separarsi dai propri figli a causa delle pressioni religiose e sociali. Ai piccoli nati dalle violenze dei combattenti dell’Isis è stato negato un posto nella comunità yazida: il quadro giuridico iracheno impone infatti che un figlio di padre “sconosciuto” debba essere registrato come musulmano. E così centinaia di giovani minacciate, ingannate e allontanate per sempre dai loro piccoli ora vivono in uno stato di grave angoscia mentale. “Voglio dire alla mia comunità e a tutto il mondo, per favore accettateci e accettate i nostri figli. Non volevo avere un figlio da queste persone. Sono stata costretta con la forza. Non chiederei mai di riunirmi a suo padre, ma ho bisogno di essere riunita a mio figlio”, ha spiegato la 22enne Janan. “Mi è stato detto: ‘Se vuoi vedere tuo padre e tua madre, non vedrai mai più i tuoi figli'”, ha affermato Rangeen, 23 anni, madre di due bimbi. “Hanno portato via i miei figli con la forza e la comunità era d’accordo. Mi hanno detto che avrei potuto rivederli, ma era una bugia”, ha aggiunto la 21enne Bafreen spiegando di aver anche tentato più volte di togliersi la vita.

Bambini e adolescenti che soffrono di gravi problemi di salute fisica e mentale sono lasciati soli, senza alcun supporto psicologico e cure adeguate. Spesso rifiutati dalla loro stessa comunità. “Non dimenticherò mai quello che mi è successo – ha concluso Sahir -. È la cosa peggiore che può accadere a qualsiasi essere umano. Quando sono tornato avevo solo bisogno che qualcuno si prendesse cura di me, mi sostenesse e mi dicesse: “Sono qui per te, andrà tutto bene”. Questo è quello che cercavo ma non l’ho mai trovato”.